LA FABBRICA DEI NUOVI EROI: LISA CAMILLO SATTA, ANTROPOLOGA E REGISTA, E IL FILM SULLA SARDEGNA

Lisa Camillo Satta


di Ilaria Muggianu Scano

Il documentario “Balentes“, della quarantenne regista sardo australiana Lisa Camillo Satta, si propone di trovare nuovi eroi nel suo viaggio di ritorno da un altrove extra europeo. Ciò che di certo ha già trovato è una risignificazione del termine balente, che in Sardegna ha via via perso ogni connotazione vagamente idealista. La coscienza di Lisa è quella di essere un occhio “altro” dall’Isola, tanto da poter descrivere con nitore e severità vecchi nodi di un’economia stagnante senza per questo lesinare amorevoli auspici di miglioramento. 

Per il tuo progetto ti sei affidata al sistema di raccolta fondi collettivo del crowdfunding, che risposte hai avuto in terra sarda?  È presto per dirlo, questo è stato un viaggio finalizzato prevalentemente a far conoscere il progetto, sondare e dissodare il terreno su cui lavoreremo tra l’estate e il principio d’autunno quando termineranno le riprese.

Sei un’antropologa e nelle tue opere documentaristiche hai narrato a più riprese le popolazioni aborigene dopo averle studiate sul campo per anni. Come mai la scelta di narrare la Sardegna proprio oggi, dopo 14 anni di assenza?  Ho raccolto il moto di insoddisfazione nelle parole e nei gesti dei miei amici sardi che decidono di lasciare l’isola. Ho iniziato a chiedermi sempre più insistentemente cosa stesse succedendo alla terra delle mie radici, volevo fermamente capirne le contraddizioni con occhio lucido, con curiosità antropologica appunto.

Che analogie hai riscontrato tra la tua terra d’origine e l’Australia dove è avvenuta la tua formazione intellettuale?  L’affinità essenziale che ho trovato tra aborigeni e sardi è la loro condizione di eterni colonizzati: questo stato li ha forse portati a comunicare nel medesimo modo, attraverso l’arte, la musica dai caratteri particolarissimi e inimitabili.

Un’opera interamente made in Sardinia: anche il direttore alla fotografia, Viviano Scano, ha origini sarde.  Sì, e non è stata una scelta casuale quanto invece fortemente antropologica. Desideravo, infatti, che il maggior numero di persone coinvolte nel progetto avessero delle profonde motivazioni emotive, esattamente come me.

Con “Balentes” cerchi risposte in Sardegna. Ma tu, che domande poni?  Fondamentalmente “Cosa è andato storto?” e “Come possiamo riparare?“. Vorrei insistere ad indagare se esistano delle reali spinte sociali capaci di dar vita ad un significativo desiderio di rivalsa perché ciò che ho visto finora è un invincibile sentimento di rassegnazione diffuso.

A tuo parere qual è la componente che impedisce una ragionevole ripresa?  In primo luogo le gelosie, non c’è uno spirito di popolo, siamo troppo divisi e se riuscissimo a superare questo handicap riusciremmo a volare.

Non mancano i maligni che ravvisano nel tuo lavoro un’operazione di piaggeria nei confronti della classe politica sarda: da Renato Soru a Francesco Pigliaru, da Gianfranco Scalas a Mauro Pili, sono tanti i politici coinvolti nel tuo progetto. Cosa rispondi a simili insinuazioni?  Il mio è un interesse antropologico e ritengo sia indispensabile consultare chi governa un popolo, soprattutto per capire in che direzione si vuole portare la storia di questa terra. Sono davvero digiuna di politica sarda e non so a che partito appartenga l’uno o l’altro politico. Ciò che è essenziale è capire cosa possono fare per sanare le ferite della mia terra.

* La Donna Sarda

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2 commenti

  1. Bellissimo articolo! Brava Ila!

  2. Alberto Caschili

    Complimenti Lisa, ottimo progetto. Sucesso per la sua conclusione. Speriamo di poterlo aprezzare presentandolo anche a Rio (magari nel 2016, anno delle olimpiadi).

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