LE ISTITUZIONI IGNORANO LA BRIGATA SASSARI. COSA SI NASCONDE DIETRO AL DISINTERESSE PER I CENT’ANNI DEI DIMONIOS? INTERVISTA AL GENERALE NICOLO’ MANCA


di Angelo Mavuli

Nicolò Manca è un nuorese di Ortueri che, seguendo le orme del padre,  sottufficiale dell’esercito morto in giovane età, ha indossato la divisa e ha realizzato “la massima aspirazione di carriera per un ufficiale sardo: comandare la Sassari”. Oltre ad essere “il primo sardo ad avere questo onore…quasi un titolo nobiliare”, durante il suo comando, dal ’93 al ’95, si è opposto strenuamente alla chiusura della brigata e ha voluto che la Sassari avesse un inno: Dimonios. Nel ’97 si è dimesso dall’esercito per protestare contro la poco credibile politica militare del nostro paese. Ancora un gesto di protesta nel 2014: la restituzione delle onorificenze di cavaliere e di commendatore per la politica inconcludente, contraddittoria e priva di coraggio seguita dall’Italia nella vicenda indiana dei due marò Girone e Latorre. Per assistere alle celebrazioni del centenario della Sassari, Manca ha attraversato la Sardegna da Sinnai, dove risiede e dove è nato il 151° reggimento, fino a Tempio dove è nato il reggimento gemello, il 152°.

Generale, come sta vivendo questo centenario? Sto vivendo questo tanto atteso centenario della Brigata Sassari e della Grande Guerra con crescente disappunto per la distrazione e l’indifferenza che gli stanno riservando le  massime istituzioni dello stato

Da cosa nasce la delusione? La delusione nasce dal mettere a confronto l’atteggiamento tenuto in passato da tre significativi livelli istituzionali: la Presidenza del consiglio dei ministri, il vertice dell’esercito e la Regione Sardegna, e confrontarlo con il comportamento di cui siamo testimoni in questi giorni.

In particolare? Il Presidente del consiglio di allora, Vittorio Emanuele Orlando, in un discorso tenuto alla Camera il 16 giugno 1918, commemorando le gesta della nostra brigata disse:” L’Italia ha contratto un grande debito di riconoscenza verso la nobile isola e questo debito pagherà”. Parole che indirizzò solo Sassari e alla Sardegna e a nessun’altra unità, a nessun’altra regione. E l’attuale Presidente del consiglio invece che fa? Neanche un messaggio, né alla Sardegna né alla Sassari. A tutt’oggi non ha inviato un ministro o almeno un sottosegretario a rappresentarlo in una delle celebrazioni promosse con la collaborazione della brigata dalle amministrazioni comunali di Sassari, Tempio e Sinnai oltre che dai  Lions e dai Rotary di Cagliari. Il Capo di stato maggiore di un secolo fa, Armando Diaz, subito dopo la celebre battaglia dei Tre Monti che nel gennaio del ’18 rappresentò la svolta decisiva, dopo Caporetto, per passare dal pericolo di una disfatta totale alla prospettiva di una vittoria, dopo quella battaglia Diaz disse ai sardi: “Voi non sapete, e forse non saprete mai, quanto avete fatto per l’Italia”. E anche queste parole furono indirizzate solo ai sardi della Sassari. Solo il151° e il 152°, fra tutti i reggimenti  dell’esercito, furono decorati ciascuno con due medaglie d’oro al valor militare.   E quale invece oggi il messaggio dell’attuale Capo di stato maggiore dell’esercito? Nessuno. Silenzio assoluto.

E da parte della Regione Sardegna? Nessuna iniziativa, se si esclude la presenza a Sassari, il 27 febbraio scorso, dell’Assessore alla sanità Rassu in rappresentanza del Presidente Pigliaru. Fa un certo effetto pensare che la Regione Sardegna, che affonda le radici della propria autonomia nei movimenti nati dal combattentismo del primo dopoguerra, mentre in passato scelse proprio la data della battaglia dei Tre Monti quale “Giornata della Sardegna”, nel 1993 pensò bene di sostituire quella ricorrenza con una sorprendente “Cacciata dei piemontesi”. Questa singolare interpretazione della storia, stigmatizzata il 6 marzo scorso a Cagliari dal professor Accardo nel suo intervento tenuto a nell’Auditorium “Pierluigi da Palestrina”, mi sembra autolesionistica fino al masochismo, al pari della scelta di adottare quale stemma regionale i quattro mori, ovvero il simbolo dei quattro secoli più bui della nostra storia: quelli della denominazione spagnola. Con tutti i simboli prestigiosi che possiamo vantare – il nuraghe, Amsicora, Eleonora d’Arborea, la stessa Brigata Sassari- chi andiamo a scegliere? I quattro mori!

Come giustificare queste assenze? Come spiegarsi le defezioni e l’indifferenza? L’alternativa è se attribuirle a semplice ignoranza della storia da parte dei politici, come ipotizza il professor Accardo, oppure a poco credibili aspetti riconducibili alla spending review oppure ancora alla sabbie mobili dalla presenza militare in Sardegna, polemica che volteggia come un avvoltoio nei cieli sardi col messaggio “via-i-poligoni=via-la-Sassari”. E appunto per questo meno si parla della Sassari, meglio è! Mi consenta una battuta finale: se quei gentiluomini dell’Isis sapessero della Sassari, e ho buoni motivi per pensare che in Iraq e in Afghanistan alle orecchie di qualcuno di loro sia giunta voce dei sardi della Sassari, sono certo che loro vedrebbero di buon occhio il ridimensionamento o lo scioglimento della nostra brigata.


											
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Un commento

  1. Quella di Vittorio Emanuele Orlando è stata la madre di tutte le grandi promesse mancate e tradite. Il debito non è stato onorato nè da quel governo, nè dai tanti successivi. Sono loro che non hanno onorato la Brigata Sassari. E che hanno tradito il popolo sardo, gravandolo di servitù militari insopportabili e dimenticandosi di fare le opere di pace necessarie al buon vivere dei Sardi. Se ora il governo ricorda la Brigata Sassari, noi dobbiamo ricordare le inadempienze dei governi, quindi meglio star zitti tutti.

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