IL FEMMINILE MONDO MAGICO DELLE OPERE VITREE LEGATE ALLA SUA TERRA: L’ARTE DI STEFANIA LAI

Stefania Lai


di Pia Deidda

E’ un mondo magico e prettamente al femminile quello che affiora dalle eteree opere vitree di Stefania Lai; esso riporta a valori al contempo universali e ancestrali, legati soprattutto alla sua terra. In un mondo di forme organiche stilizzate, grovigli e intrecci astratti, emergono, come da un sogno, le sue donne, le sue fate, le sue sirene, e ci riconducono ad un mondo di fiaba dove possiamo attingere valori della nostra contemporaneità. Le figure, nate da un disegno morbido, fluttuano fra l’evanescenza della trasparenza del vetro e la vivacità del suo colore. Le stesse iconografie le ritroviamo nei dipinti e nelle opere a matita, come a segnare una unicità della sua arte, una coerenza anche stilistica.

Chi è Stefania Lai, come nasce e diventa artista? Beh , una domanda bella tosta per cominciare. Sono una donna e sono sarda, anzitutto, sono madre. Potrei poi definirmi una persona curiosa per natura, attiva ed ottimista quanto basta. Posso dire che sono stata innamorata dell’espressione artistica da sempre, prima ancora di capire cosa fosse, l’arte. A me sembrava la storia illustrata dell’uomo, una traduzione, un puro riflesso di ciò che succedeva nei tempi in cui “si dipingeva, si scolpiva, si scriveva così”. D’altronde è stata sempre anche una mia esigenza quella di “esprimermi così” e quindi fin da piccola ogni foglio era un potenziale spazio per disegnare. Perciò tutti i libri di casa vedevano scomparire ben presto il primo foglio bianco e spesso dopo la copertina. Mi sono sempre persa e ritrovata davanti all’arte e sempre, ho sentito un trasporto speciale, più che per la stessa opera, per il processo che avviene in chi crea, per come l’artista sia capace di essere un filtro dei tempi e dei luoghi in cui vive. Per quanto a volte sia preziosa e sublime la “ materia” che ci offre, frutto della quotidianità che ci accomuna eppure così altra, così personale. Così, sempre con curiosità, coltivo come una piantina, foglia dopo foglia, la mia presenza in questo mondo che è quello di chi ha necessità di esprimersi trasformando(si) e comunicando(si) .

Nel suo sito mette in evidenza una frase di Pablo Picasso: ” La pittura è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a se stesso riguardo ciò che ha visto”. Può spiegare quanto la sua arte sia legata a questo modo di concepire il fare artistico? Penso che nell’arte come nella vita la pluralità di visioni relativamente ad una realtà “oggettiva” sia auspicabile, siamo tutti come specchi deformanti fatti della nostra storia e della nostra sensibilità, modellati a nostra volta dai giorni passati, da forze che a volte non conosciamo, per cui capaci di originalità. Questo “ dirci qualcosa riguardo a ciò che esiste”, ritraendo ciò che sentiamo più che ciò che vediamo, rende assolutamente magico il processo di creazione, a volte sorprendente anche per chi lo guida. Di questo ho esperienza diretta. E’ ciò che nell’espressione artistica mi gratifica maggiormente, sia come fruitrice che come creativa. Perciò mi trovo molto spesso favorevolmente colpita ed emozionata di fronte ad una interpretazione, visione, diversa della mia realtà, da parte dell’artista. Mi interessa ciò che l’artista sente, ciò che “ dice a se stesso riguardo ciò che ha visto”. L’opera d’arte è un dono che ci è fatto, una lente, un filtro, un microscopio. La possibilità di vedere altrimenti. Nel mio personale processo creativo mi capita spesso di iniziare pensando di realizzare una determinata forma e via via modificare il percorso, avendo poi risultati imprevisti, perchè nel fluire del fare si attivano parti di me che riguardano ciò che sento. Nulla di paranormale: prendono corpo pensieri, ricordi, sogni quasi dimenticati e associazioni inaspettate si fanno avanti, così il fare diventa lo strumento di quel sentire e di quel pensare “ ciò che ho visto” a modo mio.

Perchè un mondo quasi esclusivamente al femminile? Perchè sono convinta di autoritrarmi sempre un pò, ed anche perchè il mondo femminile è un mondo che conosco da vicino, e ancora meglio voglio conoscerlo e capirlo. E’ un mondo in trasformazione, colmo di forze diverse che stanno emergendo. Un anno fa sono stata in visita a Bonaria Manca, straordinaria artista outsider orunese del 1925, che vive ormai da una vita a Tuscania, nella Tuscia. Conservo un ricordo luminoso di quell’incontro. Lei mi disse “ questo è il tempo delle dee” e poi cantò una canzone estemporanea, un memento mori che richiama all’attenzione sulle gioie del presente. Credo di avere avuto nella vita la possibilità di conoscere molte donne “illuminate” e questo ha fatto sì che mi inoltrassi ancora di più nel mio femminile per osservarlo e comprenderlo appieno, così continuo ad indagare.

Nelle opere c’è una fusione fra figura umana e natura. Quanto è importante per lei questo rapporto? E’ fondamentale. In fondo non siamo altro che tasselli di un tutto che è a sua volta un organismo vivente, come noi . Da bambina ho sempre coltivato un rapporto con la natura che pensavo fosse quello di ognuno. Una sorta di animismo che ancora mi porto appresso. Conversavo con ogni forma di vita devo dire che anche adesso mi capita di farlo nonostante sia cresciuta. La natura è una madre generosa, con la quale si dovrebbe avere perlomeno un rapporto ricco di gratitudine e di rispetto. La natura sarda poi è così ricca e colorata ed al contempo aspra e asciutta che i suoi contrasti non possono che ispirarci. Nelle mie ricerche l’elemento naturale è sempre presente, ci conforma, costituisce e accoglie oltre a rappresentare se zoomorfo quella parte ancestrale che ci appartiene, che è schiva, attenta, sensitiva e libera come un gatto.

* http://www.medasa.it/

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