DISOCCUPAZIONE GIOVANILE DA RECORD, FAMIGLIE POVERE E OPERAI DISPERATI: I DATI DELLA CARITAS DISEGNANO UNA SARDEGNA SENZA FUTURO


di Maddalena Brunetti

La Sardegna continua a essere duramente colpita dalla crisi che, lo scorso anno, ha fatto salire a 176mila le famiglie in povertà relativa. E i dati disegnano uno scenario poco rassicurante che allontanano la luce in fondo al tunnel: nel 2013 il prodotto interno lordo è diminuito del 4,4 per cento mentre, nel secondo trimestre di quest’anno, il tasso di disoccupazione è arrivato al 17,7 per cento. Si moltiplicano anche le fila dei giovani (tra i 15 e i 24 anni) senza lavoro che ormai sono il 54,2 per cento, con un picco nella provincia di Carbonia-Iglesias dove la disoccupazione giovanile è pari al 73,9 per cento (la più alta tra le province italiane). 
La povertà isolana assomiglia sempre più al volto di un quarantenne appena licenziato o di una madre separata. Sono questi i risultati del rapporto Caritas sulla povertà isolana, illustrati lo scorso 31 ottobre, che – stando ai numeri raccolti dai centri d’ascolto – hanno registrato un drammatico aumento dei nuovi poveri. La fragilità economica colpisce sempre più ampie fasce di popolazione e smettere di essere prerogativa dei più deboli come i senza fissa dimora e gli stranieri. Un quadro che viene confermato e completato dal dossier statistico “Immigrazione 2014” promosso da Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali e, per la parte sarda, dal Centro studi relazioni industriali (Csri) dell’università. «Il numero di chi parte in cerca di fortuna è superiore al numero di chi arriva», ha ricordato Gianni Loy, professore di Diritto del lavoro dell’ateneo cagliaritano, durante la presentazione dello scorso 29 ottobre. La regione offre scarse possibilità di impiego e dunque ha poco appeal: la Sardegna ospita solo lo 0,9 per cento degli stranieri che hanno scelto di trasferirsi in Italia. Nel 2013 però, gli immigrati sono aumentati del 18,4 per cento, salendo a 46mila residenti sull’isola. Un dato chiarito da Loy che ha spiegato: «Nonostante la crisi c’è un aumento della presenza straniera nell’isola, incremento dovuto a nascite e ricongiungimenti familiari piuttosto che a nuovi flussi migratori». 
I nuovi poveri. I centri di ascolto della Caritas, lo scorso anno, hanno accolto 6.221 persone, uomini e donne che, contrariamente a quanto avviene nel resto d’Italia, sono principalmente di nazionalità italiana (il 74,1 per cento). Le cifre sono significative perché in continuo aumento, basti pensare che nel 2007 si erano rivolti agli sportelli della Diocesi solo 2.199 persone, di cui la maggior parte donne. Ora invece, sempre più uomini chiedono aiuto tanto che è stata registrata una sostanziale uniformità di genere tra chi bussa alle porte della Caritas: nel 2013 solo il 50,3 per cento era di sesso femminile mentre nel 2008 la percentuale rosa raggiungeva quota del 59,7 per cento. A chiedere aiuto sono soprattutto i quarantenni (il 29,5 per cento del totale) e le persone sposate (il 45,5 per cento), dato quest’ultimo che denota il particolare disagio che colpisce i nuclei familiari. Un elemento ribadito anche dalla crescita della percentuale di persone che si rivolgono alla Caritas per problemi familiari, passati dal 9,4 per cento nel 2007 al 13,5 per cento del 2013. Un’altra componente rilevante è quella dei separati o divorziati (il 16,6 per cento) tra i quali però le donne sono quelle maggiormente esposte a una situazione di vulnerabilità sociale. Stando ai dati della Caritas, solo le signore che decidono di non sposarsi possono stare più tranquille perché restano tra le meno esposte al rischio povertà. Resiste meglio alla crisi anche chi ha un buon titolo di studio: la metà delle persone ascoltate (il 50,8 per cento) aveva la sola licenza media. Come le tante drammatiche vertenze dimostrano chiaramente, lo scorso anno sono  cresciuti coloro che hanno perso il posto di lavoro (il 59,4 per cento di chi si è rivolto alla Caritas era disoccupato) o sono finiti in cassa integrazione. E non stanno meglio i pensionati (il 12,8 per cento) o chi fa fatica ad arrivare a fine mese (il 17 per cento) nonostante il posto fisso, che però non regge all’assottigliarsi del potere d’acquisto degli stipendi soprattutto negli ultimi anni caratterizzati dal rincaro dei generi di prima necessità e dall’aumento del costo della vita anche a seguito dell’introduzione dell’euro. Chi si rivolge alla chiesa, chiede soprattutto beni materiali (nel 48,8 per cento dei casi) e tra questi 6 volte su 10 si tratta di cibo. Le richieste sono aumentate significativamente lo scorso anno ma sul dato ha inciso in maniera preponderante la tragica alluvione del 18 novembre. Non è un caso su 1.465 richieste di coinvolgimento delle parrocchie, ben 1379 siano arrivate dalla diocesi di Tempio-Ampurias. Oltre a un piano di contrasto e a un osservatorio regionale, per uscire dalla povertà la Caritas ritiene utile che la Regione intervenga rendendo esecutive le norme sul reddito di cittadinanza “quale forma specifica di intervento contro l’esclusione sociale e la povertà, che i comuni adottino a favore di cittadini residenti in Sardegna da almeno 24 mesi”. 

Gli immigrati. La crisi ha colpito duramente anche gli stranieri che invece, fino al 2013 non avevano subito grossi contraccolpi. Lo scorso anno, dunque, c’è stata un’inversione di tendenza nell’occupazione degli immigrati. Nel 2013 in Sardegna ben 1.420 lavoratori nati all’estero hanno perso il lavoro – dei quali 850 nella sola provincia di Sassari – con un calo mai registrato prima visto che gli occupati stranieri, fino al 2012, avevano conosciuto un trend in costante aumento. Inoltre, anche se c’è un’immigrazione di qualità «persiste una netta disparità di trattamento economico tra un lavoratore straniero e uno sardo, vengono inquadrati a un livello inferiore rispetto alle loro professionalità. Ci sono ancora troppe discriminazioni e luoghi comuni da sfatare», ha precisato ancora Loy.  E non va poi tanto meglio il settore imprenditoriale: se è vero che le imprese immigrate sull’Isola sono aumentate del 3,8 per cento rispetto al 2011 salendo a 9.166, è anche vero che di queste ben 87,3 per cento sono rappresentate da ditte individuali principalmente costituite da immigrati dediti al commercio ambulante. Un dato interessante arriva dalle rimesse verso il Paese d’origine, calate mediamente del 20 per cento. In Sardegna però, la diminuzione è più attenuata rispetto alla media italiana visto che dall’isola partono 62,5 milioni di euro verso le nazioni di nascita degli stranieri, con una media procapite annua di 1.755 euro a fronte dei 1.254 euro della media italiana. In Sardegna gli immigrati sono rappresentati prevalentemente da donne, impegnate nei servizi di cura alla persona, che vivono soprattutto in provincia di Cagliari e Olbia. La comunità più numerosa è quella romena mentre, tra i non comunitari, spiccano i marocchini.  Stando ai dati del rapporto statistico dell’Unar, sui 42.159 immigrati sardi, ben 23.642 sono donne con una quota femminile, dunque, pari al 56,1 per cento. Una percentuale che scende al 47.8 per cento, se si prende in considerazione solo chi arriva da Paesi non comunitari: un totale di 24.118 individui – 11.530 donne e 4.837 minorenni (il 20,1 per cento) – tra i quali ben il 46,3 per cento ha un permesso di soggiorno di durata illimitata. Più in generale i residenti stranieri vivono soprattutto nelle aree costiere di Cagliari (18.880 persone) e Olbia (10.678) mentre il Medio Campidano ospita solo 1,2 per cento degli immigrati. Alla fine del 2012, sull’isola vivevano 9.654 romeni, 3884 i marocchini, 2793 senegalesi, 2669 cinesi, 1682 ucraini,1702 latino-americani, 1452 filippini, 548 albanesi, 584 bosniaci e 177 americani.  I ricongiungimenti hanno determinato anche la crescita del numero delle famiglie straniere che hanno un’occupazione e quindi risiedono stabilmente in Sardegna, come certifica il numero degli studenti immigrati che frequentano le scuole isolane. Nelle aule sarde ci sono 5.041 alunni stranieri (il 2,2 per cento) dei quali 1.658 nati in Italia. La maggior di questi si concentra alle elementari dove la campanella suona per 1.698 scolari immigrati. Alle medie sono invece iscritti 1.203 studenti provenienti dall’estero, numero che sale a 1.307 alle superiori. La particolarità sta nel fatto che sull’isola, rispetto alla media nazionale, la quota di stranieri che scelgono un indirizzo liceale è sensibilmente più elevata – pari al 31,3 per cento – anche se la maggior parte continua a iscriversi a un istituto tecnico, con una quota pari al 34,3 per cento. Ed è solo grazie  ai bambini immigrati che in Sardegna si registra un lieve aumento della popolazione. Lo scorso anno c’è stato un lieve aumento degli abitati nonostante il segno meno del saldo naturale complessivo. Così nel 2012 sull’isola sono stati registrati 1.640.379 residenti, saliti a 1.663.859 nel 2013 anche se ci sono stati solo 11.872 nati contro i 15.216 morti.  A far quadrare i conti ci sono però i numeri sugli immigrati: lo scorso anno gli stranieri sono cresciuti con 6.549 nuovi residenti, salendo a un totale di 42.159 (che rappresentano il 2,5 per cento della popolazione sarda). Ed è proprio ai più piccoli che è dedicato uno il progetto sull’integrazione “Cittadinanza onoraria”, promosso anche dall’Unicef e dall’Anci Sardegna. Si tratta di un riconoscimento – che deve essere deliberato dal Consiglio comunale interessato – per i bimbi che vivono e risiedono in Italia. In Sardegna hanno aderito al progetto i Comuni di Guspini, Sadali, Orroli e Sarroch (nella provincia di Cagliari), di Sennori e Valledoria (a Sassari), di Nuoro, Bortigali, Galtellì e Lanusei (Nuoro), di Santu Lussurgiu, Baratili San Pietro e Terralba (Oristano). Oltre a questo, sull’isola è stato avviato anche il progetto “Liantza” per la creazione della prima rete di operatori dell’immigrazione. Finanziato dal fondo sociale europeo, ha come primo obiettivo quello di far partire dal basso il processo di costruzione delle politiche di integrazione.

Il quadro nero della Svimez. Tante ombre e pochissime luci per la Sardegna nell’ultimo Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno 2014 presentato a Roma. Nel 2013 il Pil nel Meridione è crollato del 3,5 per cento: la forbice resta compresa tra il -1,8 dell’Abruzzo e il -6,1 della Basilicata, fanalino di coda nazionale. Anche l’Isola è in flessione: -4,4. Nel Mezzogiorno la regione con il Pil pro capite più elevato è stata l’Abruzzo (21.845 euro), seguita dal Molise (19.374). La Sardegna è terza (18.620), mentre la Calabria è la più povera. Il Rapporto parla di un Sud a rischio “desertificazione umana e industriale”, dove si continua a emigrare (116 mila abitanti nel 2013) e a non fare figli: l’ultima volta che si era verificato un fenomeno così grave risale al 1918, dopo la Grande Guerra. Nel 2013 il numero dei nati ha toccato il suo minimo storico, 177 mila, il valore più basso mai registrato dal 1861. E secondo lo Svimez nei prossimi anni sul Sud si abbatterà un vero e proprio tsunami, con previsioni di 4,2 milioni di abitanti in meno nei prossimi 50 anni. Ma un po’ a sorpresa l’Isola spunta il segno più nell’occupazione industriale (+2,1 per cento), in controtendenza rispetto a tutte le altre regioni meridionali. In calo invece (-9,6) il dato degli occupati nei servizi.

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