UN SARDO SULLE VETTE DELL’HIMALAYA: IMPRESA DELL’ORISTANESE MAX CARIA. DOPO IL “CHO OYU”, TOCCHERA’ ALL’EVEREST


di Massimiliano Caria

Poche passioni umane hanno la profondità di quella per la montagna. La domanda che mi viene posta con maggior ricorrenza è: “perché lo fai?” ed è anche la domanda che io spesso mi pongo. Noi alpinisti ci poniamo questa domanda ogni qualvolta siamo chiusi dentro una piccola tenda, sperando che la tempesta la fuori non abbia la forza di strapparla, il vento urla, la nostra paura urla ma poi … ogni volta che sono li, non importa che sia Monte Arci o una montagna di seimila o settemila metri, io rinasco, io vivo. Godo dell’alba e del tramonto, del freddo e del caldo, godo della fatica. Il mio sguardo si perde nell’infinito, la mia fantasia vola in uno spazio senza tempo. Si torna agli albori della vita, dove è ancora necessario squagliare il ghiaccio per bere, non esistono i letti, i tavoli o le sedie, dove il tempo si misura in luce e buio. Ora vi vorrei miei complici in questo viaggio interiore che prende il nome di Progetto Everest, vorrei che mi accompagnaste in cima al tetto del mondo, io sarò i vostri occhi e le vostre gambe. L’idea di una spedizione alla conquista del monte Everest, la prima volta per un sardo, l’ho sempre avuta in mente anche se avevo paura di rivelarla, anche a me stesso, tanto era ambiziosa. La montagna più alta del mondo è il sogno di ogni alpinista. Su questa immensità di ghiaccio e roccia, che sfiora i novemila metri di quota, si sono avvicendati negli ultimi ottant’anni i migliori alpinisti della storia. All’inizio dell’ottocento gli inglesi intuiscono che tra le vette dell’Himalaya si possa trovare la montagna più alta del pianeta, che diventa un nuovo simbolo dell’estremo. La montagna che viene chiamata Chomolungma “Dea Madre della Terra” dai tibetani e Sagarmatha “Alto nel Cielo” dai nepalesi, prende il suo attuale nome in onore di Sir George Everest fondatore dell’ufficio trigonometrico e geodetico dell’India. Era il 1852. Soltanto dopo la prima guerra mondiale viene tentata la prima scalata. Le spedizioni inglesi si susseguiranno negli anni, tanti alpinisti perderanno la vita nel tentativo, ma nessuno riuscirà a scalarla fino al 29 maggio 1953. Il neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa Tenzing Norkey quel giorno consegneranno i loro nomi alla storia. L’8 maggio del 1978 l’italiano Reinhold Messner arriverà per la prima volta in vetta senza utilizzare l’ossigeno. Oggi le spedizioni sono molto diverse dal passato, mentre prima si utilizzavano tonnellate di materiali e centinaia di portatori, oggi si va su leggeri (stile alpino) magari in due, dividendosi il carico e le responsabilità. Questo è quello che ho fatto finora sulle montagne che ho scalato e che vorrei provare a fare anche sul gigante. Credo che se io riuscissi ad arrivare sulla vetta dell’Everest questo rappresenterebbe anche per la Sardegna e tutti i suoi abitanti il raggiungimento, seppur simbolico, dell’apice. Porterebbe il nome della nostra terra, rappresentata dai quattro mori, in alto come non lo è mai stato. Il progetto Everest si compone essenzialmente di due distinte spedizioni; la prima la conquista del monte Cho Oyu che con i suoi 8201 mt è la sesta montagna del mondo, che io ritengo propedeutica alla spedizione sull’Everest, e successivamente la spedizione vera e propria sulla montagna più alta del mondo. Anche il Cho Oyu “la Dea Turchese” è un gigante niente male che si trova a ventisette chilometri a NW dell’Everest. Anche le esplorazioni del Cho Oyu iniziarono negli anni venti del secolo scorso, anche se un suo valico, posto a circa 5500 metri, veniva usato fin dall’antichità come punto di passaggio dal Nepal al Tibet. Il Cho Oyu venne scalato per la prima volta nel 1954 da due alpinisti austriaci. Le spedizioni alpinistiche per gli 8000 richiedono tanta organizzazione, impegno e dedizione. Praticamente ci si impiega un anno e anche di più perché sia tutto programmato  nei minimi particolari. Si deve organizzare il viaggio, l’attrezzatura tecnica, il  cibo, le attrezzature per le riprese. Ci si deve allenare, ci si  deve concentrare … In effetti come anticipavo all’inizio di quest’articolo lo ritengo sopratutto un viaggio interiore. E tutto questo mentre si conduce una vita regolare, cioè con la famiglia, il lavoro, gli amici e tutto il resto. Nel mio caso specifico, dovendo trovare degli sponsor, il tutto è ancor più complicato. Per due motivi fondamentali, il primo che di questi tempi non è facile farsi dare soldi ne da privati ne da istituzioni il secondo che quando si trovano gli sponsor ci si sta anche impegnando in maniera formale e quindi si sente ancora di più il peso della spedizione.

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