I 100 ANNI DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE: INIZIATIVA A VENEZIA IL 28 AGOSTO


di Dario Dessì

“Non esiste un popolo più povero di quello che non conserva le memorie”. Mazzini.

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’ a ricorrenza dei 100 anni della I Guerra Mondiale, che ebbe inizio martedì  28 luglio 1914, verrà  commemorata, su iniziativa del Comitato Regionale Veneto Centenario Grande Guerra,  giovedì 28 agosto   nel Teatro Carlo Goldoni di Venezia con la proiezione  del film “Fango e Gloria”

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’opera, un efficace mezzo istruttivo e conoscitivo, è rivolta soprattutto ai giovani e a tutti coloro che, in gran parte, ignorano  ancora certi aspetti e conseguenze  di quel tremendo conflitto al quale, è necessario ricordare, parteciparono ben sei milioni di italiani, con circa 800mila morti tra caduti in battaglia e vittime civili. Tra quei  milioni di combattenti italiani, non bisogna, di certo, dimenticare  quei pastori delle Barbagie, quei contadini dei Campidani, quei minatori del Sulcis e  quei loro ufficiali subalterni, appartenenti alle classi medio -piccole, che, per la prima volta impararono a familiarizzare tra loro. Partirono a migliaia per andare a combattere nel Carso, sull’Altipiano di Asiago, sulle Dolomiti, lungo il  Piave, per lo più inquadrati nelle Brigate Reggio e Sassari, ma anche nello Squadrone Sardo della Brigata Cremona, Nell’Artiglieria, nella Marina e nell’Aeronautica. All’inizio, nelle trincee del Triveneto qualcuno di loro avrebbe trovato inconcepibile individuare nell’austriaco, che combatteva contro di lui, il nemico e questo con la convinzione che il suo vero nemico fosse in qualche angolo della Sardegna, magari  a Orune o  a Bitti.

Appartenendo allora i sardi a un mondo ancora primitivo e non ancora contaminato da certi comportamenti, improntati al cinismo, all’arrivismo, all’astuzia, al tornaconto personale, alla cupidigia e alla prevaricazione,  conservavano uno spiccato senso dell’onore e della lealtà. La loro suscettibilità mal sopportava qualsiasi sospetto di pusillanimità o di vigliaccheria.  Al combattente era di guida una canzone popolare :“ Non solo i tuoi genitori, la tua donna, i tuoi parenti, la tua gente, ma anche i sassi delle tue rocce si rivolteranno contro di te, se tornerai all’Isola con in fronte il marchio dell’infamia e del disonore “.

Attilio Deffenu, Ufficiale della Brigata Sassari, il primo a cadere  a Croce di Piave  durante la controffensiva italiana, iniziata alle primissime ore di domenica 16 giugno 1918, sosteneva che:  Il soldato sardo non può, sotto alcun riguardo, essere assimilato al soldato d’altre regioni d’Italia per ragioni di carattere, ambiente storico e sociale diversissime. In particolar modo l’isolamento nel quale il popolo sardo è vissuto dall’epoca dell’unificazione politica della penisola, l’aver scarsamente partecipato al movimento d’ascensione economica, commerciale, culturale, che ha caratterizzato la vita italiana nell’ultimo cinquantennio ne fanno un soldato sui generis.

E, poiché nell’isola fu fatta la leva di massa, alla quale si sottrassero solo i ciechi, alla guerra parteciparono tutti i maschi adulti della Sardegna, nessun villaggio escluso.

Così Gavino Ruggiu da Bosa nelle sue “Paginas Eroicas” celebrava la partenza dei fanti sardi per la guerra.                                                                                  Ozieri, febbraio 1915

SALPADE   NAVES

Salpade naves ferreas latinas   Conchistade sas terras irredentas

Su mare nostru, sas nostras marinas   O Trieste, o Trieste chi alimentas

Dogni ispiritu ardente italianu   In custa tragic’ ora e tottu ammentas,

S’Imperadore barbaru inumanu  Patibulos cadenas e orrendas

Presones, duru artigliu, ingorda manu.   Trieste attende in sas oras tremendas,

Tende sos brazos a sa  libertade,   Bessi fiera, istrappadì sas bendas

E, fraternizza cun solennidade.

Così i soldati sardi venivano celebrati da Giuseppe Sotgiu nelle sue interviste pubblicate nel Risveglio:  Ma nelle grandi ore della storia avvengono i miracoli.  Chi sono i vittoriosi della Brigata “Sassari” ? Sono i malarici…, la giovinezza sarda denutrita e analfabeta, i delinquenti nati di Alfredo Niceforo…, gli agricoltori senza terra e senza sementi, i servi pastori vissuti nella disperata solitudine delle tanche!  Da questi sardi, da questi giovani verrà la nuova Sardegna. Una Sardegna che deve saper sfruttare tutte le sue risorse.  La Sardegna sarà redenta dai sardi.

Dopo poco più di tre anni dall’entrata in guerra dell’Italia, martedì 18 giugno 1918  sulla prima pagina dell’Unione Sarda apparve tuttavia il seguente  articolo sui diritti della Sardegna: E’ doveroso segnalare una serie di gravi inconvenienti cui da luogo la grave crisi delle comunicazioni ferroviarie e marittime nella Sardegna che pure ha tanto ben meritato dalla Patria durante la guerra. I treni, provenienti dall’interno, a Golfo Aranci arrivano mezzora dopo la partenza del piroscafo. Dopo la prima metà del mese di giugno  1918 il presidente del Consiglio Orlando comunicava alla camera l’inizio della grande offensiva austriaca di giugno, e la situazione di quasi tutto il fronte italiano impegnato tra l’Astico e il mare Adriatico dall’imponente  attacco nemico. In quegli stessi giorni, sempre alla camera, c’era stato un intervento  dell’onorevole Pala  col seguente ordine del giorno:La camera invita il governo a provvedere seriamente alla sollecita esecuzione delle leggi che interessano la  Sardegna che da troppi anni le attende. Rinnova le raccomandazioni ripetutamente fatte, ricordando gli affidamenti avuti tutte le volte dal governo e augurandosi che siano tradotti in atto. Si deplorano le condizioni in cui versano le ferrovie sarde, condizioni alle quali non si è posto riparo affidandone l’amministrazione all’elemento militare: una sola è la soluzione del problema ferroviario sardo e consiste nell’esercizio di stato. Raccomanda di migliorare il servizio della linea di  navigazione tra Civitavecchia e Golfo Aranci, per quanto riguarda le merci, specie nell’ultimo tratto tra Golfo Aranci e Terranova (Olbia odierna) che è porto di tanta importanza commerciale. E’ tempo che anche per la Sardegna sia  fatta quella giustizia di trattamento alla quale ha diritto, e che sia considerata alla stregua delle altre regioni. La  Sardegna ha dato nobili prove di patriottismo, se si vuole che questa fiamma si mantenga viva, dimostri il governo che la  Sardegna non è dimenticata e abbia un trattamento pari a quello delle altre regioni italiane: faccia il Governo  che i sardi non abbiano a pentirsi di avere compiuto tutto intero il loro dovere.

Rispondeva Nitti, Ministro del Tesoro, dichiarando che la Sardegna non deve dubitare dell’affetto del governo per essa e del fermo proposito che lo anima di corrispondere alle sue necessità. Lo stato ha un gran dovere verso la patriottica isola, ma la Sardegna è anche ricca di  infinite risorse naturali, tuttora inesplorate.  Provvedere alla  Sardegna  sarà dunque nello stesso tempo  l’adempimento di un dovere e un eccellente affare per il nostro paese.

Intanto in prossimità del fiume Piave, come al solito, i fanti sardi della Brigata “Sassari” stavano combattendo con tutte le loro energie e il loro entusiasmo,  tra mucchi di cadaveri e interi reggimenti distrutti, per arginare il disperato furore austriaco nel tentativo di dilagare nella pianura veneta, tant’è  che subito dopo, il 21 giugno 1918, S.A.R. il Duca d’Aosta, Comandante della III armata,  inviava il seguente fonogramma d’encomio:

“Esprimo il mio vivo compiacimento alle  valorose  truppe che ieri hanno saputo, nella brillante difesa di Losson, respingere e rendere vani i ripetuti attacchi in forza tentati dal nemico e rivolgo specialmente il mio elogio alle artiglierie di piccolo e medio calibro, che con tiri precisi e micidiali seppero aprire larghi solchi nelle schiere nemiche; al  III/209° fanteria, al 9° battaglione bersaglieri ed ai prodi sardi della “Sassari” che – come nei precedenti giorni – dettero magnifica prova di quella granitica tenacia e di quell’ eroico spirito di sacrificio propri alla loro gente”.

Sul fronte della III Armata, nel Basso Piave, nel tratto tra Candelù e Capo Sile, c’era stata una grande vittoria delle armi italiane sull’esercito austro-ungarico, che era uscito dalla battaglia profondamente scosso e indebolito.

Le glorie nelle trincee, tuttavia, erano state ripagate con tante retorica,  croci e ciondoli, che però non  comportarono alcun beneficio ai fini di migliorare le condizioni di vita dei sardi.

Prima della guerra, lo sfruttamento delle risorse in Sardegna era alquanto deficitario a causa delle condizioni d’ ignoranza e di arretratezza in cui gli abitanti erano stati costretti a vivere  nei secoli addietro. I consumi erano limitatissimi, i bisogni ristretti al minimo indispensabile per la sopravvivenza, l’esportazione dei prodotti agro alimentari fallimentare, condizionata com’era, a dismisura, dai prezzi di mercato  gestiti  altrove e dai rari e costosi trasporti marittimi, mentre i prodotti importati erano proibitivi a causa dei tributi imposti che non differivano da quelli pagati nelle regioni ricche, tra le quali la Lombardia e il Piemonte, mentre qualsiasi attività commerciale era in mani di genovesi, livornesi, napoletani, siciliani e francesi. Nel 1909 Gabriele Gavino, compositore, nato a Tempio, scriveva nel periodico Fiorentino “ La Voce “ sulle condizioni d’abbandono in cui si trovava l’isola:“Qui non si tratta di madre patria ma di protettorato sfruttatore e succhione, che non ha voluto introdurre un industria nuova o migliorarne una vecchia; che ha lasciato l’agricoltura in titillamento dell’adamitico aratro chiodo; la manifattura del cacio alla dispersione del siero a alla infinità molteplicità di tipi; le industrie del sughero e della radica in un primitivo dirozzamento; gli allevamenti del bestiame e lo sfruttamento di calamina e di piombo argentifero nelle mani di stranieri”

Negli anni della guerra, nonostante la distanza dai fronti giuliani e veneti, la vita in Sardegna non era stata  per niente facile. Le donne e gli uomini anziani conducevano una vita grama, aggravata da certe situazioni d’imposizione e di requisizione al limite del sopruso, dalla mancanza assoluta di certi generi di prima necessità e dal continuo aumento del costo della vita. Lo svuotamento delle campagne causato  dagli arruolamenti massicci di maschi adulti (100.000 su meno di 900.000  abitanti), la mancanza di manutenzione delle opere di irrigazione e la non cultura delle terre abbandonate  aveva favorito, inoltre,  un abnorme  sviluppo della zanzara anofele e quindi della malaria. Ai caduti in guerra si aggiunsero  quindi i morti per malaria, per tubercolosi ed infine, nell’ultimo anno di guerra, per l’ influenza spagnola. Gli interventi in termini d’opere pubbliche, già inadeguate prima del conflitto, erano, in sostanza, inesistenti. Persisteva, pertanto, una situazione incredibilmente deficitaria in termini di acquedotti, di fognature, di cimiteri e di scuole; mentre si contavano 366.000 analfabeti su una popolazione che era poco più del doppio. Per non parlare poi delle linee telegrafiche che non funzionavano e delle strutture ferroviarie equivalenti a un cumulo di ferri arrugginiti, che consentivano ai treni, che attraversavano l’isola,  di sferragliare alla impressionante velocità di 20- 25 chilometri all’ora. Il sistema ferroviario era ridotto in uno stato indescrivibile, sia perché per anni non si era più provveduto al rinnovo del materiale, sia perché per tutta la durata della guerra la  manutenzione era stata quasi inesistente.  Sulle linee principali, marciavano, alla media di venti, venticinque chilometri  all’ora, due o al massimo tre copie di treni, e il trasporto delle merci, assicurato da appositi convogli, era a completa discrezione dell’ azienda.  Drammatica era la situazione sul settore sanitario, impotente, per mancanza di mezzi, di attrezzature e di personale adeguato, a far fronte alla dilagante epidemia di spagnola e all’aggravarsi dell’infezione malarica e della tubercolosi. La Sardegna era stata completamente stremata, infine, dal depauperamento  del  patrimonio zootecnico regionale per le esigenze dei Commissariati Militari e dal degrado di tutte le imprese agricole a causa della mobilitazione dei contadini.

Alla fine della guerra, alle difficoltà create dall’aumento del costo della vita si aggiungessero infine quelle causate dal passaggio dell’economia di guerra a quella di pace, mentre stavano per rientrare nell’isola centomila soldati che avevano varcato il Tirreno per difendere la patria in terre lontane e sconosciute e che adesso bisognava inserire in un tessuto produttivo, del tutto inesistente, in una situazione di crisi in continuo aumento. Nell’anno della fame, il 1921,la Sardegnafu famosa per le tre M: Miseria, Malaria, Malgoverno. L’isola era famosa anche per la scarsità dei generi alimentari, quando la carne era introvabile, e si scoperse che nella farina, in quella terra che una volta era considerata il granaio di Roma,  predominava l’avena sul grano.

Tutti questi brani di storia dell’isola si sarebbero potuti immortalare in un’altra pellicola, magari col titolo: ” Eroismo  -Miseria – abnegazione” , tanto per non dimenticare  le vicissitudini delle popolazioni sarde.  

Il film Fango e Gloria propone il ricordo di quei lontani  cinque anni di lotte accanite, di patimenti e di stenti nel corso della Grande Guerra.  Negli anni successivi, tuttavia, un po’ dappertutto nelle vicinanze dei campi di battaglia, in Europa e altrove, cimiteri,  lapidi e croci, commemoravano il sacrificio di tanti giovani soldati, creando una stretta al cuore e momenti di mestizia  in tutti parenti, amici e conoscenti. Ne angoscia, ne sfiducia sarebbero dovute subentrare al dolore e al lutto; quello era il momento in cui tutti dovuto soffermarsi e riflettere a lungo sull’immane tragedia della guerra e sull’assoluta certezza che le future generazioni non avrebbero più dovuto affrontare simili esperienze e subirne sulla loro pelle le terribili conseguenze. Se la legge della guerra aveva imposto il combattere – La legge della pace avrebbe dovuto insegnare a  ricordare.

Da “Paginas Eroicas”

A sos gloriosos mortos   In sos cruentos campos de battaglia

De s’ultima guerra de s’indipendentia

A sos eroicos mutilados   De sos cales sa mitraglia

Hat fattu istraziu crudele

A sos valorosos superstites   Chi tanti hana operadu e suffridu

Cussos umiles versos   Medas de sos cales

Conoschene su fragore de sa battaglia   In riverente omaggiu

-DEDICO-

Alla fine del conflitto, a parte i menomati psichici e fisici, ben 138,6 combattenti per ogni mille risultarono non essere ritornati a casa loro ( la media nazionale era pari a 104,9). In proporzionela Sardegnaaveva dato il maggior contributo di combattenti e di caduti (13.602) rispetto a tutte le altre regioni italiane. 

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