ELVIRA SERRA E L’ALTRA: GIORNALISTA PER IL CORRIERE DELLA SERA, CURA IL BLOG LA 27esima ORA

Elvira Serra


di Sergio Portas

Sul finire di maggio (mi pare fosse il 28) alla libreria Feltrinelli di Corso Buenos Aires si presentava un libro che avrei definito “non del mio genere”: “L’Altra”, storia di un’amante, e se a scriverlo non fosse stata Elvira Serra, nuorese doc, che ha iniziato la sua carriera di cronista all’”Unione Sarda” per concluderla a tutt’oggi al “Corriere della Sera”, dove ha anche una rubrica fissa su F, la forza delle donne (nonché un suo blog: la 27° ora), non mi sarei davvero lasciato tentare dal titolo. Per essere sinceri e non sembrarvi più snob di quello che sono, se c’è una cosa che vado subito a leggere sul “Venerdì” di “Repubblica”, da vent’anni a questa parte, è la rubrica che vi tiene Natalia Aspesi: “Questione di cuore”, dove lei risponde a le lettere che le inviano torme di tormentati amanti che grondano in genere di strazianti sensi di colpa, e di rimpianti per storie d’amore vissute od inventate, le più inverosimili e strane che uno possa sentire, chè strani e unici siamo tutti noi che perdiamo il lume di ragione quando Amore ci prende e ci fa delirare. “En passant” la Aspesi su questa sua esperienza epistolare ci ha scritto su un libro di oltre cinquecento pagine “Amore mio, ti odio” edito dal Saggiatore che, non ho dubbio alcuno, venderà milionate di copie. Questo di Elvira Serra invece esce per Mondadori e tutto sommato può davvero considerarsi una lunghissima lettera con cui lei, la protagonista della storia d’amore, racconta senza pudori di sorta  cosa le sia capitato sulla soglia dei suoi primi quarant’anni. Niente nome dell’altro, che diventa per l’autrice Mr Darcy: Fitzwilliam Darcy, signore di Pembleton è  l’orgoglioso protagonista maschile di “Orgoglio e pregiudizio”, ignobile polpettone sentimentale che Jane Austen aveva scritto ai primi dell’ottocento che mi sono andato a rileggere visto che Elvira se ne era innamorata a prima lettura: “ Vietato ridere, perché, no,

non sono matta. Ricordo che, ancora convalescente, era autunno e un’influenza mi aveva costretta a letto, partii per Istambul con un’amica. E mentre lei esplorava gli antichi bagni turchi della capitale, io me ne stavo a lettuccio in albergo con il mio piccolo capolavoro (vabbè, quello di Jane Austen) tra le mani… e mi confortavo divorando le pagine della storia, sobbalzando e disperandomi ogni volta che Elisabeth era troppo testarda o Darcy troppo algido…” (pag.6) . Come abbia fatto Elvira ad innamorarsi di questo personaggio è mistero che attiene alle cose d’amore di cui prima discettavamo, per parte mia farei naufragare il mio peggior nemico su isola deserta di prammatica, salvando con lui un’ unica copia, così che fosse obbligato a rileggerlo per i solitari anni a venire. Insomma non ve lo consiglio per nulla. Questo di Elvira invece è tutt’altra cosa, intanto scritto con molta autoironia, divertente e scoppiettante, così come deve essere la scrittura di un bravo cronista, che deve “prenderti” fin dalle prime righe del “pezzo” perché sia troppo difficile smettere prima di leggerlo sino alla fine. Sentite come comincia il primo capitolo: “Innamorarsi”: “Mr Darcy me lo disse subito: “Sono sposato e ho due figli: M7 e F5”. Lo presi in giro: “Poi non lamentarti se diventeranno dei serial killer quando scopriranno che li chiami con le coordinate della battaglia navale…”. C’era tutto per stare tranquilla. Una moglie, due bambini di sette e cinque anni, maschio e femmina, e mille chilometri di distanza fra le nostre città. Era al di là di ogni tentazione:” (pag.5). I chilometri di distanza sono quelli che separano la Sardegna da Milano chè il Darcy di Elvira è sardo come lei, pur non conoscendosi hanno frequentato la medesima università, e gode quindi di quel “quid” che le fa dire : “I sardi sono una tipologia a parte. Ovunque al mondo, quando si incontrano, si comportano da parenti stretti  (e mai da serpenti). C’è un tale senso di appartenenza, un riconoscimento così forte della propria identità, che è difficile spiegare come e perché scatti quel qualcosa dentro…” (pag.7). In effetti quando le dico che sono sardo , a Elvira il sorriso si fa più luminoso, bontà sua sulla dedica del  libro ci tiene a precisare:”collega e sardo di Guspini”. Qui alla “Feltrinelli”  fa un vero e proprio show, supportata com’è da due giovani  colleghi del “Corriere”: Roberta Scorranese e Andrea Laffranchi, che tutto sanno della sua tormentata storia d’amore, che lei ha condiviso con loro nei termini dei quindici mesi in cui si è dispiegata. Con le esaltazioni dei primi momenti in cui tutto sembrava possibile e raggiungibile, in fatto di felicità reciproca,  E con le inevitabili cadute in dura depressione quando gli ennesimi ultimatum: “Mi avevi promesso che avresti parlato a tua moglie!” scadevano uno dopo l’altro, fino al quinquilatum (il quinto) finale. Se gli amici maschi erano solidali, dice Elvira, le amiche non hanno mai spinto troppo perché la cosa continuasse. Lo rifaresti ora le chiede Andrea? “Si, con lui”. Incorreggibile! “E anche se ho somatizzato con cefalee tensive che mi hanno fatta finire in ospedale, ho avuto la possibilità di conoscere una me stessa che mai avrei supposto”. Arriva a scusare il suo Darcy, incapace di prendere una decisione che almeno lo rendesse consapevole di quanto fosse in crisi il suo matrimonio, dicendo che il senso di colpa lavora molto di più negli uomini che nelle donne. Cosa che fa quasi arrabbiare la sua amica Roberta che sbotta:” Ma perché te lo vuoi sposare? Elvira, tu sei la moglie! Non l’altra”. Troppo simpatica Elvira, riesce a raccontare dei suoi fidanzati, il primo a quattro anni, si chiamava I. e aveva sedici anni più di lei. “In seconda elementare presi una cotta per uno di quinta…il fidanzato che non si scorda mai, colui che segna il passaggio all’età adulta, faceva il cantante trash metal ed era un collega all’università, a Cagliari… Poi ci furono il Cane Morto, l’Architetto, il Giornalista e lo Splendido Romano ( i più importanti). Faccio questo excursus  per arrivare al punto: li avrei sposati tutti. Voglio dire che sono stata educata con l’idea che prima si studia, poi ci si sposa. Matematico” (pag30). E’ un libro d’amore, un libro che parla di un innamoramento: galeotto fu il bastione di Cagliari e un mancato appuntamento giornalistico a Samugheo per il ritorno a casa di Rossella Urru, con Elvira che,oramai innamorata persa, all’aeroporto, toglie la sigaretta dalle labbra del suo Darcy e lo bacia. Che se aspettava che l’iniziativa la prendesse lui questo libro non sarebbe stato scritto. Poi certo ci sono i soliti realisti che ti fanno cadere l’entusiasmo coi loro luoghi comuni anche un poco spietati: “ Me lo disse l’omeopata durante l’annuale visita di controllo. “Dottoressa, indovini? Mi sono innamorata. Lui però è sposato e ha due bambini”.E lei: “ Se lo goda, cara, finché c’è. Non penserà mica che lascerà la famiglia per lei? Questo se lo può scordare” (pag17).  E il Natale e le altre feste comandate che sono sempre per l’altra, la moglie, e per i piccoli. Con i messaggini d’amore che arrivano a tarda ora, quando tutta la famiglia è a dormire. Questo Darcy sardo è fin simpatico nel suo barcamenarsi in una storia d’amore vero, appesantita com’è da un matrimonio che ha dieci anni di vita e quindi una sua dimensione di realtà  che non si lascia dimenticare. Mi viene da dire che sa riconoscere le buone letture, il primo libro che regala ad Elvira : “Oltremare” di Mariangela Sedda, per me uno dei più bei libri che siano stati scritti sul tema dell’emigrazione sarda dei primi del novecento. Simpaticissima è Elvira Serra che ha saputo fare della sua storia d’amore un resoconto per nulla mieloso e patetico, tutt’altro. Non avete idea quanti dei presenti oggi in libreria siano ansiosi di raccontare di loro storie d’amore finite male, uomini e donne, pare che tutti prima o poi siano stati abbandonati per qualcun altro. O si siano comportati come il Darcy di Elvira, tenendo il piede in due e anche in tre scarpe. Perché è unanimemente riconosciuto che, come dicono gli inglesi, in amore si cade, e seppur la fortuna alle volte vuole che esso venga corrisposto, un qualche bernoccolo bisogna sempre metterlo in conto. Elvira Serra ha usato la scrittura per cerotto.

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2 commenti

  1. Elvira, da scrittrice sensibile ed attenta, ha saputo cogliere e descrivere abilmente momenti tristi, ma anche esaltanti, di un amore "irregolare" fra una donna ed un uomo che, comunque, valeva la pena d’essere profondamente vissuto…

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