FRA GROTTE, MULINI E SALISCENDI … SADALI, VIAGGIO NEL CUORE DELLA BARBAGIA

cascata da Sadali


di Giovanni Mura

Solo le impressioni suscitate nell’animo di un bambino possono ritenersi tra le più qualificate a definire al meglio il quadro d’immagine offerto dal caratteristico centro barbaricino di Sadali. A creargli un certo disagio saranno unicamente i continui saliscendi che portano alla grotta delle fate, alla casa del mulino ed ai tanti rivoli che si tuffano fragorosamente nel modesto specchio d’acqua in fondo al paese. Per raggiungere la nostra meta ci affidiamo al mezzo con ruote gommate che in una insenatura lacustre del Flumendosa attende lo sbarco dal Castor, il battello stile Mississippi che, per qualche ora della mattinata, ci ha deliziato con una breve crociera lungo le anse degli ultimi declivi dei centri di Orroli, Nurri e Villanovatulo. Che dire di questo prologo vissuto a bordo di un mezzo nautico progettato ed addomesticato per soddisfare i capricci naturalistici di un centinaio di passeggeri? Non sono mancati ogni qualvolta si è presentata l’occasione i commenti esaustivi della guida che, con molta competenza, ha presentato la storia del bacino imbrifero e delle sue potenzialità in ambito economico. Gli approvvigionamenti idrici soddisfano pienamente i bisogni di circa ottocentomila sardi. E’ la provincia di Cagliari ha trarne il maggior beneficio. Non ha mancato inoltre il cicerone di evidenziare alcuni punti notevoli di carattere idrografico quali il livello dell’acqua, la sua profondità massima e le  varie distanze dalle rive opposte. Interessanti le segnalazioni di carattere botanico riguardanti le spontanee distese di cisto, di corbezzolo, di mirto e di lentischio e le vaste aree occupate dalle giovani piante di leccio e di sughero. Non sono sfuggite alla lettura dei più attenti osservatori le fugaci apparizioni dei peri selvatici. In un dislivello che va dai duecentosessantacinque metri della superficie lacustre ai 1200 della cima più elevata, lo sguardo ha potuto inseguire un vasto e variegato manto di macchia mediterranea che in questo scorcio primaverile miscela i migliori colori della tavolozza. Naturalmente ogni gitante non avrà mancato, grazie anche all’utilizzo di macchine fotografiche, cineprese ed altri ritrovati tecnologici, di comporre altri quadri pittorici. A sud ci siamo lasciati la diga di Nuraghe arrubiu, sulla sinistra gli approdi di Orroli e Nurri con la caratteristica chiesetta di San Giovanni quasi defilata a metà montagna, sulla destra le cime più elevate che fanno seguito alla cordata dei monti del Gennargentu e di fronte in alto alcune abitazioni periferiche di Villanovatulo, l’unico centro in posizione avanzata sulla importante via d’acqua. In basso, sempre di fronte a noi, il caratteristico ponte di forma semiellittica su cui si snoda il tracciato ferroviario per Lanusei si autodefinisce egregiamente con le sue accurate forme geometriche.  Stamattina il trenino verde, assecondando le attese di alcune decine di viaggiatori, ha fatto sosta per alcuni minuti nei pressi dell’elegante viadotto per permettere ai passeggeri di inquadrare al meglio il battello sulle acque lacustri. Altrettanto abbiamo fatto noi per verificare quanto è più verde l’erba che cresce nel giardino del vicino. La distanza tra i nostri mezzi, acquatico e ferroviario, non è sembrata superiore ai trecento metri. Ma posso essermi sbagliato di parecchio specie se tengo conto che, durante una fase della navigazione, gli strumenti di bordo hanno dato la posizione del natante a circa cinquecento metri da ciascuna delle rive opposte. Proprio così. Manco fossimo sul Nilo! Doveroso precisare che anche il letto del fiume sacro, in alcuni punti del suo infinito tracciato, si riduce a meno di cinquanta metri. Il Reno, che divide le rive opposte della città di Basilea con uno slargo superiore ai duecento metri, si restringe, a distanza di qualche chilometro, a ben poca cosa, quel tanto che basta per garantire, tra sponda e sponda, l’ancoraggio ad una frequentatissima caffetteria. Appena sbarcati dal motoscafo, ci siamo ritrovati sulla terraferma pronti a salire sulla montagna con il pullman dell’organizzazione. Mano a mano che il mezzo procedeva lungo i primi tornanti ci accorgevamo della bellezza del lago e dello scenario che gli faceva da cornice. E’ uno spettacolo senza eguali in Sardegna. Non riesco a quantificare i chilometri quadrati che insistono su questo immenso parco naturalistico. Forse una cinquantina. Al bivio che indirizza a Villanovatulo, il borgo che nelle sua estrema periferia si affaccia sulla vasta area paesaggistica, il bus si è fermato nei pressi della stazione ferroviaria di detto centro per una sosta pranzo da consumare in un accogliente agriturismo. Molto apprezzati il vino e le portate. Favolosi gli agnolotti di patate. Dopo alcune ore si è ripresa la strada per Sadali senza purtroppo fare ingresso a Villanova Tulo. Peccato! Sono sempre più belli i centri che per i motivi più disparati non riusciamo mai a visitare. Forse che non siano più suggestivi i mari che non abbiamo ancora solcato. Tempo addietro mi era stato proposto di andare a Valverde, un piccolo paese della Marmilla nei pressi di Ales ma, per altri impegni ho dovuto rimandare la visita ad altra data. Devo riconoscere che anche detto centro, alla stessa stregua di quelli mai sfiorati dalla nostra presenza, è da annoverare tra i paesi più belli del mondo. L’ignoto è sempre fantastico. Ora il mezzo è costretto ad arrancare ancora in salita tra numerose curve a gomito che nei punti di maggiore criticità permettono di fare una buona lettura del patrimonio boschivo. Si tratta di una consistente vegetazione di giovani piante di leccio che ci terranno compagnia sino alla grotta delle Gianas. Peccato che durante la visita agli angusti anfratti della caverna si sia dovuto procedere in posizione china per lunghi tratti. Per me purtroppo sono state sufficienti poche decine di metri per desistere dal tentativo di guadagnare migliori letture del sottosuolo. Chissà che cosa mi sono perso! Quando la salita termina ci ritroviamo in un altopiano che in breve tempo ci indirizzerà a Sadali. Siamo sulla sommità di uno di tanti tacchi calcarei che governano questa regione montuosa. La vegetazione, che sa di piante non autoctone, ci conduce verso l’abitato creando il posto, in prossimità dell’ingresso, ad eleganti giardinetti sulle cui estremità sono definite due figure geometriche delle quali la prima rappresenta un tronco di cono e la seconda una piramide regolare a base quadrata. Il primo solido, realizzato con blocchi di materiale calcareo, avrà il raggio di base e l’altezza rispettivamente di due e quattro metri mentre il secondo, interamente rivestito con pannelli di marmo color rosa pallido, potrà avere il lato e l’altezza intorno ai quattro e cinque metri. Sul vertice della piramide staziona una ruota di automobile. Non so quanti tentativi siano stati fatti per riuscire ad inanellare la sommità. Una bravata geniale comunque. Sulle panchine della piazzetta alcuni giovani discutono tra di loro senza curarsi minimamente della presenza quasi festosa del nostro gruppo che ora si accinge a raggiungere il centro storico e le vie d’acqua che portano al vecchio mulino. La strada, che è tutta in discesa, lascia intravvedere da ambo i lati brevi percorsi pianeggianti che dirigono a diversi quartieri che nella segnaletica locale sono indicati con il termine di bixinaus (vicinati). Da altre istruzioni in vernacolo distribuite lungo i fontanili, si ha la conferma che in questo centro della Barbagia di Seulo la parlata dialettale è il campidanese. Sono copiosi i rigagnoli d’acqua che sgorgano dalla base di molte abitazioni e che per incanto scompaiono sotto la sede stradale per guadagnare la giusta percorrenza per il fiume. Quando si arriva al dulcis in fundo non ci si pentirà minimamente di aver fatto tanta strada. Il quadro che si presenta all’osservatore è di grande valenza e trasmette nell’animo umano messaggi ed emozioni di grande effetto. Ci vorrebbe qui la penna dello Chatheaubriand per descr
ivere al meglio questa parentesi romantica. Mi riferisco in particolare alla lettura delleMemoires d’outre tombe. Le sensazioni che si provano alla vista di detta scena mozzafiato sono offerte da alcune casette di vecchia data addossate ad una roccia abbondantemente ricoperta di muschio, dalla libera caduta di una notevole quantità d’acqua, da una vasca di raccolta degli apporti idrici, da un breve sentiero che conduce verso l’alto in direzione dell’opificio idraulico e da una discreta rappresentanza di alberi d’acacia. Il sole filtrando tra i rami degli alberi valorizza al massimo i riverberi smeraldini dei rivoli che impetuosi ricadono nel bacino di raccolta dove numerosi pesci sguazzano nell’acqua dolce. La curiosità mi spinge a portarmi in alto dove sono ubicate, all’interno di una struttura muraria di antica data, le varie componenti del mulino. La ruota orizzontale che dovrebbe ricevere l’acqua da una canaletta laterale e che insiste sullo stesso asse delle macine, non è più funzionale come non sono  funzionali i restanti organi della molitura. I palmenti e la tramoggia, che una volta nel loro assemblaggio servivano per la macinazione dei cereali, gravitano ora in posizione precaria, quasi sospesi nel vuoto. Il tutto, pur nel suo completo abbandono, serve per dare un’idea esatta di ciò che avveniva in passato. Il locale è disadorno e la porta d’ingresso in cattivo stato di manutenzione. La tinteggiatura dei muri rilascia un senso di bianco sporco che contrasta con la scura pavimentazione ed i rari arredi disposti sulle pareti. Il modello vitruviano non ha mai interessato questo mulino che si affaccia all’esterno con la sua ruota motrice proiettata sull’imboccatura di una piccola apertura della facciata principale. Più mi attardo a prendere nota di ogni minimo particolare e più un senso di nostalgia e melanconia mi invade e mi turba. Avverto gli stessi sentimenti che ho provato nella lettura delle pagine dello Chateaubriand. Gli spettatori assistono allo scenario muti. Gli scrosci della corrente in eterno movimento galvanizzano l’attenzione di molti. Ai piedi della vasca un rivenditore di strumenti musicali cerca inutilmente di piazzare qualcuno dei suoi articoli di canna. Sembra che la sua presenza si presti efficacemente alle pennellate del magnifico quadro d’insieme. A fungere da elementi di contrasto siamo noi purtroppo. Sembriamo fuori luogo, fuori tempo. Nelle vesti di assatanati dell’ultima ora siamo pronti a violare con il calpestio, con gli sguardi e con la baldanza degli avanguardisti un territorio degno di tutto rispetto. Alla fine paghi di aver carpito con cineprese e macchine fotografiche gli angoli più interessanti della veduta naturalistica restituiamo al suonatore di launeddas il suo ambiente e ci accomodiamo nelle vicine panche in cemento. Risalire la via del ritorno diventa ora più faticoso. Siamo tutti anziani ed ognuno di noi sembra controllare il passo degli altri. I tempi di affaticamento sembrano cadenzati dalle soste riservate alla lettura dei passi scelti di scrittori locali. Le citazioni e le dediche in limba sono disseminate ad altezza d’uomo sulla facciata di molte abitazioni. L’andatura trae molto giovamento da queste pause. Ancora più in alto c’è spazio per la pubblicità riservata ad una specialità sadalese, i ravioli di patate. Il vecchietto che, standosene seduto sulla soglia della sua dimora, ci ha accompagnato con lo sguardo divertito durante la fase di discesa non cessa ora di scortarci nella risalita con maggiore curiosità. Quanti anni ha? gli chiedo in dialetto barbaricino. Ottantacinque, mi risponde in campidanese. C’è molta fierezza nella risposta. Alla mia richiesta sulla possibile ubicazione delle più alte vette del Gennargentu non esita un attimo ad indicare con un gesto della mano il nord. Ancora duecento metri e già si intravvede la ciambella di gomma sul vertice della piramide. I giovani sono ancora li che dialogano a voce bassa. Li intervisto con una banale domanda riguardante il volume del solido che sta di fronte a loro. So che potrebbero mandarmi a quel paese ma, nel rispetto delle regole del gioco e della dialettica, precisano che Il problema di fondo non è dato tanto dalle procedure algoritmiche e dalle formule risolutive quanto dall’incertezza dei dati di partenza. Bisognerebbe prima procedere alla giusta definizione delle dimensioni. Operando per via approssimativa si riesce a stabilire una cubatura inferiore ai trenta metri. La gita si conclude cosi. Per un possibile ritorno ai monti di Sadali c’è sempre tempo e ne varrà pur sempre la pena. Unitamente alle motivazioni non mancheranno le emozioni, gli stati d’animo ed i voli pindarici verso la fanciullezza, il lontano passato ed il mondo delle fate.    

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Un commento

  1. Uno dei paesi più belli e sottovalutati della Sardegna!!!

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