GARA DI SOLIDARIETA’ PER GLI ALLUVIONATI: “SA OGHE DE SU CORO” TRA GLI ARTISTI SARDI A MILANO


di Sergio Portas

Tra i miei ricordi di bimbo, i primi giornalini illustrati, c’è quello dell’Angelo del Signore in forma di bambino intento a svuotare il mare con una conchiglia che si trova tra i piedi il  pensieroso vescovo d’Ippona ( pare meditasse sulla Trinità),  ancora non elevato ai supremi gradi della santità. E subito Agostino si premura di dirgli che non è proprio cosa da tentarsi; mi viene in mente quando col coro meticcio di Pino Martini Obinu, nella temperie emotiva che subentra alla notizia dell’alluvione che ha colpito la Sardegna, subito ci è venuto spontaneo di proporci a cantare, e raccogliere soldi, e ancora cantare per coinvolgere ognuno nella gara di solidarietà che avrebbe dovuto colpire i cuori degli italiani tutti, e dei sardi emigrati ancora di più. Per porre mano a un primo intervento atto a lenire almeno dei danni materiali, i più immediati, per i più sfortunati che hanno perso le loro cose e le loro case. In attesa che al mare magnum dei danni, che si prefigura in centinaia di milioni di euro ci pensi lo Stato, come è giusto che sia. In verità io credo che quando si verificano tali calamità naturali, tipo terremoti e frane, lo Stato dovrebbe varare una tassa di scopo, una tassa di solidarietà progressiva per reddito di chi si trova a vivere insieme nel medesimo territorio ( l’Italia) e a tessere una tela che ha a trama la storia comune. Se non in queste circostanze quando? In realtà non si pecca di pessimismo se l’occhio corre all’Aquila ancora tutta, o quasi, da ricostruire, o alle baracche del Belice ancora in piedi dal terremoto del ’69. Sia come sia noi del Coro “Sa Oghe de su coro” , che opera in terra di Lombardia almeno da cinque anni, abbiamo preso la nostra conchiglia e ci siamo messi a prosciugare il mare delle necessità sarde. Si sarebbe voluto riempire lo stadio di San Siro o , in sottordine, uno dei grandi teatri milanesi, magari il Dal Verme, come è riuscito a fare Stefano Maullu ( incassando quasi ventimila euro!), ma lui è stato assessore alla Regione Lombardia e conosce praticamente tutti quelli che contano. Insomma abbiamo provato a bussare alla porta di Basilio Rizzo, che è presidente del Consiglio Comunale di Milano e, grazie a lui, quasi gratis, si è ottenuto l’uso della palazzina Liberty, per il 29 di marzo. Basilio lo conosco da quando militavamo insieme nei “ verdi”, lui in verità era un verde-arcobaleno, di sinistra, io un verde-verde, di destra, anni novanta o giù di lì. Pensate che allora avevamo a programma politico un  vivere meglio: leggo da un libriccino polveroso: vivere in armonia con noi stessi, con i nostri simili e con il resto della natura (La via verde, Passigli Editori), in fondo c’è Alex Langher che parla delle lezioni europee del 1989 quando ben 12 milioni di cittadini votarono le liste verdi, altri tempi. Non che le priorità d’allora siano mutate , la prevenzione delle catastrofi naturali vedete bene che fine ha fatto, e che fine abbia fatto la macchina della protezione civile targata Bertolaso ( se ne stanno preoccupando le procure della Repubblica) la dice lunga sul periodo nero che l’ambiente italiano in senso lato ha passato nell’ultimo ventennio berlusconiano. Insomma Basilio Rizzo non poteva dire di no ad una iniziativa di solidarietà per genti colpite da alluvione e ci ha dato la palazzina. Che a Milano è una vera e propria istituzione da quando Franca Rame e il marito, non ancora insignito di Nobel, facevano conoscere ai milanesi il “Mistero buffo” dei racconti popolari della vita di Gesù, declamati in grammmelot, una sorta di lingua onomatopeica inventata da  quel genio drammatico di Dario Fo. Per riempirla di gente non di doveva far pagare biglietto alcuno, tutto l’incasso lasciato alla generosità delle persone. Che sono accorse numerose. Intanto per sentir cantare Ambra Pintore e il suo quartetto, vera stella della serata, che è intervenuta gratuitamente, come gli altri del resto: il gruppo di canto a tenore dei Lacànas, i ballerini di Naramì, Alberto Masala che di professione è poeta e scrittore, Massimo Demelas e le sue foto del carnevale sardo. Anche Mariella Cortes, giornalista di televisione e di web e carta stampata, si era subito offerta per presentare la serata. I circoli sardi di Milano di Cesano e Vimodrone a dare supporto logistico e culinario, vedi il video: http://www.storienogastronomiche.it/amada-sardigna-cibo-musica-e-poesia-degli-emigranti-sardi/. La cronaca che vi propongo è alquanto lacunosa che fare contemporaneamente il cantante di coro e il giornalista non è più nelle mie corde, comunque noi abbiamo esordito con “Procura de moderare” e dopo un paio di altre canzoni abbiamo lasciato spazio ad Ambra che ha riempito il palcoscenico con una prestazione davvero super. In grazia di una personalità artistica costruita in anni di apparizioni televisive in Videolina, con trasmissioni di successo durate dieci anni e più, e nei teatri di mezza Italia e Sardegna tutta. Con Pino,il nostro maestro, ha pubblicato “Muriga” , un cd destinato a mettere in evidenza il suo carattere meticcio anche in fatto di canzoni, lei che viene da una mamma siciliana-etiope e da un babbo sardo, nata a Roma e sarda per scelta di vita. A piedi scalzi, il vestito viola a balze rosse e oro, capelli neri che corvo, voce a prendere note alte che volano via dal pentagramma come rondoni di primavera. E canta “Ispagna”, e “In artu mare”, il napoletano “Jammo ja”, “Dinghiri doi” insieme a Pino, chiude con un pezzo africano: “Bogoroda”. Poi tocca ad Alberto Masala incantare il pubblico con alcune delle  sue poesie, intrise di valori civili e di alte idealità, in italiano, di amore sterminato per la sua terra natia in sardo. Cantano i Lacanàs nerovestiti i rumori del vento di barbagia che si insinua tra le fronde degli olivastri, facendo tintinnare le foglie una ad una e ricolorandole d’argento. A meraviglia di mufloni e greggi pascolanti, i cani a contendere la poca ombra del mezzogiorno a uno stanco asinello. Quando i ballerini di Naramì si prendono lo spazio scenico è tutto un ondeggiare di cromie che si riflettono dai costumi sontuosi. Il corallo degli orecchini delle dame con i bottoni d’oro filigranato delle camice candide dei maschi. Che fanno numeri di danza ad elemosinare un sorriso, un giro vorticoso di gonnelle rosse e ricamate  di fili d’argento, Roberto Carrus che si alza da un letto d’ospedale e si presenta  a danzare sul palco col suo bicchiere pieno d’acqua in capo, a mostrare che ha un cuore più saldo che non dicano cartelle mediche bugiarde. E gli applausi diventano rombo. Chiudiamo la serata con  pezzi che consentano ai ballerini di esprimere la loro sardità in virtuosismi di danza, cantando “Nanneddu meu” e “ballu torrau” e “ballu furiosu”, e prima era stata “Miniera” , minera / tu ses una galera/ca sun che malifatores/ accorrados sos minatores. Con Mondadori ci eravamo accordati perché si potesse vendere il libro “6 per la Sardegna”, il patron della “Gazzetta del Medio Campidano” Gianpaolo Pusceddu mi aveva dato carta bianca anche per le copie del mio “Gramsci sardo” impreziosito dall’”autografo dell’autore”. Le vendite del primo tutte a favore del comune di Bitti, l’incasso della nostra serata  ad Uras. Del toponimo di Uras, dice Wikipedia: “rientra nella serie di designazioni locali sarde che riflettono una base “ur”, acqua, e il termine “urium”, acqua fangosa. Quell’acqua fangosa che si è portato via i coniugi Pia, a pochi mesi una dall’altro. Fosse vero che nel nome del paese ci sia il monito di tragedie passate che si perdono in periodi storici di nuraghi svettanti, ancora più pressante dovrebbe essere il proposito di porre fine alla possibilità che si ripetano in futuro. Noi “moderni che conosciamo le cause”. Noi de “Sa oghe de su coro” cercheremo di mantenere vivo questo monito continuando a cantare. E se mai saremo anche ad Uras un giorno, maga
ri in Santa Maria Maddalena, all’ombra di quell’organo dalle mille canne messo insieme dall’ostinazione paziente del parroco don Tullio Ruggeri. Perché ritornino i tempi in cui si pensi nuovamente di vivere in armonia con la natura.

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