IN PARTENZA PER TORINO, IL SALUTO DEL COLONNELLO MAURIZIO SULIG ALLA SUA SARDEGNA

in primo piano il colonnello Sulig


di Maurizio Sulig

[Maurizio Sulig, alpino di Trieste, 56 anni, vice comandante della Brigata Sassari, ad aprile lascerà la Sardegna per assumere la direzione del Centro Studi Post Conflict Operations dell’Esercito a Torino. Il Colonnello non si può raccontare. Perché si racconta da solo. E lo fa in queste righe, descrivendo il forte legame che ha consolidato in questi anni con i Sardi e con la Sardegna. Al Colonnello Sulig i migliori auguri per il nuovo incarico. E sempre Forza Paris! La Redazione di TIP] 

Rendersi conto che fra poco più di due settimane anche questo capitolo della mia vita si chiuderà e se ne aprirà un altro, via dalla Sardegna e di nuovo in Continente, mi fa pensare. Dicono che, quando si tratta di Sardegna, i continentali piangano due volte: quando ci arrivano e quando se ne vanno. Non è vero, almeno nel mio caso.

Non ho pianto quando ci sono arrivato, quattro anni e mezzo fa. Anzi in qualche modo ho chiesto di venirci, per assecondare questa mia indole irrequieta che ogni tre o quattro anni mi fa venire la voglia di cambiare, di fare lo zaino, di partire per qualcosa di nuovo. Ma dovendo essere onesto, il bagaglio cognitivo con cui partivo era sostanzialmente quello tipico, appunto, del continentale medio in visita: le spiagge, il porcetto, i nuraghi, il vermentino, l’interno selvaggio, le barbe e le berritte, Elisabetta Canalis, l’accento con le doppie, poco altro. Ma la Sardegna era lontana: in qualche modo senza conoscerla la sentivo diversa da tutto quel che avevo conosciuto, arcana, fonte di storie antiche, e sentivo che mi attendeva un tempo speciale. Perciò, sbarcando, non ho pianto.

E adesso penso al mio arrivo, alla telefonata di E. che mi dice “è sabato, fino a lunedì non si deve presentare, se non ha niente da fare potrebbe venire a Sedini che c’è la tale festa”, e mi ha fatto conoscere tutta la famiglia, babbo mamma sorella cognato, e mi ha tenuto in ostaggio a rimpinzarmi di cose buonissime e di consigli e dritte su cosa c’è da fare, e da vedere, e dove…e se mi trovate un modo migliore di cominciare vi pago.

Penso alle esplorazioni nei fine settimana, a raggio sempre più largo, e penso che potrei rimanere qui non per altri quattro, ma per altri quattordici anni e la varietà di ambienti naturali, di panorami, di colori, di profumi continuerebbe a riservarmi nuove sorprese.

Penso al silenzio di una collina fuori Aggius, o in vista del mare nella Valle della Luna fra rocce che sembrano tanti piccoli Uluru e i windsurf dell’ Isola dei Gabbiani sembrano appartenere a un altro mondo, e penso che quel vecchio hippy che si ostina a non voler credere che Woodstock è finita e si è sistemato lì in una grotta con vista mare, forse, tutto sommato tutti i torti non li ha.

Penso a quanto mi sia sempre piaciuto il vento sulla faccia, e come sia stato bello stare seduto in riva al mare ad Argentiera d’inverno, ad ascoltare le onde, o a Rena Majore sulla costa della Nurra, a guardare i color incredibili del mare e il verde del lentischio e a come mi é sembrato lontano il mondo con le sue quotidiane cure e isterie piene di nulla e dal nulla causate.

Penso alla Barbagia, al suo mistero, al suo essere vera e sincera e selvaggia anche nel XXI secolo virtuale ed usa-e-getta, penso ai pazzi cavalieri dell’Ardia, penso alla maschera ieratica che cala sul viso del Componidori prima della Sartiglia, alle donne bellissime, regine nei loro costumi incredibili e preziosi.

Penso alle quasi 3.000 letterine che i bambini ed i ragazzi delle scuole hanno mandato per Natale ai Sassarini in Afghanistan, e giustamente nessuno ne ha parlato perché, ovvio, mica é cosa che si presta a fare polemica.

Penso a una arrostita estemporanea a Perdas, e a una sera a Ardara in giro per Chentinas de Su Regnu, ad un retablo con influssi fiamminghi e di Albrecht Duerer in una chiesa di un paese di 800 abitanti, alla Rocca di Burgos, ai vicoli di Cagliari e alle quiete stradine di Oristano dove è piacevole fare indolente flanella, all’esplosione di colore dei fenicotteri negli stagni di Stintino.

Penso a M., che è stato con me a Vercelli quasi dodici anni or sono, e quando è venuto a sapere che ero qui mi ha cercato e trovato e mi ha ricordato i tempi passati assieme, e se prima di partire non trovo il tempo di andare a trovarlo non me lo perdonerei, perché il dono dell’amicizia va onorato. 

Penso all’azzurro del cielo, al cobalto e all’indaco ed al turchese dell’acqua, a quella spiaggia bianca dove magari ti pungi su un riccio ma non ti sporchi i piedi di petrolio, al verde quasi irlandese dell’erba novella ed al giallo splendente dei denti di leone, alle storie non dette che una vecchia torre mi racconta se solo sono capace di ascoltare, alle voci di mari lontani che cantano nel sartiame dei gozzi attraccati, con un po’di sdegno e di grandezza malcompresa, vicino ai ketch di vetroresina e acciaio, al profumo di mare, ad occhi neri di donna pieni di forza e di sorriso, penso all’anima mia che per un momento, qui, così lontano dai miei monti e dal mio opulento Nord-Est,  riesce a ritrovarsi.

E penso a quanto mi mancherà questa terra bellissima e maltrattata, il suo mare, i suoi colori, la sua gente, le persone che ho incontrato, al loro calore alla loro sincerità alla loro gentilezza di poche parole, scevri da affettazione, ma proprio per questo più veri e preziosi.

Penso a quel che loro, la gente e la loro terra, mi hanno insegnato, a quel che mi hanno dato.

Penso a una dedica di quattro anni fa: “Ti conoschimos de paghu tempu, ma pro nosos tu sese un amigu, e ti cheremos bhene”, che è il blasone che mai potrei aver più bramato.

E parlo con A., e sento che, parlandomi di questa sua terra e del suo legame con essa, dolce e profondo alla faccia di distanze e lavoro, mi aiuta come solo voi sapete fare a portare a galla tutte queste sensazioni ed a dare loro voce.

E chiudo gli occhi, metto da parte il trasloco la pianificazione del viaggio le speranze le aspettative per il futuro che incombe, e attraverso il sole che entra dalla finestra sento il calore, la vita, la forza, il potere arcano e antico e eterno di un mondo che mi avvince come le braccia di un’amante, e mi entra dentro con il suo sapore ed il suo profumo.

Me ne vado più ricco, e migliore, e so che tutte le cose e le persone e le sensazioni i profumi i colori di cui ho cercato di parlare, li porterò sempre con me. Ed è per questo che non piangerò andandomene (mannaggia a questo bruscolino che mi è entrato in un occhio, mannaggia…)

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4 commenti

  1. Maurizio Sulig

    Grazie per le belle parole di presentazione e per gli auguri. Io posso solo dire che davvero me ne vado arricchito come persona…A chent’annos mezzus, e a menzus bidhere, e Forza Paris!

  2. Giammaria Pitzalis

    Grazie Colonello. grazie da Sardo ecda Sassarino! A chent’annos cun salude!

  3. Gavino CRESCIO

    Complimenti vivissimi per le belle parole che ha voluto infondere a chi ha avuto l’onore ed il piacere di poterla conoscere.
    In bocca al lupo per il proseguo della carriera.

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