INTERVISTA ESCLUSIVA AL REGISTA ORISTANESE PAOLO ZUCCA: LA PELLICOLA "L'ARBITRO" APRIRA' LE GIORNATE DEGLI AUTORI ALLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA

il regista Paolo Zucca


di Bruno Culeddu

L’arbitro è solo. L’allenatore è cieco. L’amore no. Un arbitro internazionale, un allenatore cieco, una bisbetica indomita, un pastore vendicativo e un improbabile goleador condividono le sorti del campionato di calcio più sgangherato del mondo.

L’Arbitro‘ del regista oristanese Paolo Zucca, il 27 agosto alle ore 22.00 al Lido di Venezia, Sala Perla, aprirà le Giornate degli Autori della 70^ Mostra del Cinema. La pellicola, tratta dal cortometraggio omonimo dello stesso regista che nel 2009 vinse il prestigioso David di Donatello uscirà nella sale italiane il 12 settembre.  Nel cast Stefano Accorsi, Francesco Pannofino, Geppi Cucciari, Jacopo Cullin e Benito Urgu. L’Atletico Pabarile, la squadra più scarsa della terza categoria sarda, viene umiliata come ogni anno dal Montecrastu, la squadra guidata da Brai (Alessio di Clemente), arrogante fazendero abituato a vessare i peones dell’Atletico in quanto padrone delle campagne. Il ritorno in paese del giovane emigrato Matzutzi (Jacopo Cullin) rivoluziona gli equilibri del campionato e l’Atletico Pabarile comincia a vincere una partita dopo l’altra, grazie alle prodezze del suo novello fuoriclasse. Le vicende delle due squadre si alternano con l’ascesa professionale di Cruciani (Stefano Accorsi), ambizioso arbitro ai massimi livelli internazionali, nonché con la sottotrama di due cugini calciatori del Montecrastu, coinvolti in una faida legata ai codici arcaici della pastorizia. Matzutzi riesce a fare breccia nel cuore di Miranda (Geppi Cucciari), la figlia dell’allenatore cieco Prospero (Benito Urgu), mentre l’arbitro europeo Cruciani si lascia coinvolgere in una vicenda di corruzione che lo porterà in un attimo dalle stelle alle stalle: viene infatti colto in flagrante ed esiliato per punizione negli inferi della terza categoria sarda. Abbiamo rivolto alcune domande al regista che ci ha gentilmente rilasciato questa intervista

Prima domanda d’obbligo: chi è Paolo Zucca? Paolo Zucca è una persona che ha scelto di dedicare la propria vita al Cinema, senza paracadute e senza uno straccio di piano B.  Mi sono laureato in Lettere Moderne a Firenze, poi ho frequentato la scuola RAI per sceneggiatori e anche la scuola di regia N.U.C.T. presso Cinecittà. Dopodiché ho sempre lavorato, scrivendo e producendo spot pubblicitari, cortometraggi e documentari. 

“L’arbitro”  nasce come sviluppo e approfondimento del  pluripremiato corto del 2009, quali sono state le difficoltà incontrate per trasformare un cortometraggio, opera che risponde a esigenze e regole narrative precise, in lungometraggio? La difficoltà maggiore è dovuta proprio alla scrittura. Il corto si ‘reggeva’ su un’ idea, una frase di S. Agostino che spiegava alla fine il senso del racconto. Il film ha una struttura narrativa molto più complessa, anche perché si tratta di un racconto che mette insieme quattro diverse storie che poi convergono. Ogni storia ha un suo ritmo, un suo tono, i suoi snodi drammaturgici e il suo sviluppo.  Diciamo che sono quattro film in uno. 

Nel suo lavoro, il fenomeno tutto contemporaneo della corruzione del mondo del football penetra nel microcosmo ancestrale delle faide pastorali. Il calcio è usato come metafora del “deteriore” della moderna civiltà?  No. Il film non ha alcuna intenzione di denuncia o di analisi sociologica. E infatti è ambientato in un tempo che non esiste e in luogo che non esiste.  Anche il bianco e nero è stato scelto per questo motivo: per puntare all’astrazione ed evitare che il film venga  percepito come una rappresentazione o una denuncia del mondo del calcio o di certe dinamiche sociali.  Devo dire che sia il calcio che la faida ancestrale sono degli esempi lampanti e nitidi di una matematica morale molto semplice da capire. E’ questo l’aspetto che più mi interessava del calcio e della faida: la chiarezza con cui si manifesta una legge morale superiore, addirittura ideale (giusta o sbagliata che sia). 

Ha trovato difficoltà a raccontare la propria terra e la propria identità con leggerezza senza cadere negli stereotipi? Ho cercato di non RACCONTARE la Sardegna (ecco ancora il senso del bianco e nero) ma di inventare un luogo immaginario dell’anima.  Credo che chi non vuole essere travolto dagli  stereotipi li debba affrontare a viso aperto. Io l’ho fatto usando l’arma dell’ironia e dell’astrazione surreale.  Il laconico pastore omertoso che vedrete nel film è un esempio molto chiaro a riguardo. Per me la Sardegna, con tutta la forza delle sue componenti etnografiche e antropologiche, è incredibilmente interessante in quanto strumento espressivo, e non in quanto oggetto di una rappresentazione. Considero la sardità un mezzo artistico, non un punto di arrivo. 

Il cast è formato da attori professionisti,  volti noti della televisione e bravi professionisti isolani. Barbara Alberti ha collaborato alla sceneggiatura. ? stato complicato fare lavorare insieme personaggi di così differente formazione artistica? Lavorare con Barbara è stata una delle esperienze più belle della mia carriera. Non solo è una finissima scrittrice, ma è anche una straordinaria motivatrice morale. Certi pomeriggi entravo nel suo studio piangendo totale miseria creativa e ne uscivo sentendomi Francis Scott Fitzgerald. Per quanto riguarda gli attori, la cosa più importante è stabilire un rapporto a due attore- regista che sia proficuo e porti a dei risultati. Con ogni attore è diverso. Ogni attore va ascoltato, capito e diretto in modo diverso da un altro.  Qualcuno l’ho lasciato libero anche di improvvisare,  altri li ho seguiti con più polso. Con ogni attore è una storia diversa: l’importante è ottenere quello che si vuole, anche con l’inganno se è necessario.  Non so se gli attori hanno avuto dei problemi tra loro. Credo di no, o almeno io non me ne sono accorto. 

Il tema della “vendetta” è stata l’ossatura su cui si è fondata e si fonda la migliore tradizione cinematografica pop americana. La cinematografia sarda è connotata da qualcosa di analogo? La vendetta è un  sentimento molto chiaro e universale. Quasi matematico. E’ facile da capire e da raccontare, in America come in Corea.  Non si può negare che il sentimento della vendetta in qualche modo ci appartenga: credo che la disamistade sia l’altra faccia della medaglia del sentimento della grande amicizia.   Tuttavia gli autori sardi hanno raccontato  molte altre cose. Nella cinematografia degli ultimi 10 anni i film di vendetta, di faida, si contano sulle dita di una mano. Che il cinema sardo racconti solo la vendetta e la faida è una percezione errata. Un luogo comune non fondato. 

Il personaggio Jacopo Cullin è un emigrato che ritorna a casa. Non so quanto consapevolmente, lei ha investito il suo personaggio del desiderio, proprio di ogni emigrante, di riscatto, di prosperità e dove necessario di pacificazione per la terra di origine. ? così? Il personaggio interpretato da Jacopo è il figlio di un povero diavolo di nome Sventura (ma gli vengono attribuiti anche i nomi  Miseria, Sciagura, Menzogna e Penuria) con il quale è emigrato da bambino. Questo è uno scampolo di dialogo del film: 

Matzutzi: Ti ricordi di Me? Abitavamo qua davanti, poi siamo partiti in Argentina

Miranda: Argentina? A fare cosa

Matzutzi: I soldi!

Miranda: E li avete fatti

Matzutzi: Bueno… no

Miranda: Si vede

Come potete facilmente capire da questo breve scampolo di dialogo, anche temi drammatici come l’emigrazione e la povertà, sono trattati nel film con una grande dose di ironia. 

Quali sono i nuovi obiettivi ed i progetti futuri? Fare un alto film, naturalmente. Ieri abbiamo fondato un’ Associazione Culturale che si chiama Moviementu e ha lo scopo preciso di far capire  alla politica e alla classe dirigente Sarda che il cinema è un industria sostenibile. E che per questo va sostenuta con continuità, trasparenza e sopratutto con risorse economiche adeguate. E cioè con alcuni milioni di euro, come fanno in Puglia, in Piemonte, in Trentino e in tutte le regioni d’Europa dove hanno capito che investire nel cinema conviene anche dal punto di vista economico.  L’Arbitro è stato realizzato grazie alla Legge Regionale sul Cinema. Vogliamo che questa legge continui a esistere e a essere finanziata adeguatamente. Dato che i segnali da parte della Regione sono di segno opposto, abbiamo deciso di mobilitarci in senso propositivo. Siamo già più di 300, ma abbiamo appena cominciato. 

Vuole dire qualcosa ai lettori di Tottus in pari , dare un motivo e lasciare un messaggio per andare a vedere il film?  Si, vorrei dire che se vengono al cinema potranno vedere una commedia profondamente sarda, perchè Sardità e Ironia sono come il Cannonau e il casu marzu: vanno molto d’accordo.  Vorrei anche dire che vedere un film al Cinema è un esperienza completamente diversa da vederlo in tv o su un monitor. E’ poi è una scusa per uscire di casa e fare due chiacchiere vere. 

Nel ringraziarla per aver accettato di rispondere alle nostre domande la invitiamo formalmente a discutere delle sue opere e, della nostra terra,  nei nostri Circoli e nelle sale del Continente. Grazie per l’invito: farò tutto il possibile per onorarlo.  

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