DEA … FEMMINISTA … SIGNORA DELLA CASA: IL POTERE DELLA DONNA SARDA


di Valentina Vanzini

Indipendenti, orgogliose, forti e tenaci… sono queste le donne sarde che nelle varie epoche hanno costruito e trainato il destino di questa terra così bella e selvaggia. D’altronde la donna in Sardegna ha sempre rivestito un ruolo primario nella società che l’ha resa fulcro e cuore pulsante di ogni comunità. Dal neolitico al medioevo, passando per l’epoca del banditismo, fino ad arrivare ai giorni nostri, la donna sarda è divenuta prima dea da idolatrare, poi motore delle comunità: amata, temuta e adorata come mai nessun’altra donna è stata nel corso dei secoli. In epoca antica l’idea della donna è legata al culto della grande madre che nel tempo assume nomi diversi: Luna, Dea Madre, Tanit, Diana e Artemide, tante raffigurazioni diverse per rappresentare un unico culto, quello della donna, colei che genera la vita, colei che detiene il segreto della creazione. Nelle culture dei popoli preistorici, ignari del ruolo che l’uomo rivestiva all’interno del concepimento, la donna veniva considerata portatrice della luce divina poiché in grado di generare la progenie attraverso il parto in una modalità unica e misteriosa. Essa possedeva il vero segreto della procreazione poteva trasmettere questo potere a chiunque volesse: animali, piante o altri esseri. L’uomo rimaneva fuori da questo circolo sacro, fuori dalla procreazione e dall’universo divino, sterile e inutile, egli era solo spettatore del miracolo del divino che si manifestava attraverso la donna, attraverso la nascita, un atto che sembrava in grado di assicurare una vita dopo la morte, in un immaginario ciclo di morte e rinascita in cui la donna era al centro di tutto. Un culto, quello della Grande Madre, che celebra la donna e che permane, nonostante i tanti tentativi di sopprimerla, nel corso dei secoli. Depositarie di un rapporto privilegiato con il soprannaturale le donne sono, all’epoca dei metalli, preposte alla difesa della casa e della famiglia, portatrici dei segreti religiosi e circondate da un’aura di misticismo. Anche quando l’uomo assume maggiore rilievo, per via dell’importanza della difesa con le armi, le donne continuano ad essere al centro di tutto e si assumono la cura della famiglia, e più ingenerale della comunità, la difesa della terra quando l’uomo è distante, curando i problemi quotidiani e affrontando mille difficoltà. Neppure quando, nel periodo medioevale, la donna si vorrebbe sottomessa e remissiva, la donna sarda scompare dalle scene, anzi, rifiuta il ruolo di disparità nei confronti degli uomini, tanto che in Sardegna la formula del matrimonio si distacca nettamente da quella classica del diritto romano. Mentre nel resto dell’Italia, e del Continente, le donne sono date in sposa dal padre, con una dote (fondamentale all’epoca), le donne sarde dimostrano la loro indipendenza e la loro centralità, con un matrimonio definito “a sa sardisca”. Quando si sposa infatti la donna sarda non porta con sé la dote, ma, insieme al marito, contribuisce alla costruzione della nuova famiglia in totale parità. L’uomo dunque dovrà fornire la casa, mentre la donna porterà con sè il mobilio, l’arredo e il corredo. Non solo, i coniugi vivono in una situazione di comunione dei beni e la donna possiede una posizione di parità nei confronti dell’uomo, godendo degli stessi diritti, per quanto riguarda il possesso, la compravendita e l’eredità. Anche in quest’ultimo caso non si applica il diritto romano con il maggiorasco, ma, alla morte del marito, la donna sarda rimane proprietaria di tutti i beni e non perde alcun diritto né la sua posizione. Portatrice della scintilla divina, Grande madre, signora della casa, la donna sarda attraversa la storia mantenendo immutata la sua forza, il suo orgoglio e la sua parità nei confronti degli uomini. La letteratura, la storia, l’arte, ci riporta immagini di donna fiere e bellissime, sagge anche quando sono giovanissime, furbe, intelligenti, acculturate. Le donne sarde lavorano fin da giovani, governano la famiglia, risolvono i problemi quotidiani e guidano la collettività attraverso le tempeste. Sin da giovani lavorano in casa, ma anche sotto padrone, come tessitrici, serve, ricamatrici, contadine, instancabili, sotto il sole cocente o sotto la pioggia, lavorano per ore, producono, creano, rimanendo al loro posto sempre e comunque. Basti pensare che nelle case di oggi si raccontano ancora storie di donne sarde che continuavano a lavorare nei campi, incinte, fino al giorno del parto, con una forza d’animo e un’instancabilità che nessun uomo ha mai avuto. Forse sono state loro le prime vere femministe, come Eleonora D’Arborea, la bella regina guerriera, che lottò per liberare la Sardegna dai conquistatori e creò la famosa Carta De Logu, oppure Grazia Deledda, premio Nobel per la letteratura, saggia eppure piena di passioni, seppe mostrare il suo talento in un’epoca in cui le donne non possedevano nemmeno gli stessi diritti degli uomini. Ci sono poi tantissime altre donne, tenaci d’animo e di idee, ma ancora oggi poco conosciute, come le banditesse, amate dal popolo e temute dal governo piemontese, che combatterono per la libertà della Sardegna. Anche oggi, guardandoci intorno, possiamo trovare in terra sarda il volto di quelle donne, il tempo è passato, ma loro, fedeli al loro ruolo, sono rimaste uguali, attaccate alla loro terra e alla loro famiglia, testarde, eppure così dolci, fiere e belle, negli occhi scuri e sinceri, nelle parole incisive e nell’espressione decisa del loro volto. Che abbiano visi giovani e lisci o squadrati e rugosi, esse conservano da sempre, immutata, quella splendida scintilla divina.

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2 commenti

  1. Tonino Tognotti

    Bravissima Valentina. Un ritratto della donna sarda straordinariamente vero e profondo come mai mi era capitato di leggere. Permettimi di esprimere due mie riflessioni. La prima riguarda l’intensita’ del suo ruolo più marcato in Barbagia che in altre zone come per esempio nella mia Gallura. L’altra riguarda il femminismo diventato ormai un’ossessione quasi ideologica nel resto d’Italia. La vera donna sarda non è femminista perché non ha ragione di esserlo essendo consapevole che è, per sua natura, superiore a noi uomini per tanti aspetti fondamentali che riguardano la nostra vita ma possiede la virtù rara dell’umiltà che gli impedisce di farla pesare all’uomo che ama. Un caro e riconoscente saluto

    • Dal sito della Treccani https://www.treccani.it/vocabolario/femminismo/ il femminismo è un “Movimento di rivendicazione dei diritti delle donne, le cui prime manifestazioni sono da ricercare nel tardo illuminismo e nella rivoluzione francese; nato per raggiungere la completa emancipazione della donna sul piano economico (ammissione a tutte le occupazioni), giuridico (piena uguaglianza di diritti civili) e politico (ammissione all’elettorato e all’eleggibilità), auspica un mutamento radicale della società e del rapporto uomo-donna attraverso la liberazione sessuale e l’abolizione dei ruoli tradizionalmente attribuiti alle donne.” Non mi pare che il femminismo, come lei chiama “ossessione quasi ideologica” voglia dire che le donne sono o vogliono essere superiori all’uomo, ma bensì uguali.

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