L'INDIMENTICABILE "DOGANIERE DI BOSA": STORIA DEL MARESCIALLO DELLA GUARDIA DI FINANZA ARCANGELO MIRAGLIA

il cacciatorpediniere Fulmine


di Gerardo Severino

Il rapporto fra la Dogana, intesa come ufficio di percezione dei tributi (dazi d’importazione ed esportazione sulle merci), e Bosa, la bellissima cittadina della Planargia, oggi perla del turismo internazionale, ha antichissime origini, risalendo, infatti, agli albori della fondazione della stessa località, divenuta nel tempo crocevia di traffici marittimi che la collegarono all’intero bacino del Mediterraneo. Bosa, così come tutta la Sardegna, è stata baciata dalla storia: quella con la esse maiuscola, avendo visto approdare sulle sue coste genti appartenute alle più importanti civiltà del mondo antico: fenici in primo luogo, per non parlare di cartaginesi, romani, mercanti ebrei ed arabi, bizantini ed aragonesi. Disciplinare, quindi, l’esazione dei tributi doganali fu, da sempre, un’esigenza primaria, particolarmente sentita (allo scopo di ricolmare le casse erariali) da questo o quel regnante,  da questo o quel signorotto, nei cui possedimenti, di volta in volta, ricadeva la nostra Bosa. Per tale ragione, come è facile intuire, già nel corso del Medioevo, nella cittadina sarda si rese necessario istituire la figura professionale del “Doganiere”, per l’appunto il percettore delle tasse doganali, termine con il quale verrà spesso chiamato sia il “Ricevitore” (funzionario incaricato) che la “Guardia” (il vigilante armato), altrimenti definito nel tempo con l’epiteto di “Gabellotto”, ovvero con il termine più appropriato di“Preposto di Dogana” o “Finanziere”.

La Dogana bosana lavorava sinergicamente con la rada, ma soprattutto con il porto-canale di Bosa, che è poi la foce del fiume Temo, frequentato da piccole navi che vi caricavano cereali, e che in un documento del 1468 (citato da Pietro Amat di San Filippo in “Del Commercio e della Navigazione dell’isola di Sardegna nei secoli XIV e XV”, Tip. Timon, Cagliari, 1865), appare ricco di “caricatoj” (magazzini), per non parlare delle storiche concerie di pelli.

Raccontare in breve la lunga ed affascinante storia della Dogana di Bosa, e della sua perenne lotta al contrabbando marittimo, non è certo compito di questo contributo, anche perché, pur volendoci limitare agli ultimi 150 anni di storia unitaria del Paese, di cose da scrivere ce ne sarebbero tante. Unico flash storico che non possiamo fare a meno di citare è quello relativo ai primi doganieri che operarono a Bosa dopo l’unificazione nazionale del 1861, i quali rispondevano ai nomi di Efisio Franchino, con la qualifica di “Ricevitore”, e di Giuseppe Caracai, con la qualifica di “Veditore”, entrambi affiancati da una poderosa Brigata di Preposti delle Regie Gabelle (le future Guardie Doganali e poi di Finanza), i cui militi stazionavano all’interno delle torri costiere dell’Isola Rossa ed Argentina.

Questo lavoro ha, invece, il fine di ricordare la figura di un valente sottufficiale della Guardia di Finanza, che per anni svolse entrambe le funzioni, “Ricevitore” e “Guardia”, passando perciò alla storia delle Fiamme Gialle, al pari di quella locale, con l’appellativo di “Doganiere di Bosa”. Questa è, dunque, la vicenda del Maresciallo Arcangelo Miraglia, un astuto finanziere nato a Caltanissetta l’11 luglio del 1876, che prestò servizio nella Guardia di Finanza dal marzo del 1894 al dicembre del 1923, girovagando in lungo e in largo per la Penisola, prima di approdare in Sardegna, ove rimarrà fin quasi alla pensione. Quella del Maresciallo Miraglia è certamente una storia comune a quella di tanti altri Finanzieri, se non altro per quelli che militarono nel Corpo a cavallo fra l’Ottocento ed il Novecento: una storia fatta di sacrifici e privazioni personali; di scontri a fuoco contro agguerriti contrabbandieri; di grandissimi sforzi pur di acciuffare delinquenti e pericolosi nemici dell’Erario, la cui astuzia metteva a dura prova anche i più esperti.

Ebbene – e veniamo al titolo di questo contributo – Arcangelo Miraglia, dopo aver prestato servizio, come s’è già detto, in varie località del nostro Paese, dalla Sicilia alla frontiera svizzera nel comasco, dalla provincia di Roma a quella di Bari, e sempre con grande professionalità (in un decennio aveva bruciato quasi tutte le tappe della carriera di Sottufficiale), raggiunse la Sardegna il 15 settembre del 1910, data in cui fu assegnato alla Brigata di Torre Grande, reparto che dipendeva dalla Compagnia di Iglesias. Un paio di mesi dopo s’unirà in matrimonio con la signorina Elvira Moroni, originaria di Cori (Roma), che ovviamente lo seguirà in tutti i futuri spostamenti.

Siamo in un contesto storico nel quale il Servizio Doganale era stato particolarmente ridimensionato, sia in uffici che organici, per i soliti tagli di bilancio, tant’è vero che il Ministero delle Finanze era stato costretto ad affidare ai Sottufficiali della Guardia di Finanza anche la cosiddetta “reggenza” delle Regie Dogane e Posti d’Osservazione (per effetto del Regio Decreto n. 391 del 10 giugno 1909). E fu proprio quello che accadde per il nostro protagonista, diventato nel frattempo Brigadiere, che di lì in avanti svolgerà tale compito suppletivo sia a Torre Grande che in altri porti marittimi della Sardegna. Il 5 maggio del 1912 lo troviamo, quindi, a Santa Teresa di Gallura; un anno dopo a Siniscola, mentre, il 1° aprile del 1914, l’ormai maturo e neo Maresciallo di Finanza assunse il comando della Brigata e la direzione della Regia Dogana di Bosa. Nelle varie località sarde ove aveva prestato servizio, il Sottufficiale s’era certamente fatto notare, sia  per la sua determinazione, sia, soprattutto, per il suo accentuato “acume investigativo”, frutto, come abbiamo visto, di una lunga esperienza operativa svolta sul campo.

A Bosa Marina se lo ricorderanno in molti, soprattutto i viaggiatori che di tanto in tanto scendevano dal postale che collegava Cagliari ad Alghero. Ebbene, il Miraglia incominciò ad essere chiamato “il Doganiere di Bosa” all’indomani di quanto accadde in quella rada il 17 luglio del 1915, ad un paio di mesi dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. La cronaca di quel fatto fu narrata – e quindi letta da molti sardi – dal quotidiano “Nuova Sardegna”, nel suo numero del 23 luglio, grazie al quale tutti ebbero modo di conoscere da vicino il nostro protagonista, che fra l’altro era stato promosso Maresciallo Capo appena dieci giorni prima.

La storia è questa: durante il periodo bellico, la Regia Guardia di Finanza e la Regia Marina, con le proprie imbarcazioni e navi di diversa stazza, assicurarono la vigilanza in mare, sia per fini militari, proteggendo le coste ed i porti del Regno da eventuali attracchi nemici, sia per fini di polizia marittima, per assicurare cioè i traffici mercantili, sia, infine, per debellare il cosiddetto “contrabbando di guerra”. In quest’ultimo ambito, la mattina del 17 luglio del 1915, il cacciatorpediniere “Fulmine”, della nostra Marina, intercettò, all’altezza di Capo su Pallosu, una goletta nazionale (di cui il Diario di Bordo dell’unità non cita il nome), in navigazione verso Alghero, nelle cui stive i marinai non avevano riscontrato alcunché di sospetto.

Così come prevedeva la legge, il natante fu scortato nel porto più vicino, che in quel contesto era ovviamente quello di Bosa, ove lo stesso sarebbe stato sottoposto alle necessarie verifiche documentali da parte della Regia Dogana e della stessa Guardia di Finanza. Insospettitosi del fatto che il veliero viaggiasse privo di carico e del fatto che il capitano della nave mercantile, sottoposto ad interrogatorio, non era riuscito a dare una spiegazione plausibile di ciò, il Maresciallo Miraglia mise letteralmente sottosopra la goletta, eseguendone personalmente un’accurata perquisizione. Fu così che l’investigatore delle Fiamme Gialle scoprì che la nave era, invece, strapiena di merce di contrabbando, ma che questa era costituita niente di meno che da oltre 900 litri di petrolio, abilmente occultato nei pressi della sala macchina, e che certamente non poteva essere destinato al natante, considerato che un recente Decreto Luogotenenziale del 13 giugno 1915 aveva fatto divieto ai velieri di avere a bordo motori e conseguentemente petrolio e benzina.

Ancora una volta l’astuto “Doganiere di Bosa” aveva messo a segno un duro colpo alle organizzazioni contrabbandiere dell’isola, le quali avrebbero certamente smerciato il prezioso combustibile nella città di Alghero. Trattandosi di notizie coperte da segreto, almeno per quei tempi, sia il quotidiano sardo che lo stesso giornale del Corpo, “Il Finanziere”, si limitarono a riportare la sola notizia della cattura e la scoperta del Miraglia, non avendo, quindi, la possibilità di aggiungere altro, con particolare riferimento al nome del capitano ed al nominativo ed all’origine della stessa goletta contrabbandiera. Al povero Miraglia non fu elargito nemmeno un encomio o altro tipo di ricompensa, forse anche per il fatto che l’episodio accadde agli inizi di una guerra che avrebbe richiesto, come in effetti richiese, altro tipo di coraggio e di valore militare.

Il bravo Sottufficiale siciliano, tuttavia, non si perse certo d’animo, continuando a svolgere il proprio ed importante compito per tutta la durata del conflitto. Promosso Maresciallo Maggiore C.S. (carica speciale) il 2 dicembre 1916, Arcangelo Miraglia rimase a Bosa sino all’estate del 1923. Il 1° luglio di quell’anno, approssimandosi la fatidica data del congedo dal Corpo, il Maresciallo dovette lasciare la bellissima Bosa Marina per raggiungere, così come prevedevano i regolamenti dell’epoca, la cosiddetta “ultima destinazione”. Chiese ed ottenne di ritornare nella località di Fiumicino (Roma), ove aveva già prestato servizio dal 1905 al 1908, e che certamente era più vicina al paese della moglie, desiderosa di ritornarsene in Continente. In verità, presso quella Brigata “stanziale”, il Miraglia prestò servizio solo per pochi mesi, in quanto, il 31 dicembre dello stesso anno, il vecchio “Doganiere di Bosa” fu collocato a riposo per raggiunti limiti d’età, stabilendosi definitivamente – e forse a malincuore – nella cittadina di Cori, ove morirà l’8 luglio del 1948.

È probabile che il Miraglia abbia mantenuto per qualche tempo i rapporti con Bosa ed alcuni dei suoi abitanti: dopotutto vi aveva trascorso gli ultimi dieci anni di servizio nel Corpo, ricevendone non poche soddisfazioni morali – quali possono essere, anche per noi Finanzieri, i sinceri sentimenti di amicizia e di affetto riservati dalla collettività locale – e professionali, come nel caso dell’episodio appena ricordato.

 

Gerardo Severino  è Capitano, Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza.   

  

 

 

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