LA VERITA' SULLA MORTE DI GIUSEPPE BIASI: L'ARTISTA NON FU UCCISO DAI PARTIGIANI


di Roberto Cherchi

Il pomeriggio del giorno in cui Giuseppe Biasi fu ucciso e mezzo linciato dalla folla radunatasi nella piazzetta di Andorno Micca, paese dell’alto Piemonte celebre per aver dato i natali a Pietro Micca, l’eroico patriota antifrancese, Luigi Bonzano decise di fare quattro passi prima di rimettersi a studiare.

Quattordici anni compiuti appena cinque giorni prima di quella domenica di Pentecoste, Luigi stava preparando l’esame di terza media. Aveva trascorso sui libri tutta la mattina e voleva prendere una boccata d’aria. Non poteva sapere che di lì a poco sarebbe diventato testimone oculare della morte di Biasi, uno degli artisti più importanti del Novecento sardo.

Figlio del farmacista del paese, Luigi Bonzano si è poi laureato in Medicina a Pavia diventando primario di Pediatria all’ospedale di Biella. Oggi, seduto nel salotto di casa a Ronco Biellese, il dottor Bonzano ricorda nei dettagli quei giorni di guerra civile, partendo da un convincimento. “Biasi non fu ucciso dai partigiani, come scrive Giampaolo Pansa nel suo I gendarmi della memoria. Certo, l’aria, il clima, il contesto erano quelli: ma la tragedia di Biasi va ricondotta al gesto di un esaltato, non ad un regolamento di conti politico”.

Nel maggio 1945 Biasi si era stabilito a Biella già da qualche anno, attratto dal mecenatismo degli industriali tessili del luogo. “C’erano, ad esempio, Ermenegildo Zegna che qui fece costruire la stazione sciistica progettata dall’architetto Luigi Vietti (quello che poi lavorò per l’Aga Khan alla creazione della Costa Smeralda, “inventando” Porto Cervo) e il re dei cappelli Barbisio, rivale di Borsalino, il cui slogan era “un nome, una marca, una garanzia” e la cui casa sta proprio nella piazza di Andorno”. Biasi entrò nel cuore di molti facoltosi collezionisti di quadri tanto che, spiega Carmelo Romano, proprietario di una galleria d’arte in pieno centro a Biella, “moltissime sono le sue opere conservate in collezioni private. Tre mesi fa ne ho venduta una raffigurante un gruppo di lavandaie al fiume. Biella all’epoca pullulava di ottimi pittori come Cesare Maggi, Giuseppe Bozzalla, Placido Gastaldi: ma nessuno di loro valeva Biasi”.

I vecchi biellesi ricordano nitidamente l’artista sassarese. “Biasi aveva una camera all’albergo Principe dove alloggiavano i nazisti; parlava tedesco e conversava quotidianamente con loro. Questo lo fece individuare come fascista. Ma non lo era. A lui interessava la sua arte, nient’altro” ricorda Andrea Buffa, figlio di Corinto Buffa Ballarin, all’epoca podestà del comprensorio di Andorno, Sagliano, Miagliano e Tavigliano. Buffa padre era un architetto con la passione della pittura, studio alle Belle Arti di Firenze, ed ebbe con Biasi un’amicizia franca, cementata dal comune amore per l’arte. Mentre racconta, Buffa figlio mostra una xilografia che ritrae una processione di Settimana Santa sarda, copia numero 17/50, firmata “Giuseppe Biasi, Sassari”.

A Biella l’arte era viva e chi era bravo guadagnava bene. Biasi spiccava su tutti, il che gli procurò le invidie degli altri pittori. Ma lui non se ne curava. Vestiva bene, pensava ai quadri, frequentava villa Schneider. Fu  questo l’errore fatale. Quell’edificio, che ancora si affaccia pretenzioso nel suo Liberty sulla piazza dei Bersaglieri, era noto in città come la “villa della tortura”. “Certe sere, passandoci accanto, si potevano udire chiaramente le urla dei poveretti che venivano torturati nei sotterranei della villa” ricorda Bonzano. “Era una sorta di quartier generale nazista. Ho saputo a posteriori che Biasi, conoscendo il tedesco, si era offerto come interprete per i processi sommari che avvenivano a villa Schneider. Credo che quella mansione di traduttore gli abbia procurato l’etichetta del collaborazionista”. L’invidia dei pittori locali si salda dunque con un supposto ruolo di fiancheggiatore dei nazisti. Ce n’è abbastanza per creare attorno a Biasi un clima di sospetto e di odio che, dopo la Liberazione, lo sommerge, fino a segnarne il destino.

“Gli americani arrivarono ad Andorno il primo maggio. Nevicava. Nella zona c’erano stati atti violenti” riprende il dottor Bonzano. “Ricordo ad esempio una sparatoria in strada il 21 giugno 1944. Spaccarono la vetrina della nostra farmacia e uccisero una giovane”. Andorno era un avamposto della guerra civile. Di queste parti era  Franco Moranino, alias “Gemisto”,  famoso capo partigiano nato a Tollegno, che a guerra conclusa fu costretto a scappare a Praga per sfuggire alla giustizia italiana. Aveva fatto ammazzare tre paracadutisti inglesi. Rientrò solo dopo che Saragat, divenuto presidente della Repubblica, lo graziò.

Fino al 25 aprile i repubblichini stettero asserragliati nella parte alta del paese, a Villa Billia. “Al mattino scendevano a fare spesa. Piazzavano uomini armati di mitra agli ingressi delle strade, facevano provviste nelle botteghe di piazza Cantono e poi rientravano camminando rasente i muri degli edifici” prosegue Bonzano. “La notte, dalla torretta della villa, con una mitragliatrice da trenta, sparavano verso il paese e per questo molte case che si trovavano sulla traiettoria di tiro avevano murato le finestre. Ma col buio entravano in scena pure i partigiani che, scendevano in paese, prelevavano quelli sospettati di collaborare con i fascisti e se li portavano in montagna, a monte Cerchio. Ricordo una ragazza di Sagliano che cantava benissimo: i partigiani piombarono in paese, le tagliarono i capelli, le fecero scavare la fossa. Poi la costrinsero a cantare l’Ave Maria di Gounod e l’ammazzarono”. 

Villa Billia fu requisita ai proprietari durante la guerra: divenne il quartier generale dei repubblichini e dei tedeschi. Dopo la Liberazione fu la base dei partigiani, il luogo dove venivano sistemati i sospetti collaborazionisti. Ora è un ospizio per anziani.  Per arrivarci da piazza Cantono si percorre una salita molto ripida. Ma quel tragitto, domenica 20 maggio 1945, Giuseppe Biasi non riuscì a farlo.

“Sarà stato verso le due e mezzo, le tre del pomeriggio” racconta il dottor Bonzano. “Ero in strada e sento dire alla gente: “Arrivano dei prigionieri”. Spinto dalla curiosità scendo verso piazza Cantono per vedere cosa succede. Come me, erano accorsi in tanti. Arriva un camion, di quelli a carbonella e quindi andava molto a rilento. Sopra c’erano una trentina di prigionieri. All’imbocco della salita acciottolata che conduceva dalla piazza alla Villa Billia, il camion si blocca, non riesce a procedere. Intorno si era raccolta una folla esaltata. Quello che mi colpì fu la presenza di molte donne che la mattina avevo visto dietro la processione di Pentecoste. Donne devote, vestite di bianco e con in mano i rosari, che stavano recandosi verso la non distante chiesa parrocchiale e che adesso, messa da parte la devozione, stavano in piazza a guardare l’arrivo dei prigionieri. Queste donne eccitate aizzavano gli uomini presenti che, a loro volta, baldanzosi, si accalcavano verso il camion appena sopraggiunto”.

Tra i prigionieri Bonzano riconobbe un tedesco, il cui cappotto militare non aveva più le mostrine. “Era uno che l’inverno precedente era arrivato ad Andorno per fare vari rastrellamenti”. Il camion si ferma perché non ce la fa a salire. “Scendono i tre o quattro del Gap, con la divisa blu. Sono in difficoltà perché devono tutelare i prigionieri dalla folla sempre più furiosa. Aprono le sponde del camion per far scendere i prigionieri. Ma i partigiani non riescono a star dietro a tutti e quindi avviano subito la colonna verso la salita. Per ultimo è sceso un uomo d’aspetto sofferente che come ha visto la folla circostante ha detto: “State attenti perché noi siamo protetti”. Intendeva dire che sì, loro erano prigionieri; ma erano tutelati dai partigiani. Non l’avesse mai detto! Quelle sono state le sue ultime parole.  La folla di donne inferocite, gli uomini eccitati… fatto sta che uno di questi uomini lo ha agguantato e lo ha scaraventato giù dal camion, che era piuttosto alto. Biasi ha battuto violentemente la testa sul selciato. Le guardie partigiane erano già avanti e, siccome il pittore era l’ultimo rimasto sul camion, nessuna di loro si è curata di lui. Mentre la colonna si allontanava, Biasi è rimasto là, abbandonato in balìa della folla. L’uomo che lo aveva tirato giù dal camion si è sfilato la cintura dai pantaloni e ha cominciato a percuoterlo con violenza. La fibbia ha colpito Biasi due, tre, quattro volte sulla testa mentre la folla urlava. Poi, sempre lo stesso uomo, lo ha afferrato per i piedi e lo ha trascinato lungo la salita per qualche decina di metri. Ma poi, per la pesantezza di un corpo ormai morto, lo ha abbandonato. Le donne si sono riversate su quel poveretto riempendolo di calci e sputi. Quando se ne sono andate il cadavere è rimasto lì. Finalmente qualcuno si è reso conto che bisognava portarlo via dalla strada. Hanno chiamato Contaretti, l’uomo che si occupava dei trasporti con le carrozze e che aveva anche i carri per portare la gente al cimitero. Ne aveva due, uno bianco per i bambini e uno nero con gli addobbi funebri per gli adulti. Ma per Biasi non c’è stata alcuna cerimonia di trasporto: è arrivato con un carro normale e lo ha portato al cimitero, senza che nessuno accompagnasse la salma. E lì è rimasto fino alla traslazione della salma a Sassari”. Ma chi era l’uomo che uccise Biasi? “Un esaltato” afferma il dottor Bonzano. “Credo che le motivazioni politiche fossero abbastanza secondarie. Io ci ho visto più l’esaltazione del maschio che vuole farsi notare. Era un uomo adulto, sui cinquanta, senza divisa da partigiano, senza fazzoletto al collo. Per me era uno che voleva mostrarsi forte dinanzi alle numerose donne presenti. Tutti sapevano chi era, lo chiamavano “l’uomo della Maria”… ma nessuno disse nulla”. Al contrario di ciò che scrive Pansa (“che con me non ha parlato”) Bonzano esclude la presenza di una donna accanto a Biasi nel momento fatale ed esclude anche che la comitiva di prigionieri fosse arrivata in piazza a piedi anziché a bordo di un camion. Particolari di non poco conto nella ricostruzione dell’omicidio. Le spoglie di Biasi restarono nel cimitero di Andorno fin quando due coniugi sardi emigrati a Torino, Giovanna e Antonio Arras, non riscoprirono quasi per caso la tomba dimenticata. Ne informarono Remo Branca che, dopo una sorta di pellegrinaggio compiuto nel febbraio 1976 nel biellese, si adoperò per la traslazione della salma a Sassari. Oggi in piazza Cantono c’è una lapide apposta dal centro di cultura “Biasi” insieme ai comuni di Sassari e Andorno Micca. Resta poi nei vecchi che lo conobbero la memoria di un uomo raffinato e avulso dai giochi politici. E restano, infine, in tante case del biellese i segni più tangibili di quello che Biasi è stato: i quadri di un grande artista del Novecento italiano.

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10 commenti

  1. Andrea Mereu (Sorgono)

    Pessima revisione di una ingloriosa fine. Povero Biasi

  2. Maurizio Solinas

    Andrea se ti esprimi così sai certamente fare di meglio: cimentati con carta e penna, altrimenti taci e non sputare sentenze!

  3. Massimo Magliola

    Per caso leggo l’articolo su Giuseppe Biasi, pieno di inesattezze ed omissioni. Va bene tutto, ma cercare di far passare Biasi come agnostico in politica e poi come vittima di un omicidio casuale e poco chiaro mi sembra troppo. I "revisionisti" devono rassegnarsi, Biasi era fascista con simpatie per la Germania cui era legato culturalmente ed idealmente. Fu arrestato in seguito a denuncia anonima (così dissero per non assumersi responsabilità, era pur sempre un artista molto conosciuto) e rinchiuso nelle carceri del Piazzo di Biella. Qui subì una bella ripassata da parte dei carcerieri, attutita dall’impermeabile pesante che indossava. Un testimone che lo conosceva bene, fascista come lui e che, come lui, aveva subito lo stesso trattamento, lo aveva trovato malconcio e si era preoccupato. Da Biella, forse per l’affollamento del carcere, fu trasferito ad Andorno dove arrivò "sofferente" non certo per caso. Ad Andorno fu barbaramente assassinato e non vuol dire nulla che sia stato un gap od altra persona il responsabile. Certo il clima era quello, linciaggi, fucilazioni sommarie etc. erano all’ordine del giorno e non stupisce il cinismo indifferente del testimone, ma niente si faceva od era permesso fare o si lasciava fare senza la copertura o l’autorizzazione dei capi partigiani. Per quanto riguarda la tomba di Biasi vi segnalo che non fu mai dimenticata. I suoi camerati ogni anno fino al momento della riesumazione e successiva traslazione, nei giorni di aprile lo hanno sempre ricordato portandogli fiori, come era uso per ogni caduto della RSI.

    • legga approfonditamente la storia di Giuseppe Biasi! Possiedo 13 monografie su di lui oltre a tanti altri libri in cui si parla pure di Biasi, anche delle sue idee politiche, da quando era un giovane laureando sino alla sua età adulta, e le garantisco che lei è completamente fuori strada

  4. Andrea Cavallo

    A completamento di quanto scritto da Massimo Magliola, volevo solo stigmatizzare la figura di Giuseppe Biasi. Pittore ed illustratore di primordine aveva da subito aderito alla Secessione Italiana, aveva voluto ritrarre nei suoi quadri le tipicità culturali sarde che stavano scomparendo, aveva influenzato l’iconografia del ‘900, partecipando a svariate biennali di Venezia, a esposizioni nazionali, intervenendo con scritti critici e sponsorizzando mostre collettive. A Biella, dove si era trovato alla fine della guerra, era giunto per soddisfare le commesse che arrivavano, nonostante i tempi, dai vari industriali lanieri. Questo gli ha probabilmente causato l’invidia di altri artisti, e pare proprio che alcuni di loro fossero gli autori della delazione. Per inciso, l’accusa che ad oggi non può che suscitare ilarità, era quella che, con la scusa di dipingere, in realtà spiasse e quindi riferisse ai tedeschi. In questo clima si è generato l’orrendo ed imperdonabile crimine della sua uccisione. Un atto vile, perpetrato nei confronti di una persona anziana e indifesa, di un’uomo di una infinita cultura, che tanto nella sua opera aveva saputo donare alla collettività. Un inciso finale mi sia consentito. Da anni colleziono le opere di Biasi e assieme alle opere più propriamente sarde, ho ritrovato quelle biellesi, che gli venivano commissionate ad imitazione delle famose opere di Delleani. Mi sono sempre domandato cosa avessero di strano e affascinante questi paesaggi biellesi. Qualche anno fa sono andato per la prima volta in Sardegna e ho capito. Quei paesaggi, pur ritraendo luoghi e paesi locali, avevano la luce della terra sarda. Un suo piccolo rimpianto dell’isola lontana trasferito nel nostro Piemonte.

  5. Egregio Sig. Andrea Cavallo, quale ultima discendente della famiglia Biasi e nipote,figlia di un fratello di Giuseppe, La ringrazio sentitamente per il bellissimo commento da Lei espresso sia sulla figura del pittore che dell’uomo. la morte di mio zio è sempre stata motivo di grande sofferenza per la sua famiglia anche per questa ingiusta ed errata interpretazione delle sue convinzioni politiche.

  6. Cinzia Littera

    A proposito della "luce" dei paesaggi sardi, vorrei testimoniare quanto scrisse Richard Sheurlen, pittore impressionista tedesco arrivato in Sardegna, ad Atzara più precisamente, nel 1941, su invito di Filippo Figari che ad Atzara vi aveva soggiornato e lavorato per un lungo periodo: <<La luce e i colori in questo angolo del mondo, sono paragonabili solo a quelli visti nell’isola di Ceylon e in Israele>>. A seguito della presenza degli artisti costumbristi spagnoli ad Atzara, numerosi furono i pittori che decisero di vedere con i propri occhi cosa avesse destato l’interesse di artisti importanti fin dai primi anni del secolo scorso, in questo piccolo borgo del centro Sardegna. La nascita del museo d’arte moderna e contemporanea dedicato ad Antonio Ortiz Echague ad Atzara, testimonia con la sua collezione permanente, un interessantissimo periodo storico artistico di rilievo nella storia dell’arte isolana. Il 21 dicembre scorso, al museo è stata inaugurata la mostra "paesaggio con ritratto" di Giuseppe Biasi. A questo evento abbiamo lavorato con grande impegno negli ultimi mesi del 2014, realizzando un piccolo sogno accarezzato da sempre: esporre al museo d’arte di Atzara, una pregiata selezione di opere dell’artista sardo che per primo ha mostrato al mondo una Sardegna magica, con genti fiere in contrasto con l’idea diffusa di una Sardegna popolata da briganti e pastori. Biasi per primo ha avuto il merito, attraverso la sua arte, di aver riscattato una Sardegna depredata e disprezzata per secoli dai colonizzatori che nei secoli vi si sono tristemente avvicendati. Ammirare la pittura di Giuseppe Biasi oggi è importante perché, quanto ha volutamente e sapientemente trasmesso al di fuori dei confini regionali, infonde magicamente un senso di speranza per il presente e futuro della nostra amata isola.

  7. E’ veramente un’ipocrisia affermare che Biasi non è stato ucciso dai partigiani. Se hanno lasciato che venisse linciato dalla folla, sono comunque loro i principali responsabili. Purtroppo, data la mia non verde età, ho assistito da bambino (avevo 8 anni) al linciaggio di persone che col fascismo non avevano nulla a che vedere. Ma sappiamo che quando la folla si scatena non c’è scampo per nessuno, colpevole o innocente che sia.

  8. Purtroppo la guerra e’ fatta di violenza e fa diventare violento a causa di mille e piu’ motivi anche chi non lo vorrebbe…Biasi ci ha lasciato la sua grande opera immortale e da sassarese sono orgoglioso di essere suo concittadino…la triste fine lo accomuna piu’ o meno ad altri grandi del passato..Caravaggio, van Gogh..Mozart e di alcuni di questi non abbiamo neanche piu’ resti mortali…spero sempre si trovi finalmente una sistemazione definitiva della collezione in Sassari degna dell’arte di Biasi da molti e con mia gioia individuata nella splendida villa in stile liberty di v.le Caprera quasi all’angolo con v.le Trento.Saluti

  9. E’ vero: Biasi non fu formalmente ucciso dai partigiani. Sta di fatto però che fu arrestato il 2 maggio del 45 con l’accusa di essere una spia delle SS. Ad arrestarlo fu il pittore Guido Mosca, capo o membro della polizia partigiana.Il quale Mosca, sino a qualche mese prima faceva la pubblicità delle mostre dei suoi quadri sul settimanale della federazione fascista di Vercelli( vedi “IL LAVORO BIELLESE”- Settimanale della Federazione fascista Repubblicana di Vercelli- del 19 aprile 1944, riquadro pubblicitario a pag. 4 : MOSTRA PERSONALE- PITTORE GUIDO MOSCA-dal 19 al 25 aprile 1944-Alla galleria LEONARDO DA VINCI- Via Umberto 37.

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