IL GIORNALE CHE VORREI COMPRARE DOMATTINA IN UN'EDICOLA IN SARDEGNA


di Francesca Madrigali

La vita è fatta di piccoli piaceri, e da quando ne ho memoria andare in edicola è uno di questi.
Fin da piccola, pallosa che non sono altro, mi piaceva leggere, e ho letto un po’ di tutto. Chiedevo ai miei genitori o ai nonni di comprarmi le riviste, e ho letto Topolino e Dylan Dog, Vanity Fair  e Cuore senza particolari pregiudizi, ma con quella che a momenti è stata una vera compulsione alla lettura. Adoravo, e adoro, le edicole: mi comprerei tutto, non sono mai rimasta lì per ore a esplorare tutto – soprattutto le parti laterali, quelle dove ci sono libri spesso ingialliti e riviste specialistiche o i giornalacci- solo per una questione di decenza e perché non ho un edicolante per amico, altrimenti… Insomma. Questo per spiegare come io, e  molti come me, considerino ancora il giornale cartaceo come qualcosa di importante, anche se poi le notizie le leggono in Rete, sul pc o sullo smartphone. Il quotidiano fatto di carta da sfogliare è infatti un piacere, più che un servizio alla comunità, proprio perché una gran parte di essa è già aggiornata sulle notizie nel momento in cui l’edicola apre i battenti. Sa già cosa è accaduto, cioè, e lo sa gratis. Allora il destino è già inesorabilmente scritto, e racconta già della morte del cartaceo? Io non credo. E non perché tutti siano dei feticisti delle edicole (e del giornale da sfogliare materialmente), ma perché il web offre delle possibilità e ne nega altre, e perché in fondo l’Italia (e ancora di più la Sardegna) è un paese anagraficamente vecchio, e che quindi oppone ancora delle resistenze alla “tecnologia”. I destinatari, insomma, sono in parte diversi. E anche gli spazi: sul cartaceo (che necessariamente deve avere un suo equivalente in Rete) si può approfondire, spaziare, dare certo le notizie ma anche e soprattutto scrivere bene, come forma e soprattutto contenuti, senza la fretta e l’immediatezza necessarie al web.  Sono mondi complementari, per i quali si può anche spendere un euro e venti centesimi se ne vale la pena; altrimenti, si continua a navigare con lo smartphone ed a scroccare il giornale al bar.  Nel caso della Sardegna, il calo di copie dei maggiori quotidiani va di pari passo con la morte precoce (e immaginabile fin dall’inizio causa convinzione che le nozze si fanno bene anche con i fichi secchi) di altri tentativi editoriali, dalla free press alla fanzine di partito; al momento l’interessante fioritura di giornali online non sembra intaccare il predominio del cartaceo, nonostante la crisi.  Ma allora, perché non ho voglia di comprare il quotidiano, quelli di oggi e quelli di ieri (quando eravamo arrivati ad averne ben cinque nell’isola)? Principalmente perché è sciatto, noioso, spesso banale. Con la verifica incrociata della Rete (spesso basta un social network o un blog qualunque) constato che alcune notizie vengono omesse, altre di una banalità sconcertante riprese per giorni. Non mi riferisco alla linea editoriale o politica, perché quella c’è dappertutto e potrebbe serenamente differire dalla mia, ma all’onestà intellettuale per cui alcuni temi non vengono mai trattati, o all’opposto sono strumentalizzati con linguaggio ad hoc. Io le noto, queste cose, e non può essere soltanto perché sono una nota criticona, ma semplicemente perché leggo. Mi piace leggere, ma per spendere 1,20 euro deve valerne la pena: necrologi, inserti vari e infiniti pippotti filosofici dei sostenitori del lider maximodi turno non bastano. Quindi, il giornale che vorrei andare a comprare domattina deve – dovrebbe e dovrà se non vuole morire- essere, prima di tutto, interessante: nella scelta dei temi di attualità e politica, preciso nella cronaca, serio nelle opinioni che riporta e rispettoso nelle immagini e nel linguaggio. Meno mucche che attraversano la strada del paesino e più storie di quel paese, per esempio. Meno aggressioni alla lingua italiana e più qualità nella scrittura, che non siamo certo l’Accademia della Crusca ma insomma i fondamentali. All’estremo opposto dello spettro, ricordo ancora certi giornali infarciti di editoriali e commenti sui massimi sistemi e poco altro: una noia mortale, esattamente come la mucca di cui sopra e per di più inutile. Perché è questo l’altro grande peccato che un giornale non deve commettere: essere destinato al sollazzo di pochi, di solito radical chic, che se la cantano e se la suonano fra loro, senza svolgere poi alcuna funzione collettiva di stimolo per il pensiero, di discussione a casa o al bar, di pungolo e di curiosità. Insomma, il famoso euro e venti ben speso. Sono certa che la qualità paghi, sul medio periodo. Per il breve e brevissimo abbiamo sempre il telefonino e il mare magnum della Rete, pieno anche di stupidaggini che è faticoso e lungo selezionare. E sul lungo periodo, beh…sarò presumibilmente diventata molto miope 🙂

 

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Un commento

  1. Roberta Pilia (Losanna)

    Ma come la capisco!!! I miei genitori avevano un’edicola, per tanto tempo l’unica di Escalaplano, dove si vendeva di tutto e di più, e anche del meno! Ho imparato a leggere prestissimo, grazie a Topolino, Zagor, Tex e tutti i fotoromanzi che però leggevo dalle amiche, a casa no, che “mi montavano la testa”! C’erano anche i giornali PROIBITISSIMI, che compravano in genere barbieri e meccanici, che avevano clienti omminisi, come ABC… Per me andare in edicola equivale ad una tortura: perché una sola rivista, un solo quotidiano quando prima li potevo leggere tutti? Qualche hanno fa ho lavorato alla Radio Svizzera Romanda dove dovevo leggere quantità enoooormi di giornali, e smistare le news! Nessuno lo voleva fare! Io non potevo credere che mi pagassero per esser felice!

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