LA SARDEGNA SUL PALMO DI MANO: CON GLI SMARTPHONE E LE ALTRE TECNOLOGIE PER CONOSCERE L'ISOLA


di Sergio Portas

Niente da ridire sui temi “forti” che l’assessorato al turismo della regione Sardegna ha portato alla Bit di quest’anno, un mix di novità tecnologiche che vanno dalle nuove app (leggi applicazioni) per turisti: App(ortata) di mano, scaricabile gratuitamente dall’Apple store (leggi negozio di Apple), in essa quattro carte tematiche: archeologia, spiagge, tradizioni, artigianato. Come dire che tiri fuori il tuo “telefonino” ovunque tu stia bevendo un caffè e ti viene squadernata davanti una offerta di Sardegna la più completa e  esaustiva. Davvero una enciclopedia sul palmo di una mano. E ancora quelli del consorzio Crs4 ( a Pula fanno ricerca scientifica nei settori della biomedicina, della biotecnologia, della società dell’informazione) mettono insieme un annuario delle strutture ricettive in Sardegna con una serie di foto quasi tridimensionali che aiutano il disperso a orientarsi nelle località “scaricate” sullo smartphone (leggi cellulare intelligente). Nonché i giganti di Mont’e

Prama visibili in digitale in 3 dimensioni. E per quelli come me che il telefonino credono ancora serva solo a telefonare ci sono due artigiani che scalpellano maschere in legno, una è sa masca del carnevale di Mamoiada, l’altra unu boe policromo di Ottana. E per tirare su il morale: due strade del vino, coi rispettivi assaggi, che si intersecano inevitabilmente: una sa di Cannonau, l’altra di Carignano rigorosamente del Sulcis. Ecco dunque la storia che un sardo andrebbe a raccontare al turista che poco o nulla sa di Sardegna: «In quell’isola che il mare degli Etruschi separa dallo stivale italiano (  sulla facilità con cui sia raggiungibile o sui costi che comporta non è turisticamente utile soffermarsi) fin dai tempi in cui Roma era ancora un villaggio di capanne poggiato su di un colle per scampare la malaria, già i sardi e gli etruschi commerciavano da centinaia di anni, tanto che i loro prodotti più tipici sono stati ritrovati sia nel territorio isolano, i bùccheri neri, sia bronzetti sardi nelle tombe etrusche di Vulci e Populonia. Gli Etruschi, conosciuti anche come Tirrenoy,  in verità erano i veri padroni dei mari: anche l’Adriatico  prende il nome da una delle loro città, Adria, e almeno fino a che Gerone di Siracusa (città “greca”, spartana) decretò la fine della Talassocrazia etrusca , con la sua flotta , siamo intorno al ‘500 a.C., sardi ed etruschi ebbero duecento e più anni di contati per conoscersi molto bene l’uno con l’altro. E per influenzare le loro culture, peccato che i sardi non ne vollero sapere di imparare l’alfabeto etrusco, che poi divenne anche romano naturalmente, e quindi non abbiamo nulla di scritto dei sardi dei nuraghi e poco di scritto in verità degli etruschi che per parte loro avevano una grande considerazione dei loro morti, le loro iscrizioni rimasteci sono quasi tutte funerarie. Con il saccheggio delle tombe etrusche si sono arricchiti generazioni di popoli, dai romani che iniziarono per prima a depredare, ai cosiddetti barbari che vennero dopo di loro, fino ai principi della Chiesa, cardinali e vescovi, per finire al fratello di napoleone Bonaparte, i nobili del regno Savoia, fino ai tombaroli nostrani. Solo iniziare a dire cosa siano ancora oggi le tombe di questo popolo che esportò cultura senza bisogno di sterminare nessuno, come invece fecero e alla grande i romani che verranno, mi ci vorrebbe un’altra vita, come diceva quella canzone. I sardi dapprima, mille anni prima di Cristo, seppellivano i loro cari in tombe comuni, vicino a costruzioni in pietra, alte fino a trenta metri e più, chiamati nuraghi. Se ne possono vedere ancora un qualche cinquemila, a volerli tutti contare bene. Alcuni meglio conservati di altri. Nelle “tombe dei giganti” si avevano tumulazioni collettive, in cui ricchi e poveri, nobili e no, erano posti su di uno stesso piano, quasi comunisticamente parlando. Solo più tardi, trecento anni più tardi, anche i sardi iniziarono ad usare tombe singole, molto spartane in verità, dove il defunto era posto verticalmente, spesso con le gambe raccolte, tombe a pozzetto. Ce ne sono ad Anthas, vicino a Fluminimaggiore, due passi da casa mia, Guspini. Che se passate di lì vi offro un’ ichnusa. Vicino Cabras, penisola del Sinis, non lontano da Tharros, roba cartaginese quando già in Sardegna non si costruiva un nuraghe da un centinaio di anni, su questo Mont’e Prama ( una collinetta dove erano palme nane, prama appunto) sono stati trovati questi giganti di pietra. Era il 1975. Sotto di loro una serie di tombe a pozzetto, scabre, prive di tutto se non dei morti ischeletriti, e ancora una strade lastricata che portava a questo vero e proprio mausoleo. I giganti in arenaria bianca sono molto simili ai bronzetti che i nuragici fondevano da sempre, copiando le tecniche di fusione a cera dai ciprioti, ed usando rame e stagno e zinco dalle loro miniere. Montiferru è a due passi da Cabras. Quelli del Csa4, in persona di Marco Agus ti ingrandiscono i tre modelli che hanno portato qui, un arciere, un guerriero e un modello di nuraghe come non li hanno mai visti neppure gli scultori sardi dell’VIII a.C. Le statue erano spezzate, frantumate, più di cinquemila i frammenti ritrovati, sono state finalmente restaurate a Sassari e rimesse in piedi. In attesa di un museo costruendo a Cabras alcune si possono ammirare in quel di Cagliari. Di così grandi e di questa tipologia non c’è traccia in tutta la statuaria antica mediterranea e non. Di cosa sia rimasto nella Sardegna d’oggi di questi costruttori di torri a tholos, tombe di giganti e statue di giganti, nonché abili fonditori di bronzi tanto tipici che non occorrono archeologi esperti per riconoscerli sparsi nei musei del mondo, venduti la più parte dai tombaroli sardi, in quest’arte davvero secondi a nessuno. A sentire il sindaco di Pauli Arbarei, qui in veste di assessore per la (ex) provincia del Medio Campidano, basta recarsi nel paesino della Marmilla e parlare con tale Luigi Muscas per ritrovarne le tracce. Questi in verità ha già scritto due libri sul ritrovamento di scheletri e ossa “grandi” nel territorio di Pauli, che può vantare anche l’osservazione notturna di luci stroboscopiche molto parenti degli effetti luminosi che gli ufo rilasciano alla stupefazione degli umani. Per quanto mi riguarda basta e avanza lo spettacolo del cielo stellato che si può godere ad Albagiara d’estate, sempre zona di pauli, per poter raccomandare a qualsiasi turista che ancora se lo sia perso di farne la scoperta. Magari con in mano un calice di questi vini che mi offrono qui alla fiera di Rho. Questo carignano “Terre Brune” viene sui trenta euro la bottiglia da 750 millilitri, fuori dalla portata media di un onesto pensionato. Eppure, una volta nella vita, per gustare a fondo quell’apparire  di stelle improvvise che compaiono sopra di voi, una volta lasciata la pianura lombarda per arrivare nella Marmilla dei cavallini selvaggi, ho da farne l’esperienza. Il cannonau che mi offrono quelli del capo di sopra è Nepente di Oliena. A sentire loro, scavando all’interno di quei nuraghi che vi dicevo, sono state trovate semi di tralci di viti che datano quanto i massi di pietra usati per costruire le torri.

La loro “strada del cannonau” è naturalmente parziale, il vitigno mi viene da fargli notare, si trova nella Sardegna tutta. Ma va bene così, va bene che uno se ne vada per Nuoro e Mamoiada, Dorgali e Barisardo, e ancora più giù fino a Jerzu e Tertenia, seguendo questo filo rosso per ontologia.

Tra cantine sociali ed enoteche, musei di maschere e etnografici, tra produzioni di formaggi tipici e pastifici ancora artigianali. Artigiani ne sono ancora molti, esempio vivente qui i due ragazzi che scalpellano abilmente legno di pero a modellare maschere carnevalesche che parlano ancora con la lingua dei sardi pelliti. E a Carnevale, a Pasqua, le sartiglie e gli incontri processionali fanno di quest’isola una esperienza di vita altra, diversa ed incantata, per chiunque, ci sia nato o la visiti per la prima, l’ennesima volta. Ah certo ci sono anche le spiagge e mare smeraldino. Ci si può fare un bagno ogni tanto ma, dicevano i saggi:” furant chi benit de su mare”, che da lì vennero cartaginesi e romani, pisani e aragonesi, piemontesi e italiani, non già a portare ceramiche e bronzi e vino come facevano gli etruschi da sempre, portarono armi e guerra, sterminio di popolo innocente. Ma se verrete a trovarci di questo non vi parleremo, si farà “festa manna” al suono di launeddas, lo strumento musicale dei “bronzetti”, nelle piazze dove infuria ancora il ballo sardo, vestito di gonne luccicanti di spille colorate, e per tetto, ve l’ho detto prima: un cielo di stelle.»

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