DALLA BARBAGIA, L'ARTE DELLE LAVORAZIONI IN FERRO: LA MOSTRA A MILANO DI GIOVANNI PADDEU DI MAMOIADA

Giovanni Paddeu


 
di Sergio Portas

Collocazione sicuramente sui generis  per questa mostra di Giovanni Paddeu da Mamoiada, i curatori hanno scelto la terrazza (Hi Cafè) della Mondadori Multicenter di via Marghera 28, Milano.  Che così uno può accostarsi al bar e farsi servire un calice di quello buono, oppure sedersi al tavolino e farsi circondare dai lavori in ferro del mamoiadino, posti verticalmente entrando sia a destra che a sinistra del corridoio che funge da sala-caffè. A mò di cerbero che stavolta vorrebbe non  lasciaste ogni speranza voi che entrate, una splendida chimera ( io dico che è una chimera) in ferro battuto, che si libra in modo estremamente lieve su di un supporto ricurvo che si può benissimo scambiare a colubro, con una coda serpentacea che soggiace alla presa grifagna del “mostro” sovrastante. Giovanni è un fabbro a tutto tondo. Così aveva iniziato a lavorare già giovanissimo a Mamoiada, ora viaggia sui trentasei, paese che tenta invano di sfondare il numero dei tremila, quindi necessariamente cortocircuitato dalla conoscenza comune di pregi e difetti di tutti i suoi abitanti. Gli manca solo di fare una maschera in ferro battuto al posto di quelle in pero selvatico pei  Mamuthones a Giovanni, per il resto il paese deve avere da subito ironizzato sul suo vezzo di ritorcere sbarre di ferro dolce non solo per cancelli e finestre barbaricine ma, e solo nei momenti liberi dal lavoro che gli dava il pane e formaggio quotidiani, per arzigogolare cose che gli venivano in mente al mattino, dopo il caffellatte di prammatica. E allora furono le prime lucertole, e sai che risate al bar! O addirittura i primi fiori di ferro, per mamma ovviamente. E qui si rideva già meno, che le mamme in Barbagia sono più sacre se possibile che nel resto dell’isola tutta.  Ma poi un po’ di tutto, con una linearità e un’inventiva fresca che è firma oramai dei suoi lavori. Sempre più” artista” e sempre meno fabbro? Lui non ci starebbe proprio a questa definizione, vestito in bianco e nero a ribadire una volontà di appartenenza che non teme di stonare nella grande città, e Milano grande è per Mamoiada, Govanni Paddeu mi dice che ha anche provato a lasciarla quella sua terra così particolare, ma dove trovare di meglio infine, per uno che un mestiere ce lo ha? Un mestiere che magari ricco non ti farà mai, ma se ti lascia una possibilità espressiva che viene oramai universalmente riconosciuta, In Sardegna e nel continente, cosa desiderare di più dalla vita, visto i tempi di mala congiuntura economica che andiamo correndo. I lavori qui esposti paiono modellati col pongo della mia infanzia, mostrano i giochi con la trottola e il tira-elastico che i bimbi di Guspini mi hanno insegnato all’asilo, perchè anche io mi decidessi a diventare “uomo”. Tutti hanno poi un particolare che ti spiazza, che so un occhio di vetro per la chimera ferrigna, una manina umana coi suoi cinque ditini a reggere un archetto senza crini di cavallo a fianco di un violino, o violoncello che sia, assolutamente ineccepibile, nella sua cassa armonica di ferro, con le sue corde di ferro, i suoi ponticelli di ferro. Chiedo sommessamente i prezzi delle opere esposte, in vista di arricchimenti futuri per ora assolutamente improbabili, c’è da spendere dai cinquecento ai quattromila euro ( quest’ultimo prezzo deve riguardare la chimera, davvero spettacolosa). Giovanni, da quel signore che è, tira fuori pei presenti anche un paio (più di un paio in verità) di bottiglie di cannonau da cantina rinomata, coi quindici gradi alcolici neanche tanto diluiti in sapori e retrogusti sapidi, voluttuosi perfino. La mostra rimane a Milano fino al 28 c.m., chiedete al bar un calice di cannonau, non ho idea che marche vadano commerciando questi del locale, l’ideale lo vorrebbe di Mamoiada, comunque sia è con un viatico del genere che consiglio una fermata di rigore avanti le sculture esposte. Se siete buoni sorseggiatori, tocca riempire due calici, uno per la parete di destra, uno per quella di sinistra.

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