"BUIAKESOS, LE GUARDIE DEL GIUDICE", L'ULTIMO ROMANZO DEL GIORNALISTA VINDICE LECIS

Vindice Lecis


di Gian Piero Pinna

Nel romanzo “Buiakesos le guardie del Giudice”, di Vindice Lecis, già arrivato alla sua sesta fatica, pubblicato dall’editore cagliaritano Condaghes, la Sardegna del Medioevo rivive tra palazzi, monasteri, condaghes e castelli. Una Sardegna partecipe della grande Storia, con le sue leggi, le sue istituzioni, le sue strutture sociali, e inserita nei rapporti tra gli Stati dell´epoca.

Una Sardegna dove sovrani, ecclesiastici, soldati, majorales, oppure semplici servi sono protagonisti di vicende appassionanti, ma anche aspre e violente, ambientate nel XII Secolo, in un periodo oscuro del Medioevo sardo, con la Sardegna divisa in quattro Giudicati.

Sardegna, 1127: il giovane Gonario II di Torres è costretto all´esilio non appena designato dalla Corona de logu a governare sul Giudicato del Logudoro al posto del defunto e saggio padre Costantino I. Fugge, aiutato dal fido consigliere Ithocorr Gambella, per evitare di essere ucciso dai sicari della potente famiglia rivale degli Athen, che non accettano la sua nomina e contestano la politica delle alleanze filo-pisane. La sedizione contro il sovrano legittimo avanza in un crescendo di intrighi, colpi di scena e atti oscuri.

Il rientro di Gonario, scortato da un contingente pisano, rimette in discussione tutto. Affronta la sommossa a viso aperto e comincia a governare, ma la Sardegna non è tranquilla, le mire delle potenze pisane e genovesi si fanno pressanti e a Gonario si oppone l´ambizioso Comita III d´Arborea. Scoppia un´altra guerra tra Stati confinanti ed emerge la figura del capo delle guardie palatine che accompagnavano sempre il Ggiudice, i Buiakesos, appunto. Il Majore de janna Gosantine Palas, che affronta grandi traversie militari, contrasti personali e complotti inestricabili.

Una storia quella di Vindice, articolata tra personaggi storici con altri inventati, dove  c´è uno spaccato del Medioevo sardo, che ha prodotto singolari e originali forme di autogoverno, come i Giudicati, che fecero la loro parte tra le grandi potenze europee per una lungo periodo che va dal XI al XV secolo ed erano talmente ben inseriti nel contesto europeo del tempo, che  trattavano e combattevano ad armi pari, diventando interlocutori di papi e imperatori, litigavano e stringevano intese con consoli pisani e genovesi, regnanti di Barcellona ed emiri musulmani.

I Giudici ebbero un ruolo di primo piano nel Mediterraneo, modellarono una forma statale e un corpus di leggi, rilevante per il periodo, esercitarono la giustizia ed elessero il sardo a lingua nazionale. Un arcivescovo oristanese, è stato citato anche ne Il nome della rosa, di Umberto Eco,  nel suo romanzo ambientato verso l’ultima settimana del novembre 1327, che parla delle divergenze nel mondo della Chiesa, nella quale si disputava se Cristo avesse avuto o no delle proprietà, per stabilire se il Papa poteva esercitare anche il potere temporale. Il Pontefice, che si trovava nella sede provvisoria di Avignone, aveva convocato il Generale dei Francescani Michele da Cesena, perché in un Capitolo tenuto a Perugia qualche anno prima, il suo ordine aveva proclamato che Cristo non aveva avuto proprietà alcuna e per la politica del Papato, tali affermazioni erano vere e proprie eresie, quindi, punibili col rogo. Pertanto, ad Avignone fu convocato una specie di tribunale, per dirimere la questione e prendere i provvedimenti necessari.

 “Dalla parte degli avignonesi, c’era anche un Vescovo di Alborea”, afferma Umberto Eco nel suo romanzo, e anche se lo scrittore non cita la fonte, effettivamente in quel periodo, l’Arcivescovo di Oristano, Guido Cattaneo, che era anche Cancelliere del Giudice di Arborea e Grande Inquisitore di Spagna, espletò vari incarichi per conto di Papa Giovanni XXII, e diverse missioni come garante dello stesso Giudice, sia presso il Pontefice, sia presso il Re Alfonso D’Aragona, della quale era anche amico personale. Suo grande collaboratore fu il Canonico e giureconsulto tramatzese Filippo Mameli, figura di spicco della Corte arborense, che pare abbia avuto un ruolo molto importante anche nella stesura del Codice Rurale di Mariano IV.

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