IL CORAGGIO DI RIMANERE, IL CORAGGIO DI PARTIRE: RIFLESSIONI DI UNA SARDA "DI RITORNO"

l'autrice dell'articolo, originaria di Nuoro, vive in provincia di Udine


di Maria Adelasia Divona

Voglio rompere il postulato biologico-geografico che vuole che si sia Sardi solo perché nati in Sardegna, cui è legato, per alcuni, il corollario identitario per cui si è Sardi solo perché si parla la lingua sarda (lascio a voi la scelta di intenderla come Limba Sarda Comuna con cui ci vogliono imporre una certa idea di sardità, o quella meravigliosa congerie di varianti che fanno dell’Isola un esempio di multiculturalità).

Perché io credo che Sardi non si nasca, ma si diventi: sono Sardi, con la stessa dignità e la stessa libertà di definirsi tali, i Sardi di dentro e i Sardi di fuori, gli Accudiddi (chi è immigrato in Sardegna) e i Disterraus (chi è emigrato fuori dalla Sardegna). Il fatto di essere nell’una o nell’altra condizione non ci rende più Sardi o meno Sardi. Che poi, l’essere più o meno rispetto a qualcosa è sempre dato dal confronto con uno standard. E allora, qual è il Sardo standard a partire dal quale ci misuriamo?

Proviamo a fare un gioco: spero che Simone de Beauvoir, mi perdonerà per aver utilizzato in maniera strumentale un passo dall’introduzione de Il secondo sesso (p. 19-20, Il Saggiatore, 2008). Partendo da qui, proviamo a sostituire donna/donne con Sardo/Sardi (bypasserò per questa volta l’uso di una scrittura rispettosa del genere) e femminino/femminile/femminilità con sardità. Ecco il risultato:

<E poi si può dire ancora che vi siano dei ‘Sardi’? Certo la teoria dell’eterna sardità conta numerosi adepti, che mormorano: “Perfino in Russia, i Sardi restano Sardi”; ma altri, bene informati – talvolta sono gli stessi-sospirano: “Il Sardo si perde, il Sardo è perduto”. Non è più chiaro se vi siano ancora Sardi, se ve ne saranno sempre, se bisogna augurarselo o no, che posto occupano nel mondo, che posto dovrebbero occuparvi. “Dove sono i Sardi?” domandava recentemente un periodico. Ma innanzi tutto: cos’è un Sardo? “Totus Sardus in insula: è una matrice”, dice qualcuno. Tuttavia parlando di certi Sardi, gli esperti decretano “non sono Sardi”, benché [provengano dall’Isola] come gli altri. Tutti sono d’accordo nel riconoscere che nella specie umana sono compresi i Sardi […]; e tuttavia ci dicono “la sardità è in pericolo”; ci esortano: “siate Sardi, restate Sardi, divenite Sardi”. Dunque non è detto che ogni essere umano nato in Sardegna sia un Sardo; bisogna che partecipi di quell’essenza velata dal mistero e dal dubbio che è la Sardità. […] Benché certi Sardi si sforzino con zelo di incarnarla, ci fa difetto un esemplare sicuro, un marchio depositato. Perciò essa viene descritta volentieri in termini vaghi e abbaglianti, che sembrano presi in prestito dal vocabolario delle veggenti. […] Ma il concettualismo ha perso terreno: le scienze biologiche e sociali non credono nell’esistenza di entità fisse e immutabili che definiscano dati caratteri, come quelli del Sardo, dell’Ebreo o del Negro; esse considerano il carattere una reazione secondaria a una situazione>. E qui mi fermo.

Come non esiste uno standard che ci consenta di misurare la nostra maggiore o minore sardità, così non siamo in grado di dire se siano più o meno coraggiosi, o più o meno generosi, quelli che restano in Sardegna o quelli che decidono di partire. Rimanere e partire sono le due facce della medaglia: a parità di circostanze, scommettere su una o sull’altra implica una uguale dose di coraggio, ma soprattutto una uguale razione di fatica e una uguale mole di sofferenza, che sono elementi intrinseci alla natura umana. Il coraggio di scommettere, dunque, ce l’hai sia che parti sia che resti. E sei generoso verso questa terra madre sia che decidi di restare per prendertene cura, sia che decidi di partire con l’idea di tornare con una ricchezza di capitale umano che sei pronto a restituirle per il solo fatto di averti visto nascere, anche se poi l’idea non si concretizza. Perché se è vero che non sta all’Isola dare risposte, è altrettanto vero che non è fuori dall’Isola che troverai un mondo pronto a darti ciò che ti spetta: oltremare non c’è il paese di bengodi, perché tutto va guadagnato con fatica e sofferenza, la stessa che accomuna quelli di fuori con quelli di dentro. Siamo noi i protagonisti e gli autori, siamo noi che dobbiamo cercare le risposte qua fuori, o là dentro.

Rimanere non è il solo atto di resistenza. Il desiderio di un’Isola migliore di quella che abbiamo (che non può essere una pretesa: in virtù di cosa possiamo ‘pretendere’ se non operiamo per conseguirla, questa Isola migliore?) non è una prerogativa di chi resta. Fa un atto di resistenza anche chi, stando fuori, si è assunto l’imperativo morale di lavorare per migliorare le cose, anche per chi resta. Restare in Sardegna è un diritto. Lasciare la Sardegna è un diritto che va parimenti tutelato e promosso. Io credo ci voglia coraggio per decidere di restare, e coraggio per decidere di partire. Il successo sicuro non esiste, certezze non ce ne sono per nessuno. È l’alea della vita, a prescindere che la sardità di ognuno sia endogena o esogena. Ne volete la prova? Questo è un post uscito qualche giorno fa sul blog di Tottus in Pari, che forse a qualcuno è sfuggito:

Pina Leoni (Sassari) Says:  8 Ottobre 2012 at 20:06

siamo di Sassari e abbiamo bisogno del vostro aiuto perchè non sappiamo a chi rivolgerci, purtroppo il lavoro in Sardegna non migliora e abbiamo pensato di tentare di trovare lavoro in Germania ma non conosciamo la lingua e non conosciamo nessuno che lavori già li, mio marito ha esperienza di circa trent’anni come operaio specializzato estrusorista in materie plastiche e tuttora è in cassa integrazione e vorremmo anche un aiuto per trovare alloggio. Spero che ci possiate aiutare aspettiamo una vostra risposta e vi mandiamo un grosso saluto dalla bellissima Sardegna. AJO’

Questa è una testimonianza unica: del coraggio di chi ha deciso di restare, e del coraggio di chi decide di partire e di ricominciare.

 

 

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3 commenti

  1. Alberto Mario DeLogu (Montreal)

    Curioso: proprio oggi ho citato te e TIP in una lettera che ho inviato tutti i membri della Consulta, in risposta ad una sollecitazione di Jan Lai della Filef. Ti manderò il tutto più tardi (ora ti scrivo dal dannato intellefono).

  2. Omar Onnis (Nuoro)

    Riflessione interessante. Tanto più perché viene dall’ambito della nostra diaspora. L’impianto del ragionamento è molto promettente. Spero di parlarne con Adelasia anche di persona, prima o poi.

  3. Massimo Cossu (Alessandria)

    Interessante!

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