CARBOSULCIS, PERDITE E POLTRONE DELLA MINIERA: LA STORIA DRAMMATICA DI UN TERRITORIO CONDANNATO A MORTE DALLA CRISI E DALLA POLITICA IRRESPONSABILE


di Claudia Sarritzu

Quasi 700 milioni di euro in 12 anni, perdite per 16 milioni, 500 lavoratori che rischiano la cassa integrazione e una provincia alla fame. Potremmo iniziare così il racconto della storia drammatica di un territorio condannato a morte dalla crisi e scritta da una politica irresponsabile. Dal 1995, anno in cui è subentrata nella proprietà la Regione Sardegna, con lo scopo di accompagnarla alla privatizzazione, cosa che non è mai capitata, la Carbosulcis ha incassato 70 milioni di euro l’anno di cui più di 350 milioni derivano dallo Stato centrale e gli altri 300 dalla Regione. Questi innumerevoli contributi sono stati gestiti da un management interamente scelto da viale Trento, ricordate il caso di Alessandro Lorefice, il ventottenne privo di titoli specifici nominato da Cappellacci che aveva scatenato le reazioni indignate dell’opposizione e che era stato costretto a delle fulminee dimissioni? Tipico esempio di nomine camuffate dietro la nobile intenzione di svecchiare alcuni potentati mascherando invece la volontà di piazzare semplicemente il figlio di. La Regione che è l’unico azionista ha concretamente l’intera responsabilità di un’azienda che non solo non riesce a essere competitiva, pensiamo al costo di una tonnellata: 86 euro contro i 35 del carbone cinese, ma non riesce neppure a sfruttare l’oro nero della Sardegna, un combustibile che potrebbe fare concorrenza al petrolio e che potrebbe valere circa un milione e mezzo di tonnellate all’anno. Ci si chiede, se non ci fosse stato il caso Lorefice, se qualcuno di recente si sarebbe interessato a quello che appare a tutti gli effetti un carrozzone pubblico? Nonostante i contributi regionali di 30 milioni, la gran parte però copre le quasi 500 buste paga e solo il restante va in ricerca scientifica e nell’estrazione del carbone. La Carbosulcis è in rosso per 16 milioni, i finanziamenti che dovevano arrivare attraverso l’approvazione del progetto per rilanciare la miniera grazie alla produzione di energia pulita da carbone con la cattura di Co2 dal terreno e che l’Unione Europea ha bocciato ha la melodia di un requiem per l’intera provincia del Sulcis. Il progetto in questione sarebbe costato 200 milioni l’anno per 8 anni, ma Porto Tolle in Veneto sembra essere il favorito. Dopo tutto l’aveva ribadito in questi giorni anche il ministro De Vincenti che il governo Monti avrebbe accantonato un piano così costoso in epoca di tagli drastici e che l’esecutivo era già impegnato con Alcoa ed Eurallumina, – non si può dare tutto al Sulcis -Iglesiente- dando l’impressione che a prescindere dai costi la decisione era già stata presa. Lo stesso segretario della Camera del Lavoro sulcitana Roberto Puddu già prima dell’occupazione della miniera ripeteva che la Carbosulcis per quanto sia un grande problema se dovesse abbattere le perdite e ripartire sarebbe una boccata d’ossigeno per un territorio che necessità di energia a basso costo. Molti affermano che vanno salvati i minatori ma abbandonata la miniera, e riconvertito il loro lavoro come è già capitato agli ex Rockwool. Forse questo è il momento delle bonifiche, adesso o mai più. Ma quanto costerebbe in termini elettorali una posizione così netta che sa molto di salto nel vuoto?

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2 commenti

  1. il progetto costerebbe 2oo milioni l’anno cioè un miliardo di euro in 5 anni,soldi che non ci sono.Fatti salvi i salari un nuovo approccio di riqualificazione territoriale appare indispensabile se non si vuol replicare la disastrosa vicenda di Ottana……dicono gli esperti…….

  2. Soprattutto poltrone ben retribuite per manager fantasmi sul piano delle idee e dei programmi

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