L'ECO DI MELODIE ANTICHE: LA MAGIA DELLE LAUNEDDAS DI JONATHAN DELLA MARIANNA

Jonathan Della Marianna, suonatore di launeddas, è di Escalaplano


di Valentina Usala

Lo incontro a Grenoble. Io, prossima alla partenza e lui appena arrivato nella città francese. Un saluto, due chiacchiere e giusto il tempo per fargli qualche domanda. A seguire un arrivederci ad Escalaplano. Vestito di tutto punto, come vuole la buona norma, e a breve sfodererà le sue launeddas, che accompagneranno il gruppo folk di Escalaplano nelle danze, e intratterranno così il pubblico, durante la manifestazione. Il suono delle launeddas ha da sempre catturato la mia attenzione: una melodia coinvolgente e talvolta ammetto, ha strappato anche qualche lacrima ai miei occhi, al mio spirito, al mio cuore, perché dire launeddas è come dire Sardegna. Racchiudono una storia, trascinano con sé melodie intrise di ritmi nuragici, bucolici, commoventi e gioiosi al tempo stesso.  Ho il piacere e l’onore di parlare di un giovane, impegnato nel campo della musica folkloristica, che proviene da Escalaplano, dal mio paese di origine. Un eccellente musicista, senza essere di parte. Ospite già di numerose piazze e altrettante associazioni sarde. Nato nel maggio del 1983, lui è l’escalaplanese Jonathan Della Marianna.

Parlami della passione per la musica folkloristica e come è nata? Andando a ritroso negli anni, nel 2005, ero uno studentello che nel week end rientrava da Cagliari. Si teneva un corso di strumenti tradizionali nel mio paese, Escalaplano. Io ero all’oscuro di tutto, come del resto lo ero della tradizione musicale sarda in generale. Tra gli allievi del m° Orlando Mascia c’era anche un mio cugino. L’incontro con lo strumento è avvenuto assolutamente all’improvviso: una sera a casa sua lui accontentava la curiosità di altre persone verso queste misteriose “canne”, anch’io mi avvicinai e mi chiese di provarle. Presi sa mancosedda (la canna singola, destra) e riuscii ad emettere le stesse note che ci aveva appena fatto sentire, chiaramente solo per qualche attimo. Eppure non le avevo mai sfiorate!! Lui rimase quasi sbalordito: “Devi assolutamente venire alle lezioni.. ma sei matto” diceva. “Hai fatto quello che io ho imparato in qualche mese!!”. Così successe. Quando portai a casa i miei primi sonus avrei voluto vedere la mia faccia. Me ne resi conto guardando i miei genitori, che erano più contenti di me! Provavo ore di fila, tutti i giorni. Ma feci in tempo ad imparare a suonare le tre canne dello strumento contemporaneamente, ovvero 6/7 lezioni, che il corso finiva. Era primavera inoltrata, l’estate incombeva e io ero indietrissimo con gli esami. Passò tutta quella stagione, e oltre, che non toccai quasi niente le mie launeddas, almeno come dovrebbe richiedere la quotidianità. Mi pentii amaramente di quella pausa, un grande errore. Ma dentro me era già nata qualcosa che avrei sempre voluto fare, ma non sapevo assolutamente. Un colpo di fulmine talmente potente che l’anno successivo rincorsi Orlando e le sue scuole in qualsiasi posto, da Quartu a Escalaplano. Così per qualche anno, anche perchè si creò un rapporto stupendo da subito, sia col maestro che con i “colleghi” che tutt’oggi formano l’Orchestra Popolare Sarda. Bellissimo anche l’incontro con Orlando, mi mise subito alla prova perchè mio cugino mi presentò a lui come non so quale talento. Rido perché non mi sfiora minimamente l’idea. Assolutamente. Dal primo momento e dalle prime difficoltà ho saputo quali erano i miei limiti e credo che in ciò ha avuto un ruolo fondamentale proprio il maestro, dirigendomi su una strada “personalizzata”, adatta alla mia situazione di apprendista. Così come fa per tutti gli altri suoi allievi. Questo credo sia ciò per cui lo amano tutti i bambini e le persone che lo seguono anche di notte, affinchè porti avanti le tante scuole di launeddas! Ho sempre oziato nell’umiltà, qualsiasi cosa abbia fatto. Questo mi rendo conto sia un mio punto di forza. Chiaramente senza vantarmi!

A che età hai iniziato a suonare il tuo strumento? Quanto ti impegna e quanto tempo gli dedichi? Avevo 22 anni….. “suonati”, quando testai con mano le launeddas! Quanto odio dirlo (perchè è un controsenso da scansafatiche!) ma rispecchia le mie attuali giornate: il tempo non mi basta più. Tra lo studio o il lavoro ho sempre cercato di mantenere una certa costanza quotidiana. È uno strumento abbastanza “sonoro”, quindi bisogna saper adeguare anche gli orari. I primi anni che suonavo, e stavo in città, mi sentivo in gabbia. Suonare o la mattina o la sera. Per poco tempo. Qui a Escalaplano invece è una pacchia. Casa isolata, vicini “generosi”. Non faccio conto dell’orologio, a volte ci scappano intere serate a provare tutti i diversi strumenti, a sperimentare, ascoltare e riascoltare le registrazioni dei grandi maestri, a trovare il giusto feeling, confrontarsi con la pazienza, a essere se stessi. Perchè lo stato d’animo parla mentre suoni. E in più c’è la parte della costruzione!! Il primo anno, Orlando dedicò l’ultima lezione ad un autentico laboratorio di costruzione delle launeddas. Immagina un grande tavolo, tante canne e attrezzi sopra, tanti bambini e ragazzi attorno. Io, nipote e figlio di falegname, ero a casa mia! Realizzai lì la mia prima mancosedda. Ero ancora più innamorato. La mia testa registrava anche il più microbo consiglio di Orlando, provavo e riprovavo a intagliare su un mazzetto di canne che lui stesso mi regalò, avevo bisogno di realizzare. Alla fine della stagione del taglio riempii una stanza di casa di mazzi di canne. Non avevo mai visto farlo prima, riconoscerla, sceglierla. Eppure, il girovagare in lungo e in largo mi accelerò la conoscenza e l’esperienza, già dalle prime battute. Dalle prime lezioni ho sempre suonato, costruito i miei strumenti, come tutt’ora continuo a fare.

Quali emozioni suscita in te questo lavoro e soprattutto il pubblico che applaude i tuoi pezzi? L’emozione……. e chi sa descriverla. È tutto il corpo che entra in gioco, che si mette in moto. C’è il tuo respiro, la tua forza, il ritmo, ci sono la passione e il sentimento che non sai nemmeno da dove bruciano. C’è la pancia, anche le gambe. Tu metti in piazza tanta gente e subito dopo un ballo sardo. Se potessi guardare contemporaneamente tutti i piedi vedresti uno spettacolo incredibile: si fuint is peis! è inevitabile, fa parte di noi sardi, non riesci a star fermo. Poi c’è l’energia che spingi dentro is cabitzinus (la parte che sta dentro la bocca): è tutto diventa magia. Un frullato di tutti questi ingredienti, con un tocco di audace coraggio, produce un incantesimo fantastico. Soprattutto quando tutto ciò lo confronti con la gente. Che esplosione. Nei posti dove sono stato ne son successe di mille colori. C’è chi piange e ti rende la suonata diversa da tutte le altre volte; chi la usa come ninna nanna e si accoccola nella sedia; chi ti abbraccia e rischi di far uscire le launeddas dalla gola; chi non ti vuole sentire perchè è troppo noioso, o antico, o fa venire il mal di testa. C’è chi balla, chi canta, chi prova due minuti di allegria. C’è il boato dell’applauso, vedi occhi spalancati, attoniti, ma non puoi rassicurarli del fatto che comunque sto respirando tranquillamente! Ci sono gli amici che a un certo punto vogliono suonare anche loro. Ci sono le preghiere in sottofondo, le piazze vuote, le notti a smontare tutta la strumentazione (e Andrea non fa mai niente!), la lampada del banco di casa sopra la testa e gli occhi che si chiudono. Ma ci sono soprattutto le mura di casa e mamma che ne avrà la testa piena???

Dove svolgi il tuo mestiere? La sala prove è casa mia. Poi ci sono le suonate vere e proprie, le processioni e le serate: le piazze, le strade, i palchi, i bar, anche sopra la funivia, in nave, in aereo. Chi più ne ha… Ogni occasione è quella giusta. Non bisogna tracciare linee di confine tra le cose piccole e quelle più grandi, sarebbe un vero sacrilegio! Questo principio l’ho covato come un grande trucco, un segreto pure banale.

Quali traguardi hai raggiunto fino ad ora? Traguardi tanti e nessuno. Ogni prima esperienza, nel senso di avere a che fare ogni volta con situazioni diverse (una processione importante, una suonata su un palco o con un gruppo che balla, un associazione culturale sarda al di là della Sardegna), è stata di per sé un traguardo. Ma le cose da imparare sono veramente tante e ogni volta è come se realizzi un’avventura nuova.

Le prime uscite chiaramente le ho fatte con Orlando, con i suoi allievi, con l’OPS. E contemporaneamente a Escalaplano, per le feste.  Piano piano si conoscono tante persone e nascono tante collaborazioni.

Speranze per il futuro della tua musica e della Sardegna, quella vera e non fatta di Billionaire e Costa Smeralda. Questo tipo di musica è immortale. Resterà viva finché esisteranno i nuraghi e la nostra isola. A cavallo degli anni ’70, i maestri si contavano su una mano, in molti posti si disprezzavano le tradizioni a causa dell’avvento dell’elettronica. Oggi c’è un risveglio di massa, la nuovissima generazione ha il desiderio di imparare e scoprire la musica sarda, il ballo… il “vecchio”. Piccole situazioni esistono, come da noi, ma non si è riusciti mai a “espanderci”. È come qualsiasi ambito economico isolano, qualsiasi produzione locale: qua esiste la qualità e la rarità più assoluta, perché tutto è avvenuto  da padre in figlio, dentro casa, da più di tre millenni. La cucina, l’artigianato, la pastorizia e la natura, i riti e le credenze, le arti e la lingua. Quante cose ha questo continente?!?! ma sono le stesse per cui i sardi di certo non ne traggono un guadagno giusto e proporzionale, vuoi la difficoltà politica e la contraddizione nel abbiamo nel sangue. Chiunque “mangia” grazie al nostro territorio. Esclusi i sardi! Mi accorgo di tutto ciò vivendo in Sardegna, ma stando a contatto con centinaia di emigrati… migliaia. La singola storia di ognuno di loro, vissuta e fondata su un filo lunghissimo che non li ha mai staccati da questa terra, è il rispecchio di come procedono le vicende attualmente. Quanto basterebbe non sembra vero, ma la verità è che basta un niente per dimenticarci l’uno dell’altro. È così rimane la Sardegna in cartolina, lucida e Smeralda, sfruttata di opere che qui non hanno mai portato nessun privilegio, che chiudono i battenti, intuizioni che hanno voluto imporci per toglierci perfino la cultura, la dignità. Nelle scuole hanno sempre escluso la Storia della Sardegna, e noi non abbiamo mai combattuto abbastanza. Come accade ora per sa limba. Sarebbe un grande passo. La nostra cultura prima di tutto.

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3 commenti

  1. Jonathan Della Marianna (Escalaplano)

    Jonathan Della Marianna ti ha menzionato/a in un commento.
    Jonathan ha scritto: “dal profondo del cuore:
    un sentito ringraziamento alla MIA giornalista che è davvero una bomba, una forza della natura, sarda de conca a peis……. Valentina Usala!!!!!!!!!!!!! (ma un vero incontro, del tipo seduti a un tavolino..candu ddu feusu??)
    e chiaramente un doveroso riguardo al redattore della rivista che è un’autentica continuità territoriale per i sardi nel mondo, per quelli che lo sentono dentro.. Massimiliano Perlato.. complimenti a voi!!”

  2. Alessandra Basciu

    ceeeee!!! il mio amico BaccuBaccu!!? ? ?

  3. Valentina Usala (Tortona)

    E quale onore!!!! wow!! 🙂 grazie a te per la disponibilità!!! Grazie mille per tutti questi elogi!!! 🙂 Oh Jonathan!! ddu feusu, ddu feusu!! Complimenti ancora a te ;)…….e come sempre grazie a Tottus in pari!

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