UN TEMPO CHE NON E' MAI LONTANO: LA GIORNATA DELLA MEMORIA, MANIFESTAZIONE DELLA PROVINCIA DI CAGLIARI


di Brunella Mocci

 

DEDICATO

A chi vive solo nella testa chi lo ama e a chi ormai non è più da nessuna parte.

Dedicato a tutti quelli che sono andati via in silenzio e a chi lo ha fatto urlando.

Dedicato a chi ci ha permesso di fare quello che stiamo facendo.

Alla gente che abbiamo amato,

a quella che amiamo,  a chi prova ad amarci,

a chi vorremmo amare.

Dedicato alle genti che cerchiamo

senza mai trovare,

e a quelle che troviamo senza dover cercare.

Dedicato alle mani che abbiamo stretto, 

alle braccia che ci hanno stretto, sfiorato,

toccato e accarezzato,  ma anche picchiato, violato, respinto o trascinato.

Dedicato alla luna, al sole e alla terra che ci accoglie,

all’acqua che ci ha bagnato e al fuoco che ci ha scaldato.

Alle nubi che oscurano il cielo e ai venti che le porteranno altrove.

Dedicato a chi ci ha fatto sentire vivi e a chi questa vita vorrebbe portar via.

Dedicato alla memoria del tempo trascorso che ci permette di ricordare chi siamo stati.

e a tutto il tempo a venire, che ci faccia riconoscere quello che siamo.

Dedicato, senza nessun dubbio, alla vita.

Testo tratto da: “La corona di Nemesi” (AA.VV. – Edizioni LILA – Giugno 1995)


Ogni  memoria, per essere tale,  credo abbia  bisogno che noi la ospitiamo in un tempo tutto nostro.  Un tempo che non sia mai troppo lontano dal nostro presente.  Per poterla davvero preservare, riconoscere  e rinnovare come merita.

A questo ho pensato quando, in un tempo molto recente, ho visto Auschwitz per la prima volta.  Ho pensato ad un tempo di quei luoghi e di quei fatti che non era poi molto lontano da questo nostro presente che oggi pensiamo civile e di pace.  Su questo tempo per la memoria vorrei qualcosa oggi. 

Sopratutto oggi. 

Giorno dedicato alla memoria o,  forse meglio,  alle diverse memorie.

Un tempo, quello della memoria e delle memorie, che appartiene a tutti noi,  come genere umano.   Ci appartiene insieme a tutti i suoi orrori ed errori.

Insieme alle tante forme di violenza o discriminazione fatte sempre da uomini verso altri uomini.  Violenza e discriminazione che marchiano a fuoco ogni tempo.

Per questo motivo, il tempo di ogni memoria, è un tempo che dobbiamo cercare di non allontanare mai troppo dal nostro presente.

Per non ripetere tali errori.  Per non rivivere gli stessi orrori.

Ma farlo non è semplice.  Perchè molti errori, molti orrori insieme a troppe violenze e discriminazioni spesso si ripetono. E li riconosciamo sempre troppo tardi.

Noi della LILA siamo testimoni di un tempo a noi molto vicino,  poco più di un decennio fa, nel quale le speranze di vita delle persone sieropositive, erano davvero poche, pochissime, di solito alcuni mesi.

Mesi trascorsi in un reparto infettivi dove il terrore e l’impotenza si potevano toccare con mano, negli occhi dei pazienti come in quelli dei  medici, con i malati isolati in reparti fatiscenti, ad attendere la morte.  Come un sollievo.

Essere colpiti dall’aids significava infatti perdere improvvisamente tutto.  Si perdeva il lavoro, gli amici, la famiglia, e con loro i legami con il presente.

Significava morire, per gli altri prima ancora che per se stessi, dovendo percorrere da soli la strada di un rapido oblio sociale.  Si moriva  prima ancora di essere davvero morti.

Alla violenza del male fisico si accompagnava troppo  spesso la pietà, discriminante e ipocrita, della rimozione sociale. 

Perchè la malattia evolveva in tempi rapidi ed in maniera devastante trasformando le persone in poveri corpi irriconoscibili e sofferenti. Corpi  difficili da reggere alla vista e ai nostri sensi.

Corpi deportati. Senza più coscienza o memoria di quei giovani uomini e donne che essi erano stati fino a poco tempo prima. 

Oggi sappiamo che la situazione è molto cambiata.

Le aspettative di vita delle persone sieropositive sono molto differenti, sono persone che vivono, lottano nel quotidiano e hanno speranza nel futuro. Come tutti.

La violenza di quel male, in grado di distruggere un corpo in pochi mesi, è cessata.  E grazie a delle terapie permanenti, che non sono comunque una cura, possono  ammalarsi o  decadere nel fisico e invecchiare allo stesso modo di tutti quelli che sieropositivi non sono. 

Però la discriminazione e il pregiudizio, assurdamente, rimangono, assumendo tante forme, spesso velate, ma simili alla pietà ipocrita di un tempo.

E’ ancora troppo difficile oggi per le persone sieropositive rendersi visibili ed essere accettate nel proprio presente. L’esser stati colpiti dal virus hiv non è infatti cosa che si possa, ancora oggi, manifestare pubblicamente e serenamente. 

Cosa difficile da raccontare in confidenza ad un amico, o per la quale sperare di ottenere quella comprensione istintiva verso chi è malato di cancro,ad esempio, o di un’ altra malattia grave. 

Chi è sieropositivo convive quindi oggi con il proprio male come con un ospite nascosto all’interno del proprio  corpo. E  questa simbiosi con il virus è vissuta nel silenzio e nella sofferenza a causa dello stigma sociale. Non poterne condividere il peso, come sarebbe naturale poter fare per qualsiasi altra malattia, accresce il male fisico di un male interiore ancora peggiore.

La persona con hiv vive questo stigma ogni giorno, teme per il suo lavoro, per la sua salute, per la sua famiglia, per la sua vita.

Per molti sieropositivi, persone che vivono il proprio presente, come me e voi, il virus continua ad essere quindi l’unica parte di se stessi o della propria vita che all’esterno non è possibile far conoscere.

E si sentono esclusi dal resto della società perchè lo stigma diventa anche una forma di controllo da parte di chi ha il potere di negare loro dei diritti.

Ciò accade in modo evidente in quei paesi dove i governi usano le leggi per negare libertà alle persone con hiv o impongono restrizioni che ne impediscono l’accesso, dall’estero, anche solo per una vacanza.

La discriminazione nei confronti del malato che in qualche modo ci sembri diverso da altri malati  è quindi un pregiudizio duro a morire ed è  causa di sofferenza più letale della malattia stessa. Non esistono malati diversi. Ci sono solo persone. E alcune fra noi possono avere anche l’hiv. 

Ma la memoria di un male che è stato, rimane purtroppo oggi, a rappresentare ancora il sieropositivo nella società in cui egli vive. 

Anche se il trattamento sanitario oggi permette di avere una vita più lunga, questo non è  sufficiente. Perchè troppo spesso i malati, tutti i malati, ma sopratutto i malati di aids, sono privati della dignità di parola, della memoria e del diritto ad esistere ancora come persone. Questa negazione della dignità degli individui è prodotta anche  dal disprezzo latente e malcelato che si ottiene rimuovendo il problema dall’attualità o stigmatizzandolo in un modo strisciante.

E’ proprio l’approccio pietistico alla malattia e al malato inteso come diverso, unito alla rimozione sociale, uno dei  fattori che contribuisce, nell’opinione pubblica, alla scomparsa di qualsiasi logica di prevenzione dell’Aids. Scomparsa di cui sono spesso artefici  o complici proprio le istituzioni.

Oggi infatti una istituzione pubblica che rimuova o nasconda il problema della discriminazione sociale nell’ambito dell’Aids e della sieropositività, e magari non spenda un euro, da anni, per fare una corretta azione di prevenzione è una istituzione pubblica discriminante.

Una istituzione pubblica che abbia oggi, ad esempio, ancora paura di pronunciare il termine preservativo, come vediamo spesso avvenire in Italia è una istituzione che viola i diritti umani e la dignità di interi gruppi o minoranze sociali.  Qualsiasi atteggiamento culturale che poggi sulla separazione tra un “noi”  ed un” loro”, tra persone sane e persone malate, è un fattore discriminate.

Uscire dal silenzio imposto della morte sociale, è un percorso lungo e difficile, che tocca e coinvolge tutti. Ed è un processo che richiede memoria, rispetto e condivisione tra le persone, fra il malato e gli altri. Processo che non può essere attuato se ognuno di noi non fa la sua parte.

La nostra memoria è quindi qui, oggi e in questo tempo.

La nostra memoria è nel ricordo del passato ma sopratutto nelle azioni e nelle idee di ognuno di noi nel presente. La memoria come spinta ad aprirsi oggi verso il futuro, perché possano essere riconosciuti rispetto e dignità a tutti, comprese le persone sieropositive.

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