RIABBRACCIA L'AMICO CON CUI CONDIVISE UN AVVENTUROSO VIAGGIO SULLA NAVE MILITARE "ETNA": INSIEME A TOKYO, LO RITROVA 47 ANNI DOPO

Francesco Nania di Carini e Michele Moro di Olbia


ricerca redazionale

Si sono riconosciuti tra i quindicimila del raduno dell’Anmi di Gaeta, 47 anni dopo quell’incredibile viaggio in nave da Livorno a Tokyo su una nave da guerra. Era il 1964, e l’olbiese Michele Moro, oggi maestro d’ascia in pensione, era sullo scafo della marina militare chiamato a rappresentare l’Italia ai Giochi olimpici nipponici. Vicepresidente dell’Associazione marinai d’Italia cittadina, 69enne, ha ritrovato un vecchio amico con il quale condivise una splendida avventura sulla nave appoggio “Etna”, il siciliano Francesco Nania, di Carini. Per entrambi è stata un’emozione indescrivibile andare a ripescare nel mare dei ricordi di quel periodo. Una sorta di “carrambata” in salsa marinara, il raduno si è colorato di nostalgia e orgoglio. «Non avevo mai partecipato ai raduni – racconta Michele Moro, la cui famiglia ha fondato l’omonimo cantiere navale – ma questa volta mi sono lasciato coinvolgere. Ed è stata un’esperienza emozionante». Giovanissimo, appena ventenne, fu chiamato per il servizio di leva nella Marina militare sul glorioso incrociatore “Montecuccoli”, un mostro di 200 metri di lunghezza per 8000 tonnellate. Fu inserito nel gruppo della V Divisione navale che avrebbe dovuto effettuare una missione sulla nave scuola “Etna”: dall’Italia al Giappone per le Olimpiadi di Tokyo. «A bordo c’erano i cadetti e i benemeriti delle varie armi – ricorda -. Io ero marinaio semplice con mansioni di aiuto cucina e proprio alla mensa avevo conosciuto Francesco Nania, che era sergente. Partendo da Livorno toccammo parecchie mete esotiche: Suez, Karachi, Bombay, Singapore, Manila e Tokio». Era già in corso la guerra in Vietnam, il clima non era dei più tranquilli, specie per chi transitava al largo delle coste indocinesi: «Ricordo ancora l’impressione che suscitò in me la rivelazione che mi fece un ufficiale: “ti voglio far vedere una cosa”, mi disse, e mi mostrò un punto nel mare. Era il periscopio di un misterioso sommergibile che teneva d’occhio ogni nostro movimento». Moro ricorda anche la visita ai musei dell’atomica di Hiroshima e Nagasaki, «luoghi dai quali vai via con la depressione addosso». E poi, in Giappone, la messa a bordo con tutti gli atleti azzurri, la fugace stretta di mano a Berruti («ma eravamo sempre inquadrati e non c’era molto tempo per conoscerli». Ricorda il sostegno (lo scrisse anche la Nuova dell’epoca) che i marinai italiani diedero al pugile sardo Atzori impegnato con un temibile bulgaro, a Kobe: “Ho vinto grazie a voi”, ci disse». E siamo a oggi, con il raduno di Gaeta e l’incontro. Casuale. «Dopo la grande sfilata. parlando con un gruppo vicino al nostro – racconta Moro – ho detto scherzando “Guardate che sono uno della Montecuccoli”. E Francesco: “io ero sull’Etna”. “Anch’io” ho detto. “Sì, ma io con l’Etna sono stato in Giappone” ha replicato. «Anche io…». In quel momento ci siamo riconosciuti ed è scattato l’abbraccio». Perché, anche dopo una vita, quella divisa, come le emozioni, ti resta sulla pelle per sempre.

 

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Un commento

  1. Gino Discornia

    Salve, ho letto solo oggi questa notizia e mi dispiace deluderti perché quello che ti fu fatto vedere non era né un periscopio né uno snorkel di sottomarini. Ti spiego il perché: anche io sono stato in Giappone con nave Etna ed ero radarista perciò, poiché i due radar che avevamo sempre attivi e uno dei quali era in grado di rilevare una bottiglia in mare fino a circa 3 metri sottobordo e l’ecosonar uguale, non fù quindi rilevato nulla anche perché noi facevamo far pratica agli allievi dell’accademia di Livorno 24 su 24. E’ vero che la situazione internazionale non era bella ma si limitava solo ai paesi mediorientali tanto che l’unica possibilità di rientro in Italia, ci costringeva a non passare da Suez ma da Gibilterra facendo il giro dal suddAfrica. Fortunatamente ciò non avvenne e rientrammo da Suez. Questo è per precisare. Desideravo anche dirti che il tuo viso mi sembra ricordarlo. Saluti, Gino Discornia

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