L'OPERA GRANDIOSA DI ANTONIO TEDDE, UN VESCOVO DA MEDAGLIA D'ORO


di Vitale Scanu

Per soccorrere i poveri – contadini, pastori, artigiani – il vescovo Pilo (1761-1786) si fece povero tra i più poveri, arrivando per questo perfino a vendere beni della chiesa e suoi personali, scontrandosi aspramente con quei “poveri” sacerdoti dal braccino corto, avari e completamente disinteressati alla miseria che martoriava le comunità. Povero al punto da dover essere egli stesso aiutato dalla gente.

Sarà mai possibile – diceva ai suoi preti – che il vile e sordido risparmio di un sacerdote avaro, dopo averlo coperto di rossore in faccia degli uomini, l’abbia poi da coprire di confusione emergendosi a testimonio contro di lui al Tribunale di Gesù Cristo?”. Ma incalzava anche i ricchi e benestanti ad aprire i cordoni delle borse e i magazzini. Giustamente, dalla segreteria reale di Torino, alla morte di monsignor Pilo arrivava al viceré Solaro questa attestazione: “La somma estimazione, in cui era anche qui (a Torino) monsignor vescovo di Ales per la conoscenza che si aveva delle esimie sue virtù, ne ha fatta compiangere vivamente la perdita, la quale non sarà forse così facile a ripararsi”.

Uno dei capitoli maggiormente infuocati nel passaggio dal feudalesimo all’età moderna fu l’imposizione della roadìa, quella tassa dovuta al feudatario sotto forma di obbligatorie prestazioni d’opera. Is cumandatas, diremmo oggi. Bannari (oggi Villa Verde), Pau e gli altri paesi di parte Usellus “furono i più determinati nel denunciare e respingere gli abusi e gli aggravi feudali”, specialmente la “roadìa”, da cui erano esentati nobili ed ecclesiastici. Siamo attorno agli anni 1790-92. I poveri vassalli protestavano aspramente perché “los prohombres (rappresentanti del feudatario) han cargado a los pobres y aligerado los ricos de hazienda”. I villaggi renitenti alla roadìa finivano in condizioni tragiche, al punto da dover soddisfare l’esazione in denaro con gravosi prestiti dagli usurai e vendendo i pochi beni restanti. Era la fame più nera e l’azzeramento totale dell’agricoltura. Il vescovo Pilo (come anche il suo successore Michele Aymerich), si schierò senza tentennamenti a fianco dei contadini, dei pastori e degli artigiani. La determinazione dei vassalli a contrastare duramente gli ordini del feudatario insospettì l’amministratore feudale Grondona: “Questa renitenza… ha fatto fondatamente credere che ciò provenga dal suggerimento di qualche persona mal intenzionata”. La “persona mal intenzionata” era chiaramente individuabile nella persona e nel sostegno incondizionato del vescovo alla rivolta dei contadini e dei pastori. Ma nonostante l’azione contrastante del vescovo, la risposta del feudatario (la Marmilla era allora soggetta ai marchesi Carroz di Quirra) fu l’invio della forza armata, a spese ancora dei sindaci renitenti, i quali dovevano pagare fino all’ultimo centesimo, arretrati compresi. Così scriveva mons. Aymerich: “Una buona parte degli infelici vassalli fu costretta disfarsi de’ loro buoi di lavoro, e molti di questi se ne andiedero esuli colle famiglie” (anni 1800-1805). E’ l’inizio della moderna emigrazione.

Se nei secoli passati Ales ebbe una serie di vescovi straordinari in campo sociale, il secolo XX non è da meno e il quadro non sarebbe completo senza elencare almeno la figura eccezionale del vescovo Antonio Tedde (1948-1982), di cui molto si è scritto e detto, ma che resta ancora tutta da studiare e da rivalutare. Se il vescovo Pilo è stato il padre e la guida dei contadini e dei pastori, mons. Tedde è stato il vescovo degli operai, degli orfani, dell’assistenza sociale, dell’istruzione secondaria… Un’attività incredibile: “l’uomo che non dormiva e, peggio ancora, che non lasciava dormire”. Un’altra grandiosa figura di vescovo – pur con le sue ombre originate dallo scontrarsi del suo spirito evangelico con la dura realtà della Marmilla – un vero padre e una guida sicura, di quelli che sanno parlare, agire, sopportare, soffrire e anche tacere.

La sua attività di vescovo che, alla elezione, a 42 anni, era il più giovane della Chiesa italiana, inizia nel 1948, prima del Concilio Vaticano II, ma alcune sue grandi intuizioni anticiparono il Concilio stesso. Splendida la testimonianza della povertà durante tutta la sua vita. Subito dopo la sua ordinazione, chiese all’arcivescovo di Sassari Arcangelo Mazzotti di essere mandato nella parrocchia più povera della città. Diventato vescovo di Ales, monsignor Tedde, che nello stemma episcopale scriverà “Evangelizare pauperibus misit me”, sarà il padre della innovativa lettera pastorale “In paupertate” (1949), documento che abolirà per sempre il sistema tariffario per i servizi religiosi resi dai sacerdoti. Iniziativa in controcorrente che tanto apprezzamento e consenso avrà nei mass media e nella Chiesa italiana. Il gran Maestro della massoneria, Armando Corona, che dal 1955 al ‘69 fu medico condotto di Ales, così testimonia di lui nel suo libro “Dal bisturi alla squadra”: “Era arrivato ad Ales preceduto dalla fama di grande amico dei poveri. Era lui stesso povero, anzi poverissimo. L’ho annoverato tra i miei pazienti per circa vent’anni e l’ho sempre visto con le mutande rattoppate. I soldi che riusciva a racimolare dagli enti pubblici, dai fedeli o dalle donazioni li destinava interamente alla costruzione di orfanotrofi, di brefotrofi e di scuole, giacché allora lo Stato non provvedeva a nessuno di questi bisogni… Aveva uno spiccatissimo senso di giustizia sociale e di tolleranza che solo successivamente, come massone, io ho imparato ad applicare in tutte le mie azioni”.

Altro splendido merito del vescovo Tedde fu la sua attività culturale. Quando egli arrivò ad Ales, nel 1948, non esisteva in zona nessuna scuola secondaria, di nessun tipo. In breve tempo, spalleggiato dal suo grande amico Antonio Segni (che era pure suo padrino di battesimo), aprì due scuole medie inferiori parificate (Ales e San Gavino), a cui seguirono una terza scuola media a Guspini e due scuole magistrali parificate (ancora Ales e San Gavino), scuole sorte per servire 80 Comuni e una popolazione di 150.000 abitanti, surrogando la funzione dello Stato, del tutto assente nell’azione sociale. Mediante l’azione episcopale di mons. Tedde si elevava di molto il livello culturale e civile del centro Sardegna. A buon diritto, con decreto del presidente della Repubblica Einaudi, monsignor Tedde ricevette il 2 giugno 1954 la medaglia d’oro per meriti civili dal ministero della Pubblica Istruzione.

L’opera grandiosa del vescovo Tedde, che passò dovunque beneficando tutti e facendosi tutto a tutti, fa intravedere in trasparenza il comando di Gesù: “Ama Dio con tutto il cuore e il prossimo come te stesso”.

(I corsivi sono tratti da uno studio storico del prof. Stefano Pira)

 

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Un commento

  1. Vittorino Carta

    Ho sentito parlare un gran bene dal compianto sacerdote amico don Teodoro Marcias che era stato ordinato da mons Tedde

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