L'INFORMAZIONE, TRA MONOPOLIO E LIBERTA' DI STAMPA: PARLANDO DI SARDEGNA A MILANO, UN CONVEGNO ORGANIZZATO DALLA F.A.S.I.


di Sergio Portas

Forse non occorreva andare a leggersi il rapporto annuale sulla libertà di stampa di “Freedom House” per avere conferma che il nostro paese sia, in questo campo, solo “parzialmente libero”, unico fra le grandi democrazie del pianeta. E unici a essere scivolati in questa categoria di pitocchi dell’informazione da “liberi” che eravamo ancora nel 2000, quando evidentemente Silvio nostro (e meno male che Lui c’è) ancora non aveva piazzato i vari Masi e Minzolini nella televisione “non commerciale”. Il settantacinquesimo posto ce lo insidiano Benin, Sud Africa e la Serbia, ultimo dei liberi totali sono le isole di Samoa (68°) al pari dell’Ungheria che giusto l’altro giorno ha sfoderato, merito del suo nuovo governo ultra-nazionalista, una legge liberticida su tutti i media nazionali che fa impallidire la concentrazione mediatica dell’impero berlusconiano che ci sovrasta. Diamo loro il benvenuto tra i paesi in cui giornali e televisioni trattano i loro utenti come simil deficenti, incapaci di sopportare la durezza della verità stampata o letta che sia dai telegiornali di regime ( quasi tutti). Questa poco allegra premessa per salutare il grande piacere che ci ha pervaso alla notizia che la Sardegna nostra si daterà di altri due nuovi quotidiani, rompendo finalmente quel monopolio dell’informazione che l’ha fin qui bloccata, tra “Unione” e “Nuova” la stampa quotidiana sarda era fossilizzata a un duopolio che faceva della rendita di posizione una sorta di dormitorio della notizia. Sia il giornale di Giovanni Maria Bellu, Sardegna 24, che quello di Fiorentino Pironti, Sardegna Quotidiano, sono delle novità in sé. Uno perchè finalmente apre uno spiraglio a quel vento di novità che ha portato i Zedda e Giovannelli a vincere a Cagliari e Olbia, l’altro perchè si presenta come cooperativa di giornalisti “liberi”, quindi desiderosi di mettersi in gioco, il Foglio quotidiano di Travaglio insegna, con le sole forze delle loro idee reificate in scrittura. Appena nascesse una “Videolina di sinistra, la Sardegna, intesa come sempre a Nazione sovrana, bagnerebbe il naso all’Italia e smetterebbe di vergognarsi come facciamo noi “milanesi” e “torinesi” residenti in continente ancorché nati nell’isola dei Nuraghi. E’ stato gennaio u.s. che la FASI ( federazione associazioni sarde  italiane) di Toniono Mulas, presentando un incontro sull’immigrazione italiana nel mondo aveva invitato a parlarne sia Gian Antonio Stella, editorialista principe del “Corriere della Sera” (mai abbastanza lodato scrittore della “Casta”, dove si narrano le porcate più eclatanti della classe politica nostrana) sia Franco Siddi, segretario generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Riconfermato a grande maggioranza per i prossimi quattro anni. Siddi è di Samassi. Nel suo ultimo libro , edito da Laterza 2011, NuraGhe Beach, Flavio Soriga che è di quelle parti (è nato a Uta) dice di quei suoi compaesani campidanesi doc:”…con quelli di Elmas mai fare affari perchè sono delle volpi…con quelli di Siliqua, sono africani…con quelli di Samassi, c’è la discoteca Biggest, dove una volta Veronica Ciccone in arte Madonna è andata a suonare, prima che diventasse Madonna, famosa come Madonna, ma comunque era lei, Veronica Ciccone, e, sinceramente, si faceva toccare il fondoschiena con una certa facilità…” (pag.5).  Giuro che se il libro di Soriga non fosse uscito a giugno mi sarebbe piaciuto , fare come dice  lui: se incontri qualcuno di Samassi chiedigli se è vero che Madonna…ti dirà che non solo che è vero… ma lui, in persona, lui le ha anche toccato il fondoschiena, a Madonna (pag.6). Con Franco Siddi invece abbiamo scambiato poche frasi di circostanza sull’editoria sarda, e sull’ingenuità di quel Soru che si era illuso di farsi rieleggere a presidente di regione illudendosi che la gente sarda fosse rimasta abbagliata dalle sue scelte etiche, ancorché poco popolari, e comunque mai giustamente veicolate da un sistema di media, che bene o male ancora convincono la gente a votare per una parte dello schieramento politico, saldamente monopolizzata dal padrone primo ministro e, in sua virtù, dai valvassini di giro (leggi Cappellacci). Poi aveva fatto un intervento incentrato sulla cancellazione dei fondi che lo Stato aveva sin qui destinato alla stampa degli italiani all’estero. “Tocca scì donde seu movius” aveva esordito, per parlare dei milioni di italiani e figli di italiani sparsi tra Argentina, Canada e Stati Uniti. E Tonion Mulas a ricordare la straordinaria rete di 155 circoli sardi sparsi per l’universo mondo, al servizio della Sardegna di oggi, se solo la politica sarda se ne facesse consapevole, di potenzialità a veicolare l’immagine dell’isola nostra, gratuitamente, sinceramente e sontuosamente. Gian Antonio Stella lui se l’è presa coi politici nazionali, capaci di aver buttato al vento non una ma due epopee: l’emigrazione italiana e il Risorgimento. Ha citato Nelson Mandela che, diversamente dai nostri, ha preteso che fosse restituita al Sud Africa ogni cosa della “venere ottentotta”, che col suo di “fondoschiena” aveva sbalordito i parigini del 1810. Prima immigrata inconsapevole i cui resti sono rimasti sino al 1974 al Musée de l’Homme di Parigi. Sepolta con tutti gli onori l’8 agosto del ’92 nella sua terra di nascita, due secoli dopo la sua scomparsa e dopo una vita di umiliazioni inennarrabili. Neanche il suo Veneto tratta bene i migranti che lo hanno dovuto lasciare in cerca di lavoro, e furono ben 4,5 milioni di persone, un libretto distribuito dalla Regione Veneto dedica loro otto righe in tutto, in compenso traduce in veneto Catullo ( che pure nacque a Verona) e si dimentica di citare il Tiepolo e Vivaldi e Albinoni. Poveri noi. L’Italia si è dimenticata di Raffaello Carboni, mazziniano dopo l’avventura della repubblica romana (1849) fu in Australia cercatore d’oro e sindacalista, giunse ad avanzare l’ipotesi di una repubblica australiana. Manuel Belgrano, considerato uno dei padri fondatori dell’Argentina era figlio di un italiano di Oneglia. E ancora Leon Gambetta, figlio di un droghiere genovese, fu politico di spicco in Francia fino ad arrivare a essere capo del governo nel 1882. Che Paul Cesanne venisse dai torinesi Cesana e che Emile Zola, grande scrittore francese fosse figlio di un ingegnere veneziano, lo sento per la prima volta. E ancora gli italiani che emigrarono in America del nord, Siringo fu con i Pinkerton e Pat Garret a caccia di Billy il Kid, Jhon Martino trombettiere di Custer salvò la pelle ( e lo scalpo) al Little Big Horn, e a proposito di pellerossa un tale Mattei autore di un dizionario Inglese-Sioux. Insomma una lista di dimenticati, Alfio Rossi, il più grande giornalista dell’epoca, dice Stella, nel 1904 scrisse un libro in merito titolandolo : L’Italia della vergogna. Che ora guarda alla televisione i naufragi delle “carrette del mare” che tentano l’approdo a Lampedusa. Non avendo più memoria dei numerosissimi naufragi in cui incapparono i nostri connazionali quando andavano ”all’America”.

Sull’”Utopia” che scomparve davanti a Gibilterra nel 1894 affogarono in 550. Sul “Sirio” che navigava senza carte nautiche prima di colare a picco furono pochi di meno. Era pieno di italiani come Felice Serafini che viaggiava con moglie incinta e altri otto figli. Chi aveva la fortuna di arrivare a New York si trovava un posto a dormire in Marbey Street, Little Italy, con altri nove connazionali per stanza. Li chiamavano Wop (without official papaers) , anche loro senza permessi di soggiorno, come i nostri di Lampedusa. Certo se li pizzica la nostra polizia in vena di severità finiscono nei centri di “accertamento dell’identità” per un periodo fino a 18 mesi filati. E’ la Bossi-Fini bellezza! Nel 1900 un bambino poteva essere venduto a un “padrone” per cento lire, 200 costava una macchina da cucire. Eppure figli di quegli emigrati nostrani divennero sindaci di New York e Chcago, come Fiorello La Guardia a cui è intitolato uno dei grandi aeroporti della metropoli statunitense. Dei sardi tocca dire che hanno ripreso la valigia ( magari non più di cartone) e sono di nuovo in giro per il mondo che “lavoro nell’isola non ce n’è”. Ma questi due nuovi quotidiani, davvero, sono un refolo di novità che alimenta la speranza di una svolta possibile, anche da noi.

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