INTERVISTA A BRUNA MURGIA INSEGNANTE E SCRITTRICE, EMIGRATA A TORINO DA SANT'ANNA ARRESI, CHE PRESENTA IL SUO ULTIMO ROMANZO "MILLE LIRE"

Bruna Murgia è socia del circolo "Gennargentu" di Nichelino

Bruna Murgia è socia del circolo "Gennargentu" di Nichelino


di Valentina Telò

Il desiderio di continuare a studiare e la consapevolezza di non poterlo fare senza un lavoro che le consentisse l’autonomia economica ha indotto Bruna Murgia, appena diciottenne, a lasciare l’Isola e trasferirsi a Torino.

Quali erano le tue aspettative? Volevo e dovevo trovare subito un lavoro che mi consentisse di mantenermi. Mi ero data il termine di tre mesi, dopodiché sarei dovuta tornare a casa, ma la fortuna volle che trovassi subito un impiego presso lo studio legale di un noto penalista.

Come ti sentivi, eri molto giovane, in una città così grande come Torino? Beh, non ero sola, ero ospite di mia sorella. Comunque mi sentivo divisa in due parti. La Sardegna è la mia terra, volevo stare là e mi rimproveravo di non aver avuto  la forza per lottare e restare, ma, nel contempo, avevo la consapevolezza che se fossi rimasta non avrei potuto farcela a realizzare il mio progetto di vita. L’alternativa era quella di trovare impiego come ragazza alla pari a Cagliari e nel contempo continuare a studiare. Le dirò, ci ho provato, ma ho fallito. All’età di quattordici anni non avevo l’abilità necessaria a strutturare e organizzare i lavori domestici di un’intera famiglia, che non fosse la mia, e di alternative, se c’erano, io non ne conoscevo. Comunque sono stata molto fortunata e la mia sardità mi ha aiutato molto. Essere nata in una terra di silenzio, in cui si impara presto ad aspettare e a leggere i cambiamenti nell’apparente immobilismo delle cose, mi ha spronato a lavorare molto su me stessa, a darmi un valore di senso e a riconoscerlo nell’altro.

Però il lavoro non era tutto per te, volevi qualcosa d’altro. Che cosa? Essenzialmente volevo studiare. Così non appena mi è stato possibile, dopo la maturità e l’anno integrativo,  mi sono iscritta alla facoltà di lettere, ma, dopo aver dato un certo numero di esami, ho dovuto dare la precedenza al corso biennale di specializzazione per insegnanti di sostegno presso la facoltà di psicologia, perché sapevo che mi avrebbe consentito, nell’immediato, di fare il lavoro che desideravo. In seguito mi sono abilitata a Scienze della Formazione e oggi sono insegnante di ruolo nella scuola primaria.

La passione della scrittura, quando nasce e perché? Ho cominciato a scrivere appena acquisiti gli strumenti didattici necessari e ciò è avvenuto molto presto e velocemente: è stato facile, ero una bambina curiosa e caparbia, mi piaceva giocare col suono e la forma delle parole. La scrittura, ha rappresentato, da sempre, uno strumento per fissare i pensieri, ragionare, cercare di capire i cambiamenti e le vicissitudini intorno a me. Un modo per fermare nella mente le riflessioni e il valore che riuscivo a dare agli avvenimenti. Un mezzo per catturare le immagini da cui trarre piccole storie che inventavo sopra l’olivastro nel cortile antistante la casa nella quale abitavo a Sant’Anna Arresi. Oggi è un modo per continuare a studiare e nel contempo misurarmi con altre realtà.

Tu hai pubblicato alcuni romanzi – uno di questi è una storia vera – una favola, un libro di poesie, in italiano e in sardo. Sei autrice di aforismi e taluni sono presenti in alcune raccolte.  Cosa mi dici della tua esperienza di autrice? La considero positiva. Dalla mia esperienza ho tratto, e traggo quotidianamente, spunti di riflessione per comprendere meglio me stessa, la realtà che mi circonda e modalità per interagire col prossimo.

È stato difficile trovare un editore? Se intende un editore che abbia dimostrato di comprendere compiutamente ciò che scrivo, sì.  Essere degli sconosciuti in un mare di persone che scrivono, talvolta può essere frustrante. Personalmente scrivo perché mi piace farlo, poi se scopro che a qualcuno interessa ciò che ho da dire è ancora meglio. Ho molti impegni, la famiglia, il lavoro, gli studi, e non ho il tempo di soffermarmi troppo sulle delusioni. Neppure su quelle conseguenti alla richiesta di inviare una sinossi del testo, che resta inevasa o, se arriva, è negativa.

Due mesi fa è uscito il tuo nuovo romanzo: “Mille lire”. Cosa mi dici di questa ultima fatica? È un libro ambientato nel Basso Sulcis Iglesiente (la Piana di Foxi – Porto Pino – Teulada). Una storia che prende spunto da avvenimenti reali e successivi all’esproprio dei terreni adibiti ancora oggi a base militare.

È la storia di un uomo che non sa riconoscere il valore delle origini da cui cerca di fuggire? Sì, in parte, ma c’è molto d’altro.

È anche una storia di donne? Sì, donne estremamente diverse tra loro. Ognuna con la propria percezione della propria femminilità nella dimensione del tempo e dell’importanza o meno di conservare il passato per riuscire a realizzare i propri desideri, guardare e arrivare lontano.

Un passato da cancellare? Assolutamente no. Un passato a cui guardare con disincanto, certo, ma come bagaglio indispensabile da cui partire senza rimpianti e false illusioni.

Quanto c’è nella tua valigia di emigrata che torna ogni anno in Sardegna per stare con i propri cari? Molto, naturalmente, e non è solo una questione di sentimento, ma soprattutto di testa. La geografia straordinariamente bella, ancora incontaminata e unica, di una buona parte della Sardegna, contrasta con la realtà economica caratterizzata dall’assenza di strumenti indispensabili alla crescita dell’isola e dei suoi abitanti, giovani e non. Ma soprattutto per i giovani che ancora oggi, nel maggior numero dei casi, sono costretti ad andare via per progettare un futuro (per quanto precario ovunque). Poi c’è quella parte cospicua di persone che vogliono e chiedono a gran voce di poter continuare a lavorare la terra, curare e allevare il bestiame necessario ad incrementare l’economia agro-pastorale alimentare dell’isola che trova limiti alquanto restrittivi nelle regole stabilite dall’Europa in cui, è auspicabile, si trovi, quanto prima, un equilibrio tra costo del lavoro, diritti soggettivi e produzione. 

Nel tuo libro, una delle protagoniste femminili difende con orgoglio quella parte di Sardegna. Quanto c’è di te in questo? Quanto basta per affermare con convinzione che l’agricoltura e la pastorizia possono, quantomeno dovrebbero, compatibilmente con regole stabilite e da stabilire, rappresentare un importante strumento di crescita, e non solo di sopravvivenza per pochi, per tutta la Sardegna, parallelamente allo sviluppo del turismo e dell’industria, nel rispetto della geografia del territorio, nonché della riscoperta di parti straordinariamente conservate come i furriadroxius.

I furriadroxius. Tu sei stata l’ospite della manifestazione “Furriadroxius letterari” che si è tenuta quest’anno il 22 e il 23 di agosto a Sant’Anna Arresi, località Is Spigas. Qual è l’impressione che ne hai tratto? Ritrovare un luogo in cui si conservano le case, i mestieri e le tradizioni più antiche unitamente allo sviluppo del territorio in cui sorgono nuove costruzioni e, poco distante, si sviluppano attività turistiche moderne, nel pieno rispetto della geometria dettata dalla natura, dimostra che l’evoluzione e la crescita economica e sociale possono andare di pari passo con la consuetudine. I cambiamenti stravolgono gli equilibri solo se l’uomo lo permette, diversamente si cresce nel rispetto della realtà che ci circonda e si creano occasioni di lavoro.

Tu sei stata invitata come autrice a presentare il tuo ultimo libro, come sei stata e com’è stato accolto dalla gente del posto? Direi in modo davvero straordinario. Passeggiare per quelle strade, prima, e ritrovarsi a conversare con la gente del contenuto del libro, successivamente, ma anche delle mie origini e delle cose della vita quotidiana, del lavoro e di quanto sia importante sul piano sociale riconoscersi e credere in ciò che si fa, è stato un fatto davvero insolito.

So che tieni molto a quei luoghi e sei più interessata a parlare della manifestazione che del libro nello specifico, e d’altra parte tutti possono acquistarlo e leggerlo, che cosa hai visto nella manifestazione e in su furriadroxiu? La possibilità concreta di cominciare e continuare a fare cultura coinvolgendo in modo attivo la gente del luogo, che ha dimostrato in modo tangibile la partecipazione alla realizzazione dell’evento. La possibilità concreta di creare sviluppo nel rispetto del territorio e dei suoi abitanti che chiedono di poterne conservare i valori e le peculiarità specifiche, senza limitare le ambizioni di tutte quelle persono che lì vogliono restare.

Che cosa porti con te dell’esperienza? Le immagini del mondo in cui sono nata e che mi appartengono. Un cielo puntellato di stelle: unico! Il suono malinconico e forte de is solittus. La dolcezza della poesia e la forza della scrittura. Lo scorrere del tempo sugli indumenti antichi appesi ai fili de is praccias. Il profumo del pane. La convinzione che i piccoli centri debbano essere conservati, valorizzati e preservati nel tempo.

Progetti futuri? Tanti, alcuni già avviati, ma non parliamone ora.

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3 commenti

  1. Bruna Murgia (Torino)

    Grazie!…in cantiere ho altri due romanzi, entrambi molto diversi per genere e articolazione linguistica…a presto

  2. IO HO LA FORTUNA DI AVERE LETTO I PRECEDENTI ROMANZI E LI HO TROVATI ESTREMAMENTE BELLI E AVVINCENTI. SPERO DI LEGGERE PRESTO L’ULTIMO.

  3. Ciao sono tua cugina la figlia della zia Margherita Mei ho letto la tua storia e sono orgogliosa di te. Se è possibile chiedi il mio numero di telefono a zia Margherita. Un caloroso abbraccio anche a Elisa.

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