IL LIBRO DI SERGIO PORTAS: UN VIAGGIO-INTERVISTA NELL'UNIVERSO DEL GRAMSCI SARDO


di Pietro Picciau – Unione Sarda

Un’idea irresistibile: intervistare Antonio Gramsci. Sergio Portas, docente e giornalista di Guspini residente a Milano, cede alla tentazione e inizia a lavorare al progetto quando vede in televisione la cella del pensatore di Ghilarza a San Vittore. «Lo so che le sue risposte sarebbero filtrate dalla censura», scrive Portas nella premessa al suo “Antonio Gramsci: coscienza internazionalistica e subconscio sardo”, Mediatre Editrice, 110 pagine. «Che potrei chiedergli solamente cose di poco conto, che so: della sua infanzia sarda, se ancora adesso ricorda il dialetto di Ghilarza. Se ha memoria dei compaesani e dei compagni di scuola. Non mi lascerebbero chiedere di più, temo». Fine cesellatore, Portas mette mano alla corrispondenza gramsciana dal carcere e la lettura che ne fa «è certo tesa a scovarvi», scrive Paolo Pulina nella prefazione al volume, «tutti i riferimenti che esse contengono alla storia, alla cultura, alla mentalità, ai costumi dei paesi dell’isola e dimostra quanto forte fosse il cordone ombelicale che legava il nostro illustre conterraneo alla terra natale». In una lettera alla cognata Tatiana (4 marzo 1927), Gramsci sottolinea che la censura epistolare (sembra una risposta preventiva all’intervistatore Portas), «mi toglie la spontaneità, come i primi tempi di Ustica… Scrivi a Giulia che penso molto a lei e ai bambini, ma non riesco a scrivere, proprio; scriverei come un marginatore di pratiche e ciò mi fa orrore… Scrivo a orario fisso e talvolta devo accelerare la scrittura a rotta di collo per finire in tempo; tutto ciò determina uno speciale stato di nervosismo che si riflette nelle lettere».
Nel suo viaggio-intervista nell’universo gramsciano, Portas parte dal rapporto di Nino con la lingua sarda. Lettera del 26 marzo 1927 alla sorella Teresina, in riferimento al nipotino Franco: «In che lingua parla? Spero che lo lascerete parlare in sardo… È stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea, da bambina, parlasse liberamente in sardo. Ciò ha nuociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia». Del suo percorso scolastico, Gramsci scrive al figlio Iulik il 25 gennaio 1936: «Alla tua età io ero molto disordinato, andavo molte ore a scorazzare nei campi, però studiavo anche molto bene perché avevo una memoria molto forte e pronta e non mi sfuggiva nulla di ciò che era necessario per la scuola: per dirti la verità debbo aggiungere che ero furbo e sapevo cavarmela a anche nelle difficoltà pur avendo studiato poco». Molte le domande sulla fanciullezza trascorsa da Nino, sulla salute (a Tatiana, 7 settembre 1931: «…il medico mi aveva dato per morto e mia madre ha conservato fino al 1914 circa la piccola bara e il vestitino speciale che dovevano servire per seppellirmi…». Completa l’intervista immaginaria la postfazione di Paolo Pulina su Gramsci emigrato sardo.

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