ELENA BUCCI PORTA IN SCENA LA DONNA NUOVA DI GOLDONI: LA STAGIONE TEATRALE A SASSARI CON "LA LOCANDIERA"


di Mariella Cortès

Astuta, calcolatrice, raffinata burattinaia d’uomini. Mirandolina va in scena insieme a tutte le sue sfaccettature che ne hanno fatto, grazie alla penna sapiente di Goldoni, una delle opere più apprezzate e conosciute del teatro italiano. E oggi, a render più che onore alla Locandiera è la messa in scena della Locandiera del CTB, Teatro Stabile di Brescia, presentata a Sassari il 20 e il 21 all’interno del cartellone CEDAC. Nulla, della commedia scritta da Carlo Goldoni nel 1751 e messa in scena per la prima volta nel 175,3 è andato perduto nel palcoscenico del Teatro Verdi che ha visto, per  quasi due ore,  la messa in scena della brillante Elena Bucci nel duplice ruolo di protagonista e regista insieme a Marco Sgrosso, sul palco nel ruolo del misogino cavaliere di Ripafratta.  Con loro un cast di alto livello composto da Daniela Alfonso, Maurizio Cardillo, Gaetano Colella, Nicoletta Fabbri, Roberto Marinelli, insieme per ridar vista alle vicende di Mirandolina,  una giovane donna decisamente attraente e astuta che gestisce, insieme al suo cameriere Fabrizio, la locanda ereditata dal padre. Grazie al suo fascino e a un brillante savoir fair, Mirandolina  riesce ad ammaliare ogni avventore della sua locanda senza ceder però a nessuno di essi, per rivendicare la sua indipendenza e libertà. Tra questi  il Marchese di Forlipopoli ed il Conte d’Albafiorita  che rappresentano rispettivamente la nobiltà decadente e la borghesia da poco affermatasi e arricchitasi; a resisterle è soltanto il Cavaliere di Ripafratta per il quale Mirandola si applica con tutta la sua arte della seduzione. Sullo sfondo di una scenografia ridotta all’essenziale, dove un tavolo imbandito, in una intuitiva metafora teatrale rappresenta l’intera locanda, si muovono, fluide e lusinghiere, le ombre di donne con ventagli: metafora dell’opera intera, simbolo di raffinatezza, malizia e di una femminilità mai celata. Una scelta registica che trascina nell’epoca settecentesca e fa venire fuori in maniera straordinariamente moderna,  insieme alla Mirandolina calcolatrice e vanitosa, quella forse più reale che si pone come principale obiettivo la rivalutazione del genere femminile come simbolo di forza, astuzia e intelligenza. Lo ripete e lo dimostra nei monologhi, lo sussurra mentre fa innamorare questo o quel forestiere della locanda facendone  più che un leitmotiv, una vera lotta personale.  I suoi movimenti, fluidi ma precisi, la rendono una grande burattinaia. Lei che tira e stende i fili fa sì che, al termine dell’opera, al momento della resa dei conti, i suoi spasimanti esasperino i movimenti iniziali ed i tic trasformandosi completamente in pupi del teatro napoletano. Il tutto in una rappresentazione veritiera dal punto di vista linguistico che nel progetto di Elena Bucci e Marco Sgrosso nulla toglie all’opera originale dal punto di vista del registro lessicale e del fare toscano che Goldoni aveva inserito nel testo.  Il grande merito di Goldoni, nell’aver superato il teatro dell’arte sostituendo all’uso delle maschere il volto degli attori dando loro una forte caratterizzazione che nel caso della Locandina si parafrasa in una critica, neanche tanto velata, alla decadente nobiltà  riprendendo il dibattito sulle classi sociali particolarmente acceso nel Settecento (basti ricordare che il Marchese di Forlipopoli  è un aristocratico decaduto che ha venduto il prestigioso titolo nobiliare e il  Conte d’Albafiorita  un mercante che, arricchitosi, è entrato a far parte della nuova nobiltà). Ecco infatti, affianco ai personaggi macchietta, colei che tira i fili, la corrispondente Colombina della Commedia dell’arte ribaltata in un discorso legato all’autodeterminazione e alla libertà. Elena Bucci incarna perfettamente quel prototipo di “donna nuova” descritto da Goldoni, esasperandone positivamente i monologhi e i dialoghi con il pubblico  che ne consolidano l’abile uso della parola della quale  Mirandolina si avvale come “arma” : i lunghi monologhi le servono, inoltre, per palesare al pubblico le proprie idee e per guadagnarsene le simpatie. Come si legge nelle note di regia, “Mirandolina intesse una sottile trama di gesti che confortano grandi paure attraverso la soddisfazione di semplici bisogni quotidiani, nell’illusione di poter ricreare un ordine del mondo a partire dal luogo da lei animato e abitato. Il suo servire ha la dignità e l’incedere di una regina senza titoli, tranne quello che le deriva dalla coscienza della sua capacità imprenditoriale e dallo sguardo attento e libero su quanto la circonda.” Allo stesso tempo, la solitudine degli altri personaggi, il loro voler apparire a tutti i costi, i loro gesti e le loro parole, accompagnati dagli scricchiolii di una nave, sottolinea come, in fin dei conti, su quella nave, metafora della vita, ci salgano tutti e ne assecondino, come le malizie calcolate di Mirandolina, momenti di stabilità e barcollamenti.

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