Miniere e memorie: una storia che la Sardegna ha pagato con 1.500 vite

ricerca redazionale

 

Più di 1.500 in 139 anni. Sono i morti nelle miniere della Sardegna fra il 1861 e il 2000. Incidenti sul lavoro: si chiamano morti bianche, nonostante i minatori uscissero dal ventre della terra scuri in viso e sulle tute. Neri dentro, consumati dalle polveri respirate a centinaia di metri di profondità. Storie e nomi – quando ci sono – raccolti nel libro "Sardegna, minatori e miniere". Patrocinato dal Parco Geominerario e frutto di una ricerca portata avanti dai volontari dell’associazione "Minatori Memoria", il volume vuole essere una testimonianza del tributo pagato da tante generazioni di sardi. Un passaggio dalla Storia alle storie che non vuole essere fine a se stesso. L’associazione, nata nel 2005 dalla volontà di ex minatori, figli e nipoti di minatori, ha proposto alla Regione e al Parco Geominerario il progetto per uno Spazio della memoria: 1.514 alberi da piantare – uno per ogni minatore deceduto – con la supervisione dell’Ente Foreste e il contributo delle famiglie dei lavoratori e delle scuole. Nuova vita, quindi, per non dimenticare. L’opera è frutto di uno studio iniziato nel 2004 e lungo due anni. Il comitato ha raccolto una rilevante quantità di informazioni: nomi, data di nascita, età al momento della morte, comune di provenienza, data, luogo e causa dell’incidente, comune di appartenenza della miniera. A pagare il prezzo più alto all’economia mineraria in termini di vite umane sono stati i territori più ricchi di giacimenti produttivi: 480 i lavoratori deceduti nei 46 siti dell’Iglesiente, 412 quelli morti nelle miniere del Guspinese, poco più di 400 deceduti nei pozzi di carbone nel territorio di Carbonia. La maggior parte dei minatori, quasi il 40%, ha perso la vita a causa delle frane all’interno delle gallerie, mentre più del 20% per cadute accidentali in pozzi o fornelli scarsamente segnalati. Gli incidenti meccanici ai mezzi utilizzati (vagoni, gabbie, convogli, tremogge, gru, cavi d’acciaio) hanno causato il decesso nel 17% dei casi, mentre le esplosioni (dovute al cattivo funzionamento delle mine o ai temibili gas grisou) hanno inciso per il 13%. Senza dimenticare l’asfissia, il folgoramento e l’annegamento. Statistiche e numeri collegati a storie personali. Anche se le maggiori difficoltà riscontrate nel corso delle indagini hanno riguardato soprattutto l’impossibilità oggettiva di risalire all’identità della persona scomparsa. «In effetti, almeno sino ai primi anni venti del 1900, nei registri del distretto minerario», si legge nella relazione che accompagna lo studio, «si era soliti inventariare gli incidenti sul lavoro indicando solo il numero dei periti, senza soffermarsi sulle generalità delle vittime. Un costume che, più di ogni altro, indica lo scarso peso e la minima considerazione che venivano conferiti alla vita di un minatore, ridotto alla stregua di un freddo e semplice numero». È il motivo per cui 281 minatori deceduti sui 1.514 censiti sono ancora senza nome. Fra le fonti esaminate dall’indagine figurano i racconti orali di chi ha lavorato in miniera e di chi ha vissuto a stretto contatto con gli operai: mogli, figli o nipoti. Le informazioni sono state poi incrociate e verificate con i dati presenti nei verbali e nei registri del Distretto minerario di Iglesias, nei registri parrocchiali (dove venivano registrati i defunti prima dell’istituzione dell’anagrafe), negli uffici anagrafe dei comuni e nel fondo sugli incidenti in miniera dell’Archivio Storico di Cagliari. "Minatori Memoria" è nata grazie all’iniziativa di fratel Gerardo Fabert, 73 anni, sacerdote della Congregazione dei Piccoli Fratelli del Vangelo. Prima di dedicare 23 anni della sua vita alle lotte dei contadini del nord-est del Brasile, il religioso ha lavorato per 13 anni come perforatore nella miniera di San Giovanni di Iglesias e poi, per diversi anni, a Ottana, nel complesso industriale che stava nascendo in quel periodo. Dopo l’esperienza in Brasile, il sacerdote è voluto tornare in quella che considera la sua comunità e vive adesso a Carbonia della sua pensione di lavoro.

 

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Un commento

  1. Un grande omaggio a tutti coloro che perirono per guadagnarsi la giornata,forse inconsapevoli dei pericoli della nostra terra.Immagino che anche molte donne abbiano avuto quella sfortuna facevano le cernitrici oppure altre mansione ma un lavoro di grande fatica,il famoso "paiolo" di ferro era molto pesante vuoto arrivederci pieno di minerale forse tollerabile per un uomo ma per una donna???.Non voglio aggiungere altro, ma se e vero che qualche anima e sepolta sotto quella terra dove lavoravano riposate in pace….

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