La giornata della memoria: quelle storie dimenticate. I deportati sardi nei lager

di Carlo Figari

Una targa affissa lo scorso gennaio a Ploaghe ricorda Luigi Rizzi, il sottufficiale sardo catturato dai nazisti nel 1944 e deportato nel lager di Mauthausen. Quattordici mesi di inferno, a lavorare come schiavo nelle gallerie del campo dove si producevano i missili V1 e V2. Nel maggio del 1945, all’arrivo degli americani era ridotto a uno scheletro, ma ancora vivo. Tornò a casa. Rizzi è scomparso nel 2008 all’età di 82 anni e il suo paese natale gli ha dedicato un’epigrafe proprio nella Giornata della memoria. Il 27 gennaio si commemora ovunque in Italia la tragedia della Shoah degli ebrei, ma è anche l’occasione per ricordare tutte le vittime del nazismo finite nei lager sparsi in mezza Europa. La macchina dell’orrore messa in piedi da Hitler inghiottì gli ebrei, in gran parte sterminati nelle camere a gas, ma anche oppositori politici, zingari, slavi e ben seicentomila militari italiani che si rifiutarono di passare con la Repubblica di Salò all’indomani dell’8 settembre. Luigi Rizzi era un ventenne sottufficiale dell’Aeronautica: non era riuscito a rientrare in Sardegna e si era nascosto a Firenze dove venne arrestato durante un rastrellamento insieme a seicento operai. Furono caricati sui carri bestiame e trasportati a Ebensee, sottocampo di Mauthausen. Nel lager vennero registrati come "deportati per motivi di sicurezza", cioè oppositori politici, contrassegnati col simbolo del "triangolo rosso". Dopo la guerra Luigi Rizzi preferì dimenticare, rinserendosi a fatica nella vita civile.
La scelta del silenzio durò sino al 1992, quando ormai settantenne, qualcuno lo convinse ad incontrare un gruppo di studenti sassaresi. Quell’incontro con i ragazzi lo colpì profondamente: da quel momento testimoniare divenne la sua missione. Nel 1998 accompagnò una scolaresca a Mauthausen, tornando per la prima volta nel luogo della deportazione. Luigi Rizzi è uno dei 250 sardi imprigionati nei lager gestiti dalle SS. Si tratta solo di una parte di quelli finiti in Germania ai quali si devono aggiungere almeno 12 mila IMI, ovvero i soldati presi dopo l’8 settembre che rifiutarono l’arruolamento nella Rsi. Le storie, i nomi, i destini di quei 250 uomini e donne, compaiono ora in un corposo volume che verrà presentato giovedì a Torino nella sede del Consiglio regionale del Piemonte. "Il libro dei deportati 1943-45", edito da Mursia, traccia per la prima volta un bilancio della deportazione dall’Italia nei lager nazisti. Il primo volume (già pubblicato) di questa impegnativa e fondamentale opera di ricostruzione storica, raccoglie le schede biografiche di 23.826 deportati. Oggi Mursia manda in libreria il secondo (sottotitolito "deportati, deportatori, tempi e luoghi") che esamina i diversi territori: dal Piemonte alla Toscana, dall’Emilia al confine nordorientale, senza trascurare le isole. Il saggio sulla Sardegna è stato affidato allo storico cagliaritano Aldo Borghesi che da anni si occupa delle ricerche sui prigionieri sardi ed è responsabile della sede di Sassari dell’Issra (Istituto sardo per la storia della Resistenza e dell’autonomia). «Tra i 250 deportati sardi – spiega Borghesi – figurano i nati nell’isola o appartenenti alle primissime generazioni di emigrati che finirono in mano ai nazifascisti nelle regioni italiane in cui lavoravano o si trovavano per motivi militari. Diversi furono catturati all’estero, in Francia o nei Balcani». Tra le storie rintracciate da Borghesi emergono anche i destini dei pochissimi sardi della Shoah: «È il caso di alcune donne ebree – racconta – per lo più nate in Sardegna da famiglie stanziate dopo il 1848. Con loro Zara Coen Righi, insegnante del Liceo Azuni di Sassari, cacciata dalla scuola in seguito alle leggi razziali e scomparsa ad Auschwitz nel 1944». Degli altri – afferma lo studioso – molti erano "politici", alcuni partigiani o membri della Resistenza quali Pietro Meloni e Vittore Bocchetta che combatterono per il Cln di Verona, Cosimo Orrù per Busto Arsizio, Antonio Moi per Bonvisio o l’ingegnere di Santu Lussurgiu Bartolomeo Meloni. Tra i deportati figurano numerosi giovani che avevano rifiutato di passare con la Rsi, ma vennero catturati in seguito, come accadde a Luigi Rizzi. Il contingente più numeroso, una cinquantina di giovani, venne prelevato dal carcere militare di Peschiera e trasportato a Dachau. Nel lager presso Monaco di Baviera in tutto finirono 120 sardi, altrettanti a Mauthausen e nei suoi sottocampi: Gusen ed Ebensee, ma anche Hartheim, sede di esperimenti su cavie umane. «Non c’è lager importante – sottolinea Borghesi – che non abbia visto la presenza di sardi: da Buchenwald a Bergen Belsen, dai campi di Dora e Flossenbürg fino a Majdanek. I decessi furono numerosi, soprattutto a Mauthausen». Storie finora dimenticate, talvolta poco note anche nelle famiglie e nelle comunità: nel libro alcune vengono ricostruite o accennate, mentre molte sono purtroppo destinate a essere raccontate solo da scarni dati biografici.

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