..ma in politica, le donne sarde sono ancora mosche bianche.

di Giancarlo Ghirra (nella foto, Claudia Lombardo)

 

Nel 2009 si è registrato un fatto inedito nei sessant’anni di vita dell’autonomia: una donna, Claudia Lombardo, è stata eletta per la prima volta nella storia presidente del Consiglio regionale. Ma a conferma che una rondine non fa primavera sono appena sette su ottanta le consigliere regionali, che erano otto nella precedente legislatura per la scelta di Renato Soru di puntare esclusivamente sull’altra metà del mondo nel listino, mentre Claudia Lombardo era stata la sola eletta nel collegio provinciale del Sulcis, come nel 2009. È sceso addirittura a quattro il numero delle donne assessore nella giunta Cappellacci, e peggio ancora vanno le cose nelle amministrazioni locali. Sulla base dei dati elaborati negli ultimi mesi del 2008 le prime cittadine sono appena 29 (33 secondo altre fonti) su 377 Comuni (uno solo di un certo peso, Oristano) con appena il 2,68% della popolazione (44.453 abitanti su 1.659.443) amministrati da sindache. Sono questi alcuni dei numeri pubblicati in una ricerca voluta dalla Fondazione Luca Raggio e dall’Università di Cagliari, realizzata da Maria Rosa Cardia e Silvia Benussi. Inserito in un itinerario di ricerche sulla Cittadinanza asimmetrica , è questo il secondo quaderno realizzato da Mariarosa Cardia, professoressa di Storia delle istituzioni politiche. Ad affiancarla nello studio intitolato Genere e rappresentanza nelle istituzioni politiche. Il caso Sardegna è stata la dottoressa Silvia Benussi, ricercatrice nella facoltà di Scienze politiche di Cagliari. In realtà non è soltanto un fenomeno sardo quello che Mariarosa Cardia definisce «un serio deficit di rappresentanza democratica e un grave sintomo di arretratezza. L’Italia nel suo complesso si colloca al cinquantaduesimo posto della classifica mondiale, a pari merito con Canada e Cina. Al primo posto della classifica internazionale, con il 56,3% di donne in Parlamento, c’è il Ruanda, seguito da Svezia (47), Cuba, Finlandia e Argentina, tutte sopra il 40%, seguite da Paesi del Nord Europa, ma anche dalla Spagna e da stati africani e asiatici: l’Italia è ampiamente preceduta da Angola, Mozambico, Afganistan, Pakistan, Bulgaria e Serbia, per citarne alcuni. Il libro è davvero interessante, perché non si limita ad analizzare la presenza femminile, ma interessandosi di candidature e di eletti. E racconta le diverse situazioni anche nei territori. Due province, Gallura e Sassari, vantano presidenti donna, Pietrina Murrighile e Alessandra Giudici. Ma altre due, Oristano e Ogliastra, potrebbero fare la fine di Taranto, la provincia della quale il Tribunale amministrativo regionale ha ordinato lo scioglimento per il mancato rispetto dello Statuto che prevede la presenza di rappresentanti di entrambi i generi, maschile e femminile. «In realtà – spiega Mariarosa Cardia- la situazione è articolata, perché ad esempio le assessore nei Comuni sono in percentuale più che in Italia. Ma la realtà che emerge è quella di una profonda arretratezza democratica sarda, con poche donne in politica, soprattutto quando a decidere sono i partiti. Ce ne sono di più negli esecutivi che nelle assemblee elettive. Ed è evidente che vengono violati gli Statuti che prevedono la rappresentanza femminile. Non mi piace il termine quote, ma anche nei Paesi oggi più avanzati si è cominciato con norme costrittive». Altrimenti chi ha il potere non lo molla di certo per buona volontà. La strada della parità è insomma piuttosto lunga, come ha spiegato bene nel suo recente (Una questione di democrazia. Le donne nelle istituzioni) Rosanna Romano, giornalista caporedattore nell’Ufficio stampa del Consiglio regionale. Una situazione riscattata soltanto in parte dal fatto che Claudia Lombardo sia la prima presidente donna della storia autonomistica. È la stessa dirigente del Pdl a chiarire che la sua elezione «non cambia, purtroppo, la situazione. La Sardegna rispecchia l’andamento delle altre regioni del Sud d’Italia. Certo, nella nostra Isola la percentuale di donne nei Consigli è leggermente superiore a quella di Sicilia, Campania, Puglia e Calabria. Ma siamo ben lontani dalla Toscana che ha il 26,1% di donne in assemblea, o dalle Marche o dal Trentino Alto Adige la cui percentuale si attesta intorno al 15,7. Dunque, è ancora troppo presto per parlare in Sardegna di democrazia paritaria perché una percentuale di donne elette che non raggiunge neanche il 10% è veramente irrisoria». Claudia Lombardo sottolinea i numeri non positivi, soprattutto nelle giunte provinciali di Oristano e Ogliastra, ma allarga il discorso. «Spesso è la stessa donna che non vuole essere nominata in una giunta perché vede ancora la politica come un mondo al maschile. Non dimentichiamo che la donna deve conciliare lavoro e famiglia, anche se, comunque, il più delle volte le responsabilità sono dei partiti politici». Favorevole alla crescita del ruolo femminile, la presidente è tuttavia contraria a numeri imposti per legge. «Personalmente sono contraria a "quote rosa" e "riserve indiane". Le donne devono competere e guadagnarsi, con la meritocrazia, un posto in politica. Sono per la parità di accesso alle cariche elettive e non per la parità di risultato. Bisogna avere insomma la possibilità di partecipare alle competizioni elettorali in condizioni pari, ma senza corsie preferenziali». L’analisi è condivisa, ma sui rimedi c’è divergenza. Almeno sulla garanzia di un numero di candidature identico fra uomini e donne l’intesa sembra però possibile: pari opportunità almeno di partenza.

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