di Sergio Portas
Non appena sbarcato dal continente, scendendo giù da Porto Torres, impaziente di rituffarmi nel tessuto del medio campidano natio, cento e cento volte, appena dopo Sassari, scorgevo quei segnali di luoghi che dicevano :Tissi-Ossi o Ossi-Tissi e sempre me ne rimaneva memoria come di una filastrocca per bimbi. Mai avrei immaginato che tale Giuseppe Cubeddu, suonatore d’organetto diatonico di maestria fuori di ogni norma (penso che riuscirebbe a far ballare su "ballu tundu" persino a me), imbattutosi in un "video" che sciorinava una prestazione de "Sa Oghe de su coro"nel basso milanese, formazione corale che sopporta anche la mia voce a mischiarsi in quelle dei sardi, figli di sardi, non sardi, che la compongono (tutto dirige Pino Martini Obinu), mi avrebbe risucchiato proprio a Tissi, in occasione del loro "festival" di 19 settembre u.s. Noi de "Sa Oghe" avremmo fatto da ospiti d’onore, nientemeno! Quelli dell’associazione culturale "Coro Ischentes de Tissi", al di là del loro nome (ischente vuol dire apprendista)avevano curato una regia molto composita che prevedeva la partecipazione anche del coro di Muros "Renato Loria",i "Sos de Santu Matteu" di Bono e, a fare da corollario a tanta musica cantata, anche il gruppo di danze mediovali "Giudicato di Torres" e due gruppi folk di danza: quelli di Bonnanaro e il "San Luigi"di Tissi. Buoni ultimi, ma dovreste sentirli come cantano, il coro "Piccole Note" di Tissi, una trentina di scatenatissimi, ultraprofessionali, bimbi dai tre ai dodici anni,che Laura Santucciu tiene a bada non si sa come, e vale dire che le ragazzine sono in stragrande maggioranza, per un repertorio che vanta "zecchino d’oro" e canzoni sarde, come le due che canteranno stasera: "Terra mia" e "Coros cantende". Capirete bene che una cronaca puntuale dell’avvenimento richiederebbe tutte le pagine della "Gazzetta", e forse non basterebbero a dare di conto dello svolgersi della serata tutta che, mercè l’opera di Giove pluvio, si è iniziata su di un palco per concludersi, dopo una prima innaffiata d’avvertimento, sotto le volte dell’ex mattatoio che, mi dice il sindaco di Tissi, è comunque destinato a divenire sede di un museo etnografico-archeologico. Maria Lucia Cocco di mestiere fa l’anatomopatologa (autopsie e robe così, se la incontrate fatevi raccontare di quando, da giovane medico, lavorava alla guardia medica di Orani e Orotelli), poi è mamma, e poi anche sindaco (sindachessa ha un suono che non mi piace). Mi fa avere un gran numero di pubblicazioni sul paese che amministra da quasi tre anni, grande fan di Soru Renato (il vicesindaco Salvatore Masia molto meno), fa derivare il voto di sinistra dei tissesi da una vocazione annosa di socialismo anarchico (la cooperativa agricola è del 1907), concorda con me che l’uscita dal berlusconismo che ci pervade deve prevedere tempi che si misurano in generazioni, sempre ammesso che si riesca a vincere la sfida culturale che, per ora, lo ha imposto al paese tutto. Stasera aprono la festa i padroni di casa di "Ischentes", ricordando uno dei loro, da poco scomparso, Mario Tilocca, che tanto ha dato alla costruzione del coro, il direttore del quale Pietro Sassu compone le canzoni che cantano ispirandosi ai poeti del luogo ma anche ai vari Bartolomeo Serra o Pietro Cherchi. Bianchi e neri come appaiono, coi bottoni d’oro e d’argento in filigrana al colletto della camicia candida, cominciano con "Sa Idda mia" e continuano con un’altra canzone che parla di uno sposo che va a chiedere la mano della sua bella a Usini. Non è dato sapere come finirà che quelli di Usini da queste parti passano per "imbriagones" (trad. per continentali:ubriaconi), mentre il tissese è faulasu (frabanciu, bugiardo)per antonomasia. Per chiudere il cerchio dei vicini di casa: l’abitante di Ossi è detto giogasu (lumaca). Il gruppo folk di danza di Bonnanaro segue con unu "Dillu" di pregio e continua con un "Ballu tundu" in cui la fisarmonica fatica a seguire il ritmo dei ballerini. Le gonne rosse e i veli bianchi di traforo si mischiano alle barritte nere che saltano a tempo, in un cielo sempre più pieno di lampi. Poi tocca ai "Santu Matteu" di Bono, che hanno una storia lunga dieci anni, coi loro corpetti a schiena rossa su un costume nero come la notte, la loro "Ninna nanna" da una poesia di Montanaru di Desulo non me la scordo fin che campo. Hanno una "voce solista", Franco Carta che spicca nel coro polifonico come la ciliegina su una torta sontuosa. Le sei ragazze mediovalmente vestite che eseguono tre danze fanno parte dell’associazione di Torres che tre anni fa ha iniziato una ricerca scientifica- archeologica- coreografica sul periodo medievale della loro città. Applausi fragorosi sottolineano poi l’esibizione del coro dei piccoli cantori,una macchia bianco-gialla e rosa di abiti per angeli che la Santucciu e Fabrizio Sanna si immaginano di dirigere, quando appare a tutti evidente essere loro a traino di tanta ingenua bellezza. Poi cantiamo noi de "Sa Oghe ‘e su Coro", emozionati come bimbi che rivedono la madre dopo due mesi che sono rimasti senza di lei una in colonia marina dove si mangia minestra a pranzo e a cena, un groppo alla gola che ti impasta la voce che si scioglie fortunatamente coi "Fantini sedilesos" di "Assandira" , migliora viepiù con una "cozzula " nuoresa, e si butta all’impazzata su unu "passu torrau cantau"in cui la parte femminile del coro si sgola a sparlare di tale "Antoi nostu"che però "tenisti oghe bella e attonada/como si cantas pares una craba" (senza traduzione). Susi, che però è fidanzata di Antonio ( non quello della canzone, uno dei nostri) e quindi va presa con il beneficio d’inventario, dice che siamo stati bravissimi. In realtà, dopo che la pioggia battente ha tutti sfrattati nell’ex mattatoio coperto, e quelli di Muros si sono messi in cerchio per cantare le loro canzoni, l’emozione ha riempito la sala come la nebbia che sale, la sera, dalle rive di un fiume. Lenta, inesorabile e coinvolgente la polifonia che riescono a produrre è di una qualità superiore, frutto di un lavoro iniziato negli anni novanta. Impareggiabili! Anche i ballerini di Tissi hanno dieci anni di attività alle spalle, coi loro costumi rutilanti di bottoni d’argento, le ragazze ne hanno dieci per braccio,offrono al pubblico che stipa il locale unu "ballu pesadu" che è tipico del paese e un "ballu a passu" del centro Sardegna, che hanno coreografie di stelle di mare e madrepore. Poi noi de "sa Oghe" facciamo altri tre pezzi, "Procurad’e moderare", un "Ballu furiosu" e un "Isettande", una canzone di Pino che è emblematica per sottolineare le (numerose) differenze che ci sono fra il nostro e gli altri cori che qui si sono esibiti. Nel nostro c’è la componente femminile, fondamentale per cantare in sussurrato un certo tipo di emozioni, d’amore, e in urlato per altre di protesta o politiche che siano. Siamo diversi. Cantiamo rivolti al pubblico, non in cerchio come i maschi degli altri cori sardi che si sono esibiti qui. Come gli "Ischentes" che chiudono la serata. Almeno per il pubblico, che fuori poi è tutto un mischiarsi di cantori e di voci che si inseguono l’un l’altro con un repertorio di canzoni che sono patrimonio di tutti, di tutti i sardi. Di cosa succeda quella notte, del vino nero bevu
to a fiumi alternato a "filu ‘e ferru" di incerta provenienza, dolci di mandorle amare, canzoni che sfottono i cantori, fa tutto parte dell’ accoglienza che quelli di Tissi hanno avuto per i milanesi "emigrati". Che è anche condita di culurgiones e malloreddus, ma soprattutto di cuore grande come la Sardegna tutta e che nulla chiede in cambio, se non quando si parli o si pensi a Tissi, che ci si ricordi di loro. I più faulausus di tutto il Logudoro. E i più ospitali.