Giovanni Ciuffo del circolo "Shardana", chirurgo da Cagliari al Mount Sinai di New York

di Viviana Bucarelli

 

Nel gennaio 2007, quando lavorava al Lenox Hill Hospital, ha effettuato un intervento di bypass alle coronarie minimamente invasivo, per la prima volta al mondo su una persona particolarmente anziana, George, un signore del nord dello Stato di New York. E dice che, a suo parere, "non esiste alcuna età che costituisca una controindicazione per l’intervento chirurgico". George aveva un serio problema coronarico ma poco dopo l’intervento, è tornato a pescare. Non vede molto bene l’amo e deve farsi aiutare dalla figlia per inserire l’esca, ma festeggerà tra sei mesi il suo 101° compleanno. Chiamatelo pure l’uomo dei miracoli. È Giovanni Ciuffo (1962), cardiochirurgo del Mount Sinai Medical Center di New York, uno dei migliori ospedali del mondo, in particolare in questo campo. Dopo la laurea a Cagliari, ha studiato al Westminster College di Londra e ha preso la specializzazione in chirurgia generale, toracica e cardiovascolare all’Albert Einstein Institute di New York, dove vive dal 1989. Ha lavorato in un centro di cardiochirurgia al Cairo, dove ha anche imparato un po’ l’arabo, e ha reso possibile la creazione di un centro trapianti a Palermo, qualche anno fa. Insegna alla Scuola di specializzazione di chirurgia, è un professionista di prestigio internazionale per la cardiochirurgia miniivasiva, effettua un gran numero di interventi ad alto rischio e ultimamente si è specializzato in quella che gli americani chiamano "bloodless surgery", (chirurgia senza perdita di sangue), che costituisce una parte rilevante del suo lavoro attuale. E’ una tecnica che richiede molta precisione e meticolosità; non sono necessarie trasfusioni di sangue ed il recupero è molto rapido. Opera pazienti ad alto rischio, che provengono da ogni angolo d’America e non solo, quelli che subiscono interventi per la seconda volta e quelli che nessun altro o quasi opererebbe. La sua equipe effettua 1.600 interventi cardiovascolari all’anno. Racconta di aver deciso di voler fare questo mestiere dopo aver visto, da adolescente, una ripresa televisiva di un intervento a cuore aperto. "E’ stato per me quanto di più affascinante potesse esserci", dice. Suo padre faceva il fabbro e suo nonno lavorava il legno, per cui, "per un ragazzino con la mentalità dell’artigiano l’idea di studiare medicina per poi fare il cardiochirurgo era il modo di pensare al corpo umano come ad una macchina e l’idea che le mie mani potessero aggiustarlo m’ha fatto decidere già d’allora che avrei fatto questo mestiere". Quando gli si chiede di delineare le differenze con il modo di lavorare in Italia risponde, "In Italia ci sono degli ottimi centri di cardiochirurgia. La questione è che questi reparti hanno necessità di molto personale per la terapia intensiva; si lavora 24 ore al giorno 7 giorni alla settimana. Sono necessari investimenti notevoli che consentano l’ampliamento del volume clinico di un ospedale. A Cagliari, per esempio, ci sono professionalità eccellenti, sia tra i chirurghi che tra gli anestesisti, ma spesso si era costretti a tenere i pazienti in lista d’attesa perché le strutture nell’ospedale limitavano l’attività. Ora le cose sono notevolmente migliorate e spero si continui su questa strada." La lamentela poi che sente spesso da parte dei giovani colleghi italiani che vengono negli Stati Uniti, è che "si guarda tanto e si opera poco". Ai giovani non viene dato spazio per la pratica in sala operatoria e si ritarda la crescita professionale.
Nelle grandi strutture degli Stati Uniti non ci sono limiti dati dal budget. Qui la chirurgia cardiovascolare giustifica qualunque spesa. Non devi fare una domanda in carta da bollo solo per fare una flebo. Si lavora moltissimo. Ma le soddisfazioni sono enormi. E "cresci con un forte concetto dell’identità professionale e non potresti più scendere a compromessi." Tra gli aspetti del suo lavoro che lo gratificano maggiormente al momento "c’è la sensazione di aver raggiunto una maturità tecnica che ti fa sentire utile per salvare la vita degli altri, la soddisfazione di riuscire a risolvere il problema del paziente con un impatto sempre di minor shock, il che comporta un recupero sempre più rapido. Oltre quella di avere il riconoscimento dei colleghi. E, non ultimo, il gratificante rapporto con gli studenti. "Se non hai l’opportunità di condividere con gli altri, è come se vivessi in mezzo al deserto", dice. Vedo loro attraversare le stesse difficoltà che ho attraversato io e per me è importantissimo poterli aiutare. Ti ritrovi a vivere il mondo e le atmosfere di quando hai cominciato. Insegnare ti fa sentire sempre giovane." Inoltre, al Mount Sinai, l’ambiente accademico è eccellente. Valentin Fuster, luminare catalano, è il direttore del reparto di cardiologia, nonché autore del testo di questa materia più usato al mondo. Lavorare in una squadra così, non ha paragoni. Il professor Ciuffo è anche vicepresidente del Circolo Shardana Usa, punto di riferimento di tutti gli "esuli" della Sardegna a New York. È sposato con Angela, che ha origini italo-americane e ha due bimbi di 13 e 8 anni che parlano correntemente l’italiano. I Ciuffo trascorrono sempre in Italia le vacanze estive, di cui almeno tre settimane in Sardegna, appuntamento che non mancano mai. "Perché, dice, fare il bagno nelle acque di casa, ti rigenera il corpo e lo spirito per il resto dell’anno". Si diletta anche nella produzione del vino, ormai per la quinta stagione. Compra l’uva che arriva dalla California e compie tutto il processo di lavorazione con i macchinari che ha acquistato da un anziano signore. Quest’anno ha prodotto 450 bottiglie, tra cui, ultimissimo esperimento, un ottimo Cannonau.

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Un commento

  1. Carissimi, Mi fa molto piacere che un chirurgo sardo abbia raggiunto il livello del Dr. Ciuffo. E sono molto contento che faccia parte pure del Direttivo del Circolo Shardaná di New York. É un esempio. Una persona come Lui che sará occupatissimo, si fa anche del tempo per diffondere la Sardegna a New York. É incredibile, ragazzi!E fate molto bene a diffonderlo.Questo non fa altro che dimostrare le potenzialitá che abbiamo i sardi nel mondo.Un abraccio come sempre,

    Pablo Fernández Pira

    RADICI SARDE (Buenos Aires)

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