Intervista ad Inoria Bande: la musica, le tradizioni e i ricordi racchiusi in un sorriso

di Mariella Cortès

A Sassari i Bande sono una sorta di pietra miliare. Ben quattro generazioni di organettisti che  da decenni portano Sassari e la Sardegna in giro per il mondo. E di Francesco Bande di cui campeggiano gigantografie lungo tutto il perimetro del museo a lui dedicato se ne ricordano in tanti. Si parla di quella volta in cui suonò senza sosta per tre giorni di fila, di come riuscisse a trascinare le folle durante tutte le manifestazioni,e ancora,ci si ricorda di quando il padre, Mario Bande, suonò per dieci ora di fila dopo essersi addormentato con l’organetto in mano e di quel canto particolare e riconoscibile tra i tanti canti sardi. A portare avanti la tradizione di famiglia sono ora Bastianina, la moglie di Francesco, e Inoria, la figlia. La signora Bande si occupa della gestione del museo e del circolo culturale   intercalandosi in tutta una rete folkoristica per la salvaguardia della cultura. Inoria invece, classe 1974,ha ereditato in pieno le doti di famiglia facendosi conoscere come "la Bande in gonnella". Ma chi è Inoria Bande? L’abbiamo incontrata proprio nel magnifico scenario del museo di famiglia e in mezzo a costumi e strumenti musicali ci ha raccontato un po’ di sé. «Inoria Bande- racconta con un sorriso sulle labbra – è una ragazza nata in una famiglia d’arte, cresciuta tra le tradizioni e che le vuole valorizzare,tramandare… E’ una ragazza orgogliosa d’essere sarda ma non chiusa mentalmente bensì aperta a tutte le culture… E’ un’organettista e una cantante solista.

-Come hai iniziato a suonare?

«Suono l’organetto da quando avevo quattro anni. Mio nonno, Mario Bande,  è stato il primo organettista in Sardegna. Io facevo da valletta a mio padre avvicinandogli gli strumenti e poi canticchiavo con lui una canzone mentre suonava l’organetto. La mia passione nasce molto presto accompagnandomi negli anni e facendomi festeggiare e superare i miei 30 anni alla Cavalcata Sarda».

-Chi era Francesco Bande?

«Mi padre è stato il più celebre organettista dell’isola. Era un personaggio vivace, poliedrico e modesto allo stesso tempo. Una persona instancabile,come lo è stato mio nonno, che riusciva a suonare ininterrottamente per ore e ore. Era un pifferaio magico,un grande trascinatore di folle che riusciva a coinvolgere anche chi magari non conosceva o apprezzava quel genere. Formava gruppi folkloristici, cantava e ballava- una qualità molto rara. Poi il suo canto,che è poi lo stesso che faccio io, è di tipo molto particolare, unico nel suo genere. Spezzato e con suoni acuti.

-L’amore per le tradizioni da parte della gente è lo stesso dei tempi di tuo padre?

«Non lo stesso ma sta riprendendo piede, è in fase di decollo. Si stanno formando nuovi gruppi folkloristici fatti anche da giovani che si stanno appassionando alle tradizioni. Soprattutto nei paesi dove durante le feste in piazza si ha la possibilità di ballare, i giovani sono più propensi ad avvicinarsi a tradizioni tipiche. Nel centro Sardegna si hanno più occasioni di partecipare e conoscere manifestazioni folkloristiche. A Sassari le occasioni non sono frequenti. Da quindici anni gestisco una scuola di ballo sardo e gli allievi di Sassari sono pochi. Solitamente sono figli di persone che vengono dai paesi. Ora vanno molto di moda il ballo latino americano, quello liscio o moderno. Ma nonostante questo l’interesse per il ballo sardo sta rinascendo anche grazie alle nuove proposte regionali per il rilancio della cultura e della lingua sarda. Me ne accorgo quando le scolaresche vengono a visitare il museo. I ragazzi sono molto interessati e trovano con la visita uno spunto in più per andare  a conoscere meglio le proprie radici. Dipende poi molto dal contesto in cui vivono. In molti casi più che di disinteresse, si parla di ignoranza,di mancanza totale di rispetto. Molte volte mi vedono in costume e dicono. E chi è questa con la busta in testa? Hai mal di denti? E altre battute di questo tipo».

-Cosa vuol dire essere una donna organettista?

«Inizialmente mi guardavano con molto scetticismo. Ricordo che durante una delle prime esibizioni durante la cavalcata un giornalista scrisse: una donna con l’organetto apre la cavalcata. Avevo 16 anni e durante tutta la giornata tutti mi avevano tempestato di domande. Mentre in Sardegna sono l’unica donna organettista – nel mio genere – fuori le donne che suonano questo strumento sono molte di più. Poi ci sono le mie allieve che però non si vedono sui palchi. »

-Tu sei una figlia d’arte. Qual’ è stato l’impatto che hai avuto sulle persone? Le critiche…?

«Chi è figlio d’arte magari parte avvantaggiato perché ha un nome che richiama ,a se non ha la stoffa ovviamente non andrà avanti.

È anche vero che senza persone come Antonio Arcadu che ha sempre creduto in me non avrei fatto la cavalcata. Io mando avanti una tradizione che contraddistingue la mia famiglia:un canto  particolare e un modo di cantare e ballare unico. Anche chi ha sempre usato mio padre come termine di paragone, alla fine ha iniziato ad apprezzarmi come Inoria. Una signora una volta mentre scendevo dal palco mi ha detto: " Lei è la bande in gonnella!" questo senza sapere che ero la figlia di Francesco Bande. A S.Efisio hanno fatto un tifo da stadio e tutti i gruppi mi chiedevano di seguirli e cantare con loro. Io non sono la solita organettista che si tiene in disparte, vado a destra e a sinistra…sono un po’come Figaro, il barbiere di Siviglia,tutti mi cercano!»

– Il costume tradizionale ha ancora un senso?

«Per me si. Per alcuni,soprattutto che fa parte di un gruppo folk è solo uno strumento di spettacolo e non vedono l’ora di toglierlo. Penso che chi indossa l’abito tradizionale lo dovrebbe rispettare. Non è un costume di carnevale ma rappresenta la tua storia, le tue tradizioni. Per quanto mi riguarda è qualcosa che mi trasforma nel momento in cui lo indosso. In costume mi sento Inoria Bande,  quella ragazza che rappresenta la tradizione sarda».

-Cosa ne pensi dell’insegnamento della lingua sarda nelle scuole? «Penso sia una cosa giusta ma che però debba partire prima di tutto dalla famiglia e poi possa magari espandersi nelle scuole. Ma non deve essere una costrizione. Bisognerebbe fare in modo che  tradizione e lingua vengano insegnate in modo piacevole e simpatico. Potrebbe essere una cosa facoltativa. Non è bello imporre le lingue. Conosco un signore che parla il sardo con tutti e ovviamente non tutti lo capiscono. Ecco, non penso che questo sia un modo per rilanciare la lingua. Io utilizzo a volte degli intercalari ma non parlo il dialetto con chi non lo capisce. »

-Potendo scegliere,che lingua insegneresti?

«Prima di tutto non penso si possa unificare la lingua se non quella scritta. In ogni caso, io insegnerei il logudorese e insegnerei ai bambini le varie varianti dialettali».

-E per rilanciare la cultura?

«Quello che faccio già!nel momento in cui insegno creo una situazione familiare. Si scherza, si ride,si insegnano le cose in maniera simpatica e tranquilla. Ho allievi dai 6 ai 70 anni e la maniera di proporsi,di insegnare,deve essere semplice e allegra allo stesso tempo».

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Un commento

  1. Costantino Tanda (Roma)

    bravissima complimenti devi essere molto orgogliosa complimenti sono di bultei ma vivo a roma (conoscevo tuo nonno)

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