Commosso addio a Giovanna Cerina, una vita in viaggio tra letteratura e politica

di Claudia Mameli

Se è vero, com’è vero, che il desiderio e la curiosità rappresentano la metà della nostra vita, e l’indifferenza la metà della morte, come insegna il poeta libanese Kahlil Gibran, allora l’ultimo commiato a Giovanna Cerina sarà edulcorato dalla consapevolezza, seppure struggente, che abbia realmente vissuto un’esistenza piena, intensa, a tutto tondo. Nuorese di nascita, classe 1932, docente di Semiotica del Testo all’Università di Lettere di Cagliari, è scomparsa nella giornata di ieri a causa di una malattia. Amante della cultura e del sapere, della sua terra natia, Nuoro, e della sua Isola madre, la Sardegna, Giovanna Cerina ha dedicato la sua vita agli studi scientifico-letterari, e alla narrativa di molti scrittori dell’Ottocento, come Pirandello e Calvino. Particolarmente affascinata dalla figura della scrittrice Grazia Deledda, anch’essa nuorese, ha curato l’edizione in sei volumi del suo corpus di novelle per l’editore Ilisso. La cultura, per la "professoressa" Cerina – come amava essere chiamata anche durante la carica istituzionale di "onorevole", tra i banchi dell’aula del Consiglio Regionale, eletta nella XIII Legislatura con il listino del Presidente Renato Soru- la cultura intesa nel senso più ampio e aulico del termine, rappresentava per lei il punto unificante e di appartenenza di un popolo. Il cardine che tiene unite, e intorno al quale allo stesso tempo ruotano, con regolare geometria, tutte le varie sfaccettature diamantine di una comunità regionale o nazionale. Ovvero: la storia, la musica, la cucina, le leggende, le fiabe, il folklore, votate a favorire la rinascita e gli scambi trasversali, nel meraviglioso universo della comunicazione, che ha il potere di abbattere le barriere di spazio e tempo. Vittima lei stessa, come ha più volte dichiarato, di un «dramma linguistico», figlia di genitori originari di Jerzu, naturalizzata nuorese, moglie di Giovanni Pirodda, gallurese d’origine e anch’egli colonna portante dell’Università di Lettere cagliaritana, residente infine a Cagliari. «Il cielo notturno visto dagli ogliastrini è un grandioso, luminoso, ottimistico "libro aperto", lo stesso cielo visto dai barbaricini è "neru comenti turmentu"». Insomma, l’insolubile problema della standardizzazione e unificazione della "lingua", intesa come espressione verbale e non, a cui nessuno, e neppure lei, ha mai trovato una soluzione, se non quella della salvaguardia della memoria comune, della battaglia contro l’ignoranza più spiccia e gretta che abbruttisce e divide gli animi nel timore cieco e fiero di ciò che non si conosce. E ancora, nella politica, nella ricerca scientifica, nella profusione del suo personale impegno per la tutela dei minori e la strenua battaglia contro la violenza sulle donne. Il nome di Giovanna Cerina si annovera tra i componenti del Consiglio d’amministrazione dell’Università di Cagliari e del Consiglio d’amministrazione dell’Ersu, del Comitato scientifico dell’Istituto regionale etnografico di Nuoro e del Comitato scientifico della collana "Bibliotheca sarda" della casa editrice Ilisso. Un chiaro esempio del fatto che l’età sia solo uno stato d’animo. La sua scomparsa per i parenti, gli amici, i colleghi di cattedra universitaria o di militanza tra i banchi della politica, è un dolore forte, fulgente come una stella nera. E di nero, ben impresso su fogli bianchi, restano ora i suoi scritti, i suoi studi, le sue fatiche letterarie, date in pasto avidamente a migliaia di studenti oggi come ieri. E domani, nella presenza vuota e assordante del ricordo della sua incolmabile dipartita. Resteranno le firme sui libretti universitari di coloro che hanno saputo coglierne l’ingegno, partecipando alle sue lezioni, mai banali, sostenendo i suoi esami, mai semplici, e carpendone gli insegnamenti, sempre preziosi e saggi: didattici e di vita. La ricorderanno per il suo fare materno, per la sua generosità, per il suo occhio sempre attento e benevolo nei confronti delle debolezze e del male di vivere che rende irrequieti gli animi negli anni della seconda adolescenza, della gioventù più accesa: quella che le barricate universitarie, le manifestazioni in piazza con striscioni e bandiere, che a volte vengono prima dei manuali e delle dissertazioni accademiche. Ma che lei non ha mai disprezzato o condannato se sostenute da una motivata e solida base ideologica e politica. Tipico, insomma, di chi non ha dimenticato di essere stato studente prima che docente e che, in fondo, sotto lo spessore etico, morale, culturale, conserva bene accesa e ardente quella scintilla d’animo fanciullesco e pascoliano, che ne fa nella memoria comune un’incantevole "goccia di splendore"- per citare Alvaro Mutis e il da lei amato De Andrè- "di umanità e di verità da consegnare alla morte". Scrive Giovanna Cerina nell’introduzione di una perla letteraria come Passavamo sulla terra leggeri di Sergio Atzeni, che: «La felicità di vivere è riflessa nella libertà espressiva che esplode nel ritmo gioioso, scintillante di una danza o in immagini leggere di volo. La forma plurale dell’imperfetto passavamo evoca la dimensione del tempo continuo e condiviso; mentre il ritmo modulato sulla scansione di un anomalo endecasillabo passavamo sulla terra leggeri, inaugura una cifra stilistica seducente con quel più di leggerezza (nel senso di qualità letteraria indicata da Italo Calvino)». Ovvero, L’insostenibile leggerezza dell’essere di cui parla Kundera e che Calvino riprende in Lezioni Americane, la caducità della vita cantata da tanti poeti e letterati, un "topos letterario" quello della morte che Giovanna Cerina non poteva non conoscere e sul quale ha più volte sapientemente disquisito incantando le platee di studenti e, forse, contemplato come tutti nella sua intimità. Ma questo non ci è dato sapere. Ci basta ricordare il suo passaggio calvinianamente leggero in questa vita, che ha saputo lasciare il segno in tutti coloro che hanno avuto modo e fortuna anche solo di scambiarci qualche parola, come una di quelle ombre che, volente o nolente, quando ti c’imbatti corri il rischio d’inciamparci sopra, tanto sono palpabili. La loro presenza è magnetica e ingombrante: lascia sempre e comunque un segno. E mai d’indifferenza. Lei stessa sull’argomento era solita citare Pietro Catte, personaggio del romanzo Il Giorno del Giudizio di Salvatore Satta, (altro scrittore da lei amato, ndc): «Il nostro passaggio sulla terra è sancito, e si riduce nel tempo (senza il sostegno della memoria collettiva a tenerci vivi), a due certificati: quello di nascita e quello di morte, che sanciscono la nostra esistenza, il nostro viaggio terreno. Perché la nascita e la morte sono di per sé i due momenti in cui l’infinito diventa finito». Ma per chi ha condiviso anche solo qualche momento della propria vita con la professoressa Cerina, converrà sul fatto, tanto banale quanto vero, che non mancherà facilmente un aneddoto per ricordarla, un ricordo per parlarne, una parola per sorriderne con allegrezza, un sorriso per mantenere viva la coscienza dell’esistenza e per concepirne il senso che tende per tutti a quel certificato di morte, che ci congeda da questo passaggio leggero, ma che non sia mai, come non potrà esserlo per lei, tra l’indifferenza generale, ma tra la curiosità e il desiderio di chi vorrà ancora conoscerla.

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2 commenti

  1. Francesco Laconi (Francia)

    Complimenti x il blog!! siete i piu bravi!!!

    Mi associo, l’amica degli Emigrati Giovanna Cerina é venuta a mancare e tutti ci sentiamo un po`orfani.

    x la Federazione dei circoli sardi in Francia

  2. Loredana Manca

    Dalla Argentina un picolo e sincero ricordo per Giovanna Cerina, carissima amica avro sempre nel cuore il tuo affetto!!!!!!

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