Maxi risarcimento per un paracadutista: il cancro è stato provocato dall'uranio

di Piero Mannironi

 

Una sentenza storica: per la prima volta la magistratura italiana ha riconosciuto il nesso di causalità tra tumori del sistema emolinfatico e ambienti "inquinati" dall’uranio impoverito. Il giudice civile di Firenze, ha infatti accolto il ricorso da un paracadutista, Gianbattista Marica di Orbetello, e ha condannato il ministero della Difesa a un risarcimento di 545.061,41 euro. Mantica si era ammalato di un linfoma di Hodgkin dopo aver partecipato nel 1993 alla missione Ibis, in Somalia. La sentenza è fondata sulle conclusioni del consulente del tribunale e sulla documentazione allegata agli atti, dalla quale risulta che già nel 1993 la direzione della sanità militare Usa (Department of the Army, Office of the Surgeon General) aveva diffuso un documento, secondo il quale «quando i soldati inalano o ingeriscono uranio impoverito, incorrono in un potenziale incremento del rischio di cancro». Di più: nel 1984 la Nato aveva inviato ai paesi membri un documento nel quale già si parlava esplicitamente della pericolosità dell’uranio depleto per la salute. Documenti che, secondo il giudice di Firenze, provano una responsabilità del ministero della Difesa nel non aver fatto conoscere questi rischi e, soprattutto, per non aver adottato misure adeguate per tutelare la salute dei militari. Su questo punto, il giudice esprime un giudizio molto severo sul comportamento delle autorità militari nel corso della missione in Somalia: «Al di là delle raccomandazioni che erano e dovevano essere note al Ministero, il fatto che ai militari americani fosse imposta l’adozione di particolari protezioni, anche in mancanza di ulteriori conoscenze, doveva allertare le autorità italiane. Deve concludersi che, nel caso in discorso, vi sia stato un atteggiamento non commendevole e non ispirato ai principi di cautela e di responsabilità da parte del ministero della Difesa, consistito nell’aver ignorato le informazioni in suo possesso, già da lungo tempo, circa la presenza di uranio impoverito nelle aree interessate dalla missione e i pericoli per la salute dei soldati collegati all’utilizzo di tale metallo, nel non aver impiegato tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei propri militari e nell’aver ignorato le cautele adottate da latri paesi impegnati nella stessa missione, nonostante l’adozione di tali misure di prevenzione fosse stata più volte segnalata dai militari italiani. Dopo la diagnosi della malattia, Marica raccontò che i militari statunitensi in Somalia, anche a 40 gradi all’ombra, operavano con tute, maschere, guanti e occhiali, mentre i soldati italiani erano in calzoncini corti e canottiera. Un racconto che coincide perfettamente con quello del maresciallo Marco Diana di Villamassargia, ammalatosi anche lui di tumore. Marica nel 2001 si rivolse all’Anavafaf, l’associazione che tutela le vittime arruolate nelle forze armate, presieduta dall’ex presidente della Commissione Difesa, Falco Accame. Fu l’Anavafaf ad affiancare Marica nel suo ricorso. Si tratta di una sentenza storica. Per la prima volta è stata data ragione in sede di giurisdizione e ora si aprono le porte a eventuali altri ricorsi. Vorrei ricordare che la Sardegna, con almeno venti casi di tumore rilevati sul personale militare, è insieme alla Puglia la regione che più ha pagato e più sta pagando un tributo di dolore e di sofferenza.

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Un commento

  1. Ogni volta che leggo certe notizie sulla Difesa italiana mi vengono in mente gli otto milioni di baionette….Meno male che ogni tanto c’è qualche giudice che risveglia la coscienza e l’orgoglio di essere italiani..nonostante tutto!

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