di Ornella Demuru
Questo passo mi ha bloccata, quasi paralizzata, dopo aver letto tutto ci sono ritornata. L’articolo de "La Repubblica" credo sia bellissimo. A prescindere dalla condivisione che ognuno di noi può avere rispetto ai diversi temi affrontati, elenca in una sintesi incalzante e coinvolgente tanti mali e tante verità. Ma… c’è un ma. Non nascondo che ho sempre odiato e sparlato e con particolare veemenza del film dei fratelli Taviani "Padre padrone" tratto dal libro omonimo di Gavino Ledda, poichè vedevo in quel film/romanzo una lettura falsata nonchè pericolosa della storia sociale e antropologica del mondo rurale sardo nonchè un doloroso cedere ad una "deriva interpretativa" della quale ancora oggi paghiamo i difficili non sense e luoghi comuni che dominano quella parte fondante dell’economia sarda. Dopo tanti anni vedere e leggere in Ledda un revisionismo autobiografico e perciò culturale in questa direzione mi fa raddoppiare la rabbia, e mi chiedo perchè debbano essere sempre questi stessi che a suo tempo non avevano capito un granchè della loro Terra e delle loro dinamiche ad avere ancora oggi tutta questa voce in capitolo su media e dintorni. Gli stessi ad avere la possibilità di "esprimersi", e non solo gli viene pure dato ampio spazio per affermare addirittura che sbagliavano. Perchè? Mi chiedo. Non solo… Meglio essere proprietà di un padre padrone??? Ma come si può accettare un’affermazione del genere? Essere proprietà? Dovremo pensare oggi dopo 40 anni di errori politici, sociali e culturali che sarebbe stato meglio essere schiavi di chi ci aveva generato biologicamente? Questa la modalità per restare "vicini" alla Terra? Ma che follia è questa? Ma che cultura si produce in questa Terra? Ripristiniamo lo schiavismo? O il vassallaggio feudale? Io sono senza parole. Continuo a vedere in questi intellettuali non una spallata ulteriore alla "deriva interpretativa" ma una spinta verso una apocalisse antropologica che non so bene per quale motivo sembra che questi stessi bramino. Mi viene da supporre ad una perversione di natura psicologico-sociale della quale veramente vorrei ci liberassimo sotto ogni punto di vista. Io proprio non ne posso più neanche di considerarli.
Forse qualcuno penserà che esagero. Ma se pensiamo soltanto a quel film dei sessantottini Taviani che a prescindere da alcune trovate artistiche come le pecore parlanti, quello che ci è rimasto davvero per lustri e lustri è stata l’idea di una Sardegna retrograda, immersa in un oscurantismo culturale degenerativo, incapace di progresso umano, proprio perchè legata ad un mondo rurale e pastorale che aveva ahimè ancora i tratti di un’economia medievale. La "liberazione" a quel tempo veniva vista perciò esclusivamente abbandonando terra, allevamenti, paesi e padri naturalmente. Inutile dire che il povero Gavino era vittima di un padre "malato" come tanti ne esistevano allora in tutte le civiltà contadine e pastorali e ne esistono ancora oggi nelle progredite civiltà metropolitane dove picchiano figli, mogli e quant’altro. Non capire questo ancora oggi da parte dello stesso scrittore è grave. Che giornali e dintorni continuino a vedere in questi personaggi profeti del futuro mi spaventa, e non poco. Meglio essere proprietà… Quale etica può contemplare un’affermazione del genere? A me basta questo per capire che le distanze culturali fra noi e questa generazione post bellica e neo-industriale sarda sono davvero abissali e inconciliabili. Che indipendenza e che libertà potrebbe mai avere un uomo che sceglie di "essere proprietà" di qualcosa o qualcuno proprio non lo capisco. Ricostruire tutto. Dobbiamo proprio farlo.