Il ruolo del "Premio Ozieri" nella rinascita della cultura e della lingua sarda

di Franco Brevini *

 

Cinquant’anni fa un gruppo di poeti e di intellettuali fondò a Ozieri un premio per promuovere la ripresa della letteratura in lingua sarda. Fu un segnale e nel giro di pochi anni la tradizione scritta e orale dell’isola conobbe una ripresa impetuosa. Nicola Tanda, per anni ordinario di Filologia sarda a Sassari e massimo esperto di scrittori isolani, oltre che attuale presidente del Premio Ozieri, ancora recentemente ha sostenuto in "Quale Sardegna?" (Delfino, Sassari) che a salvare l’isola sono stati i poeti. Si è trattato di una riforma culturale e di una rinascita di creatività, che dalla poesia in dialetto si è estesa rapidamente agli altri settori del sistema letterario. Anche nel romanzo in lingua narratori di successo come Marcello Fois, Giorgio Todde e Salvatore Niffoi hanno recuperato il mondo isolano, un tempo espulso dalle loro pagine. La reazione a catena ha investito anche le altre manifestazioni della cultura: il nuovo cinema (Mereu, Columbu), gruppi che impiegano la lingua sarda come i Tazenda, cantadores che nelle feste improvvisano a gara ottave ariostesche, tenores con voci chi paren trumbas, senza scordare, dai dolci ai gioielli, i prodotti della gastronomia e dell’artigianato, i costumi, il ballo tondo e a tre passi, le feste popolari. Eppure di questo impetuoso fenomeno, fuori e talvolta perfino dentro la Sardegna, si continua ad avere una consapevolezza insufficiente. Da una parte il canone nazionale sostanzialmente ignora autori di prima grandezza come Predu Mura, Antonino Mura Ena, Benvenuto Lobina. Dall’altra continua a mancare anche nel pubblico più preparato un’adeguata comprensione della singolarità linguistica e culturale dell’isola. Ai tempi in cui lavoravo ai tre volumi mondadoriani della Poesia in dialetto, io stesso affrontando la Sardegna mi convinsi della necessità di andare oltre la classica diglossia lingua- dialetto. Non si tratta solo del fatto che il sardo non può essere considerato un dialetto italiano. È l’architettura stessa del sistema che va ridefinita. Per interpretare correttamente la produzione letteraria dell’isola occorre infatti sostituirvi un modello più articolato, in cui sono in gioco almeno tre codici con le relative culture, sardo, spagnolo e italiano, se non addirittura cinque, se si prendono in considerazione anche catalano e latino. La produzione in lingua sarda, che ha dovuto trascorrere attraverso le ricorrenti campagne di acculturazione e di estirpazione linguistica condotte dai nuovi dominatori (nel 1567 il catalano è soppiantato dal castigliano, con l’arrivo dei Savoia nel 1720 il toscano scaccia a sua volta il castigliano), è cresciuta dando vita a relazioni di volta in volta diverse con i sistemi linguistici e culturali egemoni. Ecco perché la letteratura dialettale romagnola o campana sono altra cosa da quella sarda, che davvero è una «letteratura a statuto speciale». Ciò che hanno fatto i poeti del Premio Ozieri è stato rivendicare la peculiare identità della Sardegna, che non poteva essere garantita da alcuna facile coloritura dialettale, come avevano dimostrato le scelte linguistiche dei maggiori scrittori dell’isola, Salvatore Farina, Grazia Deledda, Giuseppe Dessì, Salvatore Satta, Salvatore Mannuzzu, che alla mescidazione avevano preferito il prestito. Mi piace oggi pensare che il Premio Ozieri sia nato nello stesso decennio in cui un assurdo Piano di Rinascita proponeva la costituzione di due poli chimici del tutto estranei alla cultura del territorio. Il poeta Tonino Ledda, l’oscuro maestro di Ozieri che fondò il premio, sognava che le voci della tradizione tornassero a rivestirsi dei suoni sardi che da sempre le avevano espresse, ma nel quadro di un radicale aggiornamento della poesia. Emblema di questa operazione potrebbe essere Jeo no ippo torero di Antonino Mura Ena. Rifacendosi al Lamento por Ignazio Sanchez Meiijas di García Lorca, il poeta sardo immagina che il ragazzo pastore Juanne Farina di Lula, incornato da un bue, salga in cielo insieme a un torero. Notando nell’inguine del ragazzo una ferita simile alla sua, il torero gli chiede se anche lui sia un trionfatore dell’arena. Quando conosce la sua umile storia, il campione dell’Andalusia non esita un istante e, preso per mano il piccolo torero sardignolo, lo accompagna a los toros celestes. È un’allegoria della promozione al Parnaso della poesia e della cultura della piccola nazione sarda.

* Corriere.it

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