Tre decenni sono volati via al ritmo inesorabile del tempo dalle ali fredde, ma il ricordo dei poeti amati dal popolo non mostra segni visibili di invecchiamento: il trentennale della morte del mitico improvvisatore di Villanova Monteleone diventa uno spunto ideale per collegare le manifestazioni commemorative a una serie di incontri adatti a rinsaldare il vincolo tra la Sardegna e questa parte della Lombardia che si squaderna tra la Brianza e la Bassa Pavese. Dal patrimonio culturale al turismo seriamente rispettoso dei beni ambientali e insieme alla promozione dei prodotti alimentari della nostra isola: su questa direttrice di ordine generale i circoli sardi della zona hanno articolato un programma polivalente. A lanciare l’idea è stato – né poteva essere altrimenti – il circolo di Carnate, che di Remundu Piras porta da sempre il nome. "Ma abbiamo dovuto chiedere ospitalità al comune di Melzo perché la nostra sede è in restauro", dice Gianni Casu, presidente di Carnate e villanovese doc. "Non volevamo far passare sotto silenzio la ricorrenza perché le abbiamo onorate tutte, a partire dal primo decennale, quello del 1988 a cui partecipò come ospite graditissimo il Presidente della Regione Sardegna Mario Melis". Stavolta sarebbero venuti anche il suo successore Renato Soru e l’assessore Gian Valerio Sanna, se problemi politici non li avessero trattenuti in Sardegna. Gianni Casu ha chiesto aiuto a un personaggio di grandi risorse: Dionigio Falferi di Orune, che vive a Melzo da quasi mezzo secolo ("Sono nato nel 1943 e mi trovo qui da quando avevo 17 anni"). Falferi, socio del circolo di Carnate, si è caricato sulle sue spalle ancora robuste a dispetto dell’età il peso di una parte considerevole dell’organizzazione, non soltanto come regista. Il prologo è andato in scena in modo impeccabile, proprio grazie alla passione di Dionigio, con l’apertura della mostra di maschere e costumi, la degustazione di vini e prodotti alimentari e uno spettacolo di balli e canti che visto protagonista il gruppo folk di Bono dedicato a Giovanni Maria Angioy e il coro a tenore omonimo nato nel piccolo centro del Goceano. Nella giornata centrale, quasi tutte le manifestazioni hanno avuto come teatro la Sala Banfi dell’oratorio Sant’Alessandro, una struttura incastonata in un parco verdissimo alla periferia della cittadina lombarda. In mattinata una tavola rotonda sull’attualità del messaggio poetico di Remundu Piras ha visto tra i relatori il sindaco di Villanova Monteleone Sebastiano Monti e gli studiosi Paolo Pulina, responsabile del settore informazione della FASI, e Giuseppe Corongiu, ricercatore attento delle minoranze linguistiche europee e neo direttore del servizio sulla lingua sarda dell’assessorato regionale alla Cultura (nomina voluta da Renato Soru che avrà una durata triennale). Un graditissimo sulcis in fundo della mattinata è stata l’esibizione di tre musicisti adolescenti: Carlotta Gessa, Lorenzo Rizzo e Matteo Spinelli che hanno proposto alcuni brani classici e due pezzi creati da loro stessi. Molti i messaggi augurali giunti dalla Sardegna, particolarmente gradito quello via sms della Prima Bandiera dell’Ardia Antonio Mula in memoria di Remundu Piras. Nel pomeriggio si è svolto il convegno dal titolo "Sistema turistico di Villanova Monteleone: se non ora quando?". Si tratta della presentazione del progetto pilota per il riuso del centro storico del paese natale di Remundu Piras, che la Giunta regionale ha fatto suo e finanziato insieme con quello del comune di Tresnuraghes, ritenendoli modelli alti. Coordinati da Gianni Casu ne hanno discusso il presidente onorario della FASI Filippo Soggiu e i sindaci di Villanova Monteleone Sebastiano Monti e di Melzo Paolo Sabbioni. Molto apprezzata in particolare da quest’ultimo – che insegna diritto all’Università di Piacenza – la scelta coraggiosa di preservare integralmente dal cemento i 14 chilometri di costa incontaminata che Villanova possiede fra i territori di Alghero e Bosa. In notturna sono andati in scena i poeti estemporanei. Sul palco della gara, sempre nella Sala Banfi dell’oratorio Sant’Alessandro di Melzo, accompagnati dal coro a tenore di Bono, si sono fronteggiati brillantemente Mario Masala di Silanus, classe 1935, allievo prediletto di Remundu Piras e Salvatore Scanu di Ozieri, classe 1964, che non ha conosciuto direttamente il famoso cantore. Scanu è il rappresentante dei giovani improvvisatori che per motivi anagrafici non hanno avuto la fortuna di misurarsi con i grandi delle generazioni precedenti, quelli nati tra la fine dell’800 e gli inizi del secolo scorso. La disputa, dopo una parte iniziale senza tema com’è nelle regole del gioco della poesia orale, ha riguardato una disputa tra il serio e il faceto sui temi dell’elemosina da un lato (Scanu) e del furto dall’altro (Masala). Alla gara scintillante hanno assistito come ospiti d’onore il figlio minore di Remundu Piras, Francesco, e un artista sardo molto noto e quotato che vive da più di 30 anni in Lombardia, a Santo Stefano Lodigiano: Giuseppe Meloni, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Meloniski da Villacidro la cui pittura in cantata somiglia a una fiaba senza tempo. La maxi adunata di Melzo è risultata un altro punto fermo non solo come verifica periodica della coesione dei circoli sardi in Lombardia ma anche come momento organizzativo in vista della stagione turistica imminente. Gianni Casu fornisce un dato eloquente: "L’anno scorso da questo angolo di Lombardia siamo riusciti a indirizzare verso Alghero-Villanova un movimento turistico per circa 200mila euro", rivela. "Quando parliamo di emigrati sardi come ambasciatori della terra d’origine nella loro seconda patria non ricorriamo affatto a un’espressione retorica". La giornata conclusiva della "Melzo incontra la Sardegna" è stata interamente dedicata alla presentazione dei prodotti artigianali e agro-alimentari sardi e dei canti e balli popolari. Ha fatto da prologo all’altezza dell’iniziativa, in mattinata nel Palazzo Trivulzio, il gemellaggio fra la comunità dei sardi e l’Associazione italiana donatori di organi. Dopo la messa nella chiesa dedicata ai santi Alessandro e Margherita, con canti liturgici in lingua sarda eseguiti dal coro a tenore di Bono e conclusa con un ballo di ringraziamento sul sagrato, ha preso il via la degustazione dei prodotti sardi. Gli assaggi di carne di maialetto arrosto, preparata in piazza da arrostitori specialisti come continuano ad essere i nostri emigranti ex pastori, sono stati distribuiti a prezzo turistico-politico in diversi ristoranti convenzionati. Nel pomeriggio e in serata il gruppo folk di Bono ha sfilato a lungo nel centro storico, eseguendo balli e canti a tenore. Paolo Pillonca
UNITI I CIRCOLI SARDI DELLA LOMBARDIA NEL PROMUOVERE LE GRANDI INIZIATIVE
TUTTI PER REMUNDU
L’idea del circolo Remundu Piras di Carnate è stata accolta con favore in primo luogo dagli amministratori di Melzo e da altre 12 sedi della nostra emigrazione in Lombardia: "Amedeo Nazzari" di Bareggio, "AMIS – Emilio Lussu" di Cinisello Balsamo, "Sardegna" di Como, "Sebastiano Satta" di Gallarate, "Amsicora" di Lecco, "Grazia Deledda" di Magenta, "Logudoro" di Pavia
, "Nuova Sardegna" di Peschiera Borromeo, "Grazia Deledda" di Saronno, "S’Emigradu" di Vigevano, "Sardegna" di Vimercate e "La Quercia" di Vimodrone. Il legame di amicizia con le popolazioni locali è il fondamento della vita dei circoli sardi in Lombardia. Quando si allenta nascono i problemi. Onorio Boi, originario di Seulo, rieletto presidente a Como dopo un interregno forse troppo lungo, confessa la sua preoccupazione. "Stiamo cercando di riannodare i fili nel miglior modo possibile", rivela. "Per qualche anno ci siamo illusi che facendo attività sui cosiddetti massimi sistemi avremmo raggiunto chissà quale meta. Invece senza legarsi profondamente alle popolazioni locali non si va da nessuna parte". Antonello Argiolas è il presidente del circolo di Magenta e dall’estate del 2006 anche coordinatore dei venti circoli della Lombardia. Proprio a Magenta nel febbraio scorso aveva dato inizio alla serie di celebrazione del trentennale della morte di Remundu Piras con una gara poetica che aveva visto di fronte Mario Masala e Bruno Agus. Sul problema del legame con il territorio il suo parere è netto e nello stesso tempo molto confortante: "Da noi i circoli che trascurano questo aspetto sono pochissimi, l’eccezione e non certo la regola. Anzi ti dirò che non me ne viene in mente neppure uno" dice. "C’è da ricordare che le amministrazioni pubbliche delle nostre sedi collaborano molto volentieri con noi perché sanno che siamo gente seria e lavoriamo per scopi nobili". L’orgoglio dell’appartenenza è un distintivo da onorare giorno per giorno.
Paolo Pillonca
A BIELLA, LA "FESTA DE SU POPULU SARDU"
INAUGURATO IL NURAGHE CHERVU
La festa sarda 2008 è un appuntamento speciale incernierato sull’inaugurazione del monumento che omaggia alla Brigata Sassari e i caduti biellesi della Prima Guerra Mondiale. Con grande gioia ho il piacere di annunciare l’inaugurazione di Nuraghe Chervu, eretto a Biella in via Lago Maggiore, per ricordare il 90° dalla fine della Grande Guerra e l’inizio dei festeggiamenti del 150° anno dell’Unità d’Italia. La cerimonia, inserita all’interno della XIV edizione di "Sa Die de sa Sardigna", Festa de su Populu sardu, si è tenuta a Biella nei giorni 21 e 22 giugno 2008. Nuraghe Chervu, che prende il nome dal Torrente Cervo, luogo in cui sorge, caratterizzerà una delle porte del costituendo Parco Fluviale Urbano, è formato da massi estratti dalle cave di Curino e da pietre provenienti da diverse regioni d’Italia. La scelta dei blocchi di roccia biellese sta a significare l’antico legame tra Biella e la nostra Isola che trova una delle massime espressioni nell’emblematica figura di Alberto Ferrero Della Marmora: allo scienziato biellese, senatore del Regno di Sardegna, sono dovuti gli studi mineralogici sardi e piemontesi tra cui quello relativo a un particolare filone di roccia magmatica – il melafiro – che per 23 chilometri unisce il Biellese e la Valsesia (tre lastre di melafiro decorano il monumento a lui dedicato da Quintino Sella all’interno della Basilica di San Sebastiano di Biella); mentre le altre pietre, proveninti da ogni parte d’Italia, vogliono rievocare il dolore delle guerre e dei sacrifici che hanno contribuito alla creazione dell’Italia moderna coi tanti giovani tra cui i 532 Caduti biellesi e i 98.124 richiamati sardi – uno ogni nove abitanti dell’Isola. Con 13.602 Caduti, la Sardegna ha pagato il prezzo più alto in rapporto alla popolazione coi fanti della gloriosa "Brigada Thatharesa", la Brigata Sassari. (Il 3 dicembre 1915, i vertici militari disposero il trasferimento di tutti i fanti sardi nella Brigata Sassari). Dall’altopiano di Asiago, proviene una delle pietre che costituiscono il nuraghe biellese, poiché sul Carso, il 25 luglio 1915, appena due giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria, la Sassari ebbe il "battesimo del fuoco", combattendo al grido "Forza Paris!", forza uniti!, piuttosto che "Avanti Savoia!". Il 5 agosto 1916 viene conferita la medaglia d’oro al valor militare a ciascuno dei due reggimenti della Brigata Sassari, distintasi (20-30 gennaio 1918), nella battaglia dei Tre monti, rimasti in prima linea fino alla "battaglia del Piave" (15-23 giugno 1918) in cui cadde l’avv. Attilio Deffenu, – intellettuale meridionalista, mandato al fronte perché sospettatto di "sovversismo" – al comando di un plotone di "thatharinos" (16 giugno 1918). Durante i sanguinosi combattimenti del Piave in tanti persero la vita: tra i biellesi, Costantino Crosa, medaglia d’oro al valor militare, Capitano di Fanteria, Comandante la 10a Compagnia del 201° reggimento, caduto a Breda di Piave 18 giugno 1918. Una memoria collettiva affievolita che con Nuraghe Chervu si vuole rinvigorire e tramandare, rinsaldando e metabolizzando frammenti di storia e geografia attraverso il Concorso Scolastico "Le pietre e il sacro, disegna un nuraghe" a cui hanno risposto oltre settecento studenti che hanno permesso col loro contributo di idee l’edificazione del nuraghe sorto alle porte della città. Domenica 22 giugno, alle ore 17, nella Sala consiliare della Provincia di Biella avverrà la premiazione e la consegna del volume che raccoglie tutte le opere pervenute a concorso. Un progetto articolato e condiviso dall’Amministrazione della Città di Biella che ha accettato l’impegno e la proposta del Circolo Su Nuraghe per l’inseritmento del nuovo monumento biellese all’interno di un giardino mediterraneo in cui verranno via via piantumate altre piante per ricordare i futuri nati nella Comunità sarda di Biella. Battista Saiu
PARLA IL PRESIDENTE DELLA F.A.S.I, DOPO LA CONFERENZA SULL’EMIGRAZIONE DI CAGLIARI
TEMPO DI BILANCI
Per capire bene l’importanza di questa Conferenza "I sardi nel mondo" bisogna prima di tutto raccontarla, parlando della partecipazione delle persone, della loro passione. Bisogna capire i sentimenti di quelli venuti da più lontano, che non tornavano da tanto tempo nella loro isola, che hanno gioito con il cuore e con gli occhi per i colori della meravigliosa primavera che hanno trovato a Cagliari. Una bella sensazione corale, quella di 450 persone che si incontrano, si prese
ntano, si ritrovano e insieme si sentono un movimento, una forza, acquistano consapevolezza che quello che fanno faticosamente, con l’aiuto di pochi, nei diversi angoli del mondo, non è nostalgia fuori tempo e residuale. Molti i giovani, molte le donne, un segnale importante grazie anche a quella "imposizione" assessorile, che prescriveva che almeno un delegato per circolo doveva essere un giovane o una donna. Giovani che si sono ritrovati e riconosciuti, che hanno accolto come un inaspettato segnale positivo l’apertura della conferenza da parte di un’Assessore brava, appassionata, vicina a loro per modo di vedere le cose e per età. Siamo stati ben accolti. Ospitalità data non solo dalla qualità alberghiera, dalla bellezza di Cagliari, dai saluti delle autorità, ma anche dal calore umano, dalla spontaneità, dalla semplicità instaurata dall’Assessore Romina Congera e dal Presidente Renato Soru. Forse questa è stata la sorpresa più inaspettata, che ha da una parte smentito una idea di una Sardegna fredda e lontana e ha forse, per molti, soprattutto i più anziani, sancito un risarcimento postumo per una partenza molto spesso sofferta. A lato della conferenza due momenti, diversi fra loro, di intensa partecipazione, il cordoglio per la scomparsa di Tullio Locci, protagonista indimenticabile del movimento degli emigrati e la partecipazione, per una fortunata coincidenza, di una folta delegazione alla manifestazione del 25 aprile, quasi a suggellare simbolicamente il legame con le origini della nostra democrazia, nel 60° della nostra Costituzione e del nostro Statuto autonomo sardo. Ed ora veniamo al bilancio politico. La conferenza ha raggiunto il suo scopo? Il mio personale giudizio è positivo. Dopo 20 anni trascorsi dal precedente appuntamento, è stato rinnovato il patto che lega gli emigranti alla Sardegna. Certo poi dovrà essere scritto nelle leggi e nei principi dello stesso nuovo Statuto dell’unico popolo sardo, ma intanto qui è stato solennemente sancito. C’è stato un buon dibattito che ha evidenziato innanzitutto che una politica per l’emigrazione è oggi attuale e necessaria. E’ stato buono e utile il dibattito nei gruppi di lavoro, soprattutto intorno alla legge, con il professor Fois, nella tavola rotonda, e nell’incontro, sia pure frettoloso, con la Commissione consiliare dell’Emigrazione. C’è stata infine una qualificata interlocuzione: con Padre Segafredo, direttore del Messaggero di Sant’Antonio, il mensile più letto dagli italiani nel mondo, con Giulio Angioni, grande scrittore e antropologo, con Maria Giacobbe, scrittrice nuorese emigrata in Danimarca, con gli esponenti della CGIE, con l’ambasciatore Calamai, che ha ricordato il dramma dei "desaparecidos", con Giovanna Corda, emigrata sarda in Belgio, figlia di minatori, oggi parlamentare europea. Come è stato detto dal Presidente Soru sono caduti gli elementi di diffidenza e di pregiudizio. E questa è la base di ogni dialogo a venire per la costruzione di politiche leggi e programmi partecipati e condivisi. Anche gli argomenti più spinosi, a seguito di interventi di ruvida schiettezza, sono stati presi dal Presidente come spunto per risposte positive e per segnalare l’esigenza di un rapporto fiduciario. Certe azioni di adeguamento vanno messe in campo anche da parte nostra: per il superamento di una mentalità e di una funzione assistenziale, per la qualificazione dell’iniziativa culturale, per l’incentivazione dell’azione di promozione della Sardegna. Un impegno particolare lo dobbiamo mettere per vincere la scommessa di domani: allargare la rappresentanza e costruire un rapporto dei circoli con i sardi di seconda e terza generazione e intercettare i nuovi sardi fuori Sardegna, che magari non si autodefiniscono più emigrati, ma che è necessario coinvolgere, sia per cercare il loro contributo alla crescita del nostro movimento e alla sua maggiore rappresentatività, che per il bene che ne può venire per la nostra isola. Infine vorrei segnalare alcuni limiti, su cui sarà utile discutere e agire per poterli superare: in primo luogo sarebbe stato utile un maggiore coinvolgimento degli intellettuali e degli artisti che vanno già per il mondo come ambasciatori della cultura sarda. Parlo di gente come Paolo Fresu, Marcello Fois, Gianfranco Cabiddu, Salvatore Mereu ed altri andavano invitati; anche un saluto simbolico sarebbe stato importante. C’erano alcuni intellettuali sardi come Pillonca, Macciotta, Lavinio e nella veste di addetti ai lavori, i sociologi. Ma non mi pare francamente sufficiente, considerando il rapporto dei nostri circoli con moltissimi di loro. In secondo luogo erano assenti le forze sociali e gran parte delle forze politiche. Ricordo presenze importanti di esponenti della Giunta come l’assessore Mongiu e l’assessore Dadea, ma erano molto pochi i rappresentanti delle forze politiche, tolti alcuni consiglieri quali gli onorevoli Pisu, Frau, Comodi, Pisano, Dedoni, Cherchi, Giovanna Cerina, il sindaco di Asuni, il sindaco di Nuoro. Forse dimentico qualcuno. Un po’ poco per un incontro ogni vent’anni. In terzo luogo, malgrado alcuni buoni servizi in Tv, c’è stata una presenza insufficiente sia nei quotidiani, nelle radio e nella stampa locale. E sappiamo tutti quanto una buona e capillare informazione sia importante al fine di consolidare i legami con questo nostro mondo. Speriamo di affrontare questi limiti e di superarli nel proseguo dell’azione dei circoli con l’impegno di tutti gli interessati: Presidenza, Assessorato, Consiglio, Commissione Emigrazione, Consulta. Tonino Mulas
L’EROE SARDO, NEL 200° ANNIVERSARIO DELLA SUA MORTE
RICORDATO A VERCELLI, GIOVANNI MARIA ANGIOY
Gianluca Medas, cagliaritano, regista, narratore, scrittore, attore e autore. Proviene dalla FAMIGLIA MEDAS, la più antica famiglia d’arte sarda e dal 1985 si occupa attivamente di tenere in vita la tradizione della famiglia senza trascurare l’esecuzione di nuovi progetti che traggono la loro ispirazione dalla cultura popolare dell’isola. Tra le numerose manifestazioni nelle quali Medas partecipa come primo attore-protagonista mi piace qui ricordare la sua collaborazione con la "Fondazione Dessì" per l’attuazione di spettacoli tratti dalle opere dello scrittore villacidrese, al quale, com’è noto, è intitolato il nostro sodalizio. Per la sua continua attività sui vari prosceni, Medas è noto e stimato non solo in tutta l’Isola ma anche in tutta la Penisola e oltre i confini italiani – è, come si direbbe oggi, sempre in giro per il mondo-. E così, concedendosi una breve pausa nella sua tournee tra Piemonte, Lombardia e Puglia, Medas ha accettato l’invito della nostra Associazione di fare una sosta a Vercelli per un breve spettacolo-recitato sulla figura di un eroe nazionale sardo: Giovanni Maria Angioy, nobile combattente contro la Tirranide Feudale. C’è da dire che Gianluca Medas è di casa a Vercelli ed è stata una gradita opportunità quella di poter assistere ancora una volta alla sua esibizione. Infatti, qui da noi, s
i ricordano sempre le sue performances dei mesi scorsi su: G.Deledda (E.Portolu), la memoria del vuoto -storia del bandito Stocchino- (testo di M.Fois) e Gramsci. Ancora una volta dunque, il 15 giugno 2008, Medas ci ha intrattenuto con un racconto-recitato affascinando la platea con la sua dizione chiara dai toni ben modulati accompagnati dal gesto sapiente che integra e aiuta la comprensione della storia e, quando questa si fa dramma, il coinvolgimento emotivo del pubblico è immediato e pieno, coinvolgimento suscitato e accresciuto anche dal commento musicale originale dei fratelli Fabrizio e Maurizio Saiu, ottimi musici che costituiscono sempre parte integrante dell’esibizione di Gianluca Medas. Il tema, questa volta, uno dei più cari all’attore, che ama ricordare gli eroi sardi che in tante lotte e battaglie hanno dato anche la vita per il progresso, la giustizia e la libertà del popolo sardo. Uno di questi uomini è, appunto, Giovanni Maria Angioy del quale cade quest’anno il 200° anniversario della morte (Bono 1751 – Parigi 1808). La sua storia è raccontata, in breve sintesi, qui appresso, inserita in un contesto storico tra i più difficili per le popolazioni sarde e, in quegli anni, in particolare per i cittadini di Cagliari.
I FATTI: Gianluca Medas prima di parlare di Giovanni Maria Aangioy presenta un sintetico ma vivace quadro storico della Sardegna, passata nel 1720 dagli Spagnoli ai Savoia; questi, divenuti re di Sardegna, affidano ad un vicerè, residente a Cagliari, il compito di governare un’isola che continua a soffrire il peso di una feudalizzazione secolare e, in sovrappiù, si sente colonizzata da una dinastia che non rispetta neppure quei pochi elementi d’autonomia che il potere spagnolo aveva concesso (riconoscimento della funzione degli strumenti, una specie di piccolo parlamento che riuniva i nobili, gli ecclesiastici e i rappresentanti della città). Giovanni Maria Angioy, nato da una famiglia che apparteneva alla borghesia rurale, rimane orfano bambino ed è seguito dallo zio materno che lo avvia agli studi prima a Bono, poi a Sassari presso i Gesuiti. A 21 anni è professore universitario e a 39 viene nominato Giudice della Reale Udienza, carica allora molto importante. Quando si diffondono in Europa i principi dell’Illuminismo e scoppia la Rivoluzione (1789), Giovanni Maria Angioy fa propri gli elementi basilari del movimento, soprattutto il tema dell’abbattimento dei privilegi feudali, i quali, in un’isola dove l’unica fonte di reddito era l’agricoltura, sfruttavano e taglieggiavano i sudditi con tributi d’ogni genere. Anche tra la nascente borghesia cittadina (avvocati, notai, medici) circolavano segretamente opuscoli politici rivoluzionari, ma, nel 1793, quando la flotta francese si presenta nel porto di Cagliari per impadronirsi della fortezza (Castello) e quindi dell’Isola, il clero ha buon gioco nel presentare i Francesi come nemici della Chiesa, del potere legale e soprattutto come invasori. La resistenza dei cagliaritani guidati e organizzati da alcuni borghesi e da qualche nobile tiene in scacco la flotta che bombarda la città; le milizie sarde annullano il tentativo di’accerchiamento dei francesi che sono riusciti a sbarcare nella zona di Quartu e del margine rosso, dove si verificano episodi grotteschi come quando gli invasori confusi e allarmati finiscono per spararsi fra loro. Cessato il timore dell’invasione, il sovrano non riconosce l’apporto dei sardi nella lotta contro i francesi ( quello delle milizie piemontesi era stato in sostanza nullo). Nel 1794, il malcontento dei cagliaritani sfocia in aperta ribellione con l’uccisione di due personaggi che si giudicavano venduti ai Savoia, il Pitzolo e il Paliaccio e con la cacciata dei piemontesi dall’isola che viene governata provvisoriamente dalla Reale Udienza di cui fa parte Giovanni Maria Angioy Nel Nord della Sardegna, i feudatari del Logudoro, spaventati dai fatti di Cagliari e dalla rivolta dei paesi che tendono ad unirsi contro i feudatari, chiedono al Re di staccarsi dal Sud e l’invio di un Vicerè. In questa situazione, per tentare di sedare i disordini che ormai sono dilagati fino in città, viene inviato a Sassari Giovanni Maria Angioy con la carica d’Alternos, in altre parole con la possibilità d’esercitare il potere Vicereale. Il viaggio da Cagliari a Sassari di Giovanni Maria Aangioy è un viaggio trionfale perché si vedeva in lui il liberatore degli oppressi e come tale egli si comporta quando chiede al Vicerè la fine del sistema feudale. Tale richiesta non viene accolta perché neppure la borghesia cagliaritana, appoggia il suo tentativo che viene definito rivoluzionario ed eversivo. Le speranze di Giovanni Maria Aangioy svaniscono, viene considerato un ribelle, sulla sua testa viene messa una taglia 3000 lire sarde ed è costretto a fuggire prima a Torino, occupata dai Francesi, poi a Parigi dove continua a lottare per il miglioramento della situazione della sua isola. Muore povero nel 1808, e ancora oggi sulla facciata del Municipio del suo paese natio si legge: "A GIOMARIA ANGIOY CHE, ISPIRANDOSI AI VALORI DELL’89, BANDI’ LA SANTA CROCIATA CONTRO LA TIRANNIDE FEUDALE. Giampaolo Porcu
SUCCESSO DEL CONVEGNO DI STUDI DEL CIRCOLO "LOGUDORO" DI PAVIA
IL PARLAMENTARE SARDO GIORGIO ASPRONI
Nel pomeriggio di sabato 7 giugno, presso la sede sociale, il Circolo culturale sardo "Logudoro" di Pavia, in collaborazione con la Federazione delle Associazioni Sarde in Italia (FASI) e con la Regione Autonoma della Sardegna-Assessorato del Lavoro, con il patrocinio dell’Università di Cagliari-Facoltà di Scienze Politiche e del Comune di Bitti (Nuoro) nonché della Prefettura, dell’Università, della Provincia e del Comune di Pavia, ha organizzato un convegno sul parlamentare sardo Giorgio Asproni, nella ricorrenza del bicentenario della nascita. Asproni (nato a Bitti nel 1808, morto a Roma nel 1876) è stato una delle massime figure della storia moderna sarda, grande autonomista e incrollabile repubblicano. Dal 1849 entrò come deputato al Parlamento subalpino e gli fu riconfermato poi il mandato, eccettuata l’ottava, sino alla dodicesima legislatura del Parlamento italiano. Tra il folto pubblico che ha seguito i lavori del convegno – oltre i rappresentati della FASI (Filippo Soggiu e Pasqualina Pira), dei presidenti dei circoli (Parabiago e Vigevano) e dell’Università (i docenti emeriti Giovanni Bo e Alberto Gigli Berzolari e il prof. Ezio Barbieri) – due ospiti d’onore: Ferdinando Buffoni, prefetto di Pavia, di padre proprio di Bitti e di madre sassarese, e Giuseppe Ciccolini, sindaco di Bitti. Il convegno, dal titolo "Fede nella democrazia e nella repubblica e realismo politico in Giorgio Asproni", ha indagato anche i rapporti che Asproni tenne con i rappresentanti della Democrazia lombarda e pavese in particolare. Arianna Arisi Rota, docente di Storia contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pavia, ha coordinato i lavori, che sono stati introdotti da una relazione di Gesuino Piga, presidente del "Logudoro", su "i legami di amicizia e il sodalizio politic
o di Asproni coi democratici pavesi". Marziano Brignoli, cultore del Risorgimento, ha illustrato "il rapporto di Asproni con la Democrazia lombarda, in particolare con Cesare Correnti e con Agostino Bertani". Tito Orrù, dell’Università di Cagliari, si è soffermato "sulla formazione e sulle scelte politiche di Asproni nel passaggio da canonico a deputato", e ha dato una sintesi della relazione di Luigi Lotti, dell’Università di Firenze, su "le idee e l’azione politica di Asproni, deputato e giornalista, dopo l’Unità d’Italia (1861-1876)". Personalmente mi sono occupato del tema "la tradizione e la cultura della Sardegna nel carteggio tra Giorgio Asproni e Giovanni Spano". Paolo Pulina
GRANDE MANIFESTAZIONE ORGANIZZATA DAL GREMIO SARDO "EFISIO TOLA" DI PIACENZA
NOTE DI VELLUTO
Il Gremio Sardo "Efisio Tola" di Piacenza, con il patrocinio della Regione Sardegna, della Provincia di Piacenza, del Comune di Castell’Arquato e la FASI (Federazione delle Associazioni Sarde in Italia), ha organizzato nella serata del 21 giugno, una Sfilata di Moda nella piazza del Municipio di Castell’Arquato in provincia di Piacenza. La Rocca Viscontea ha fatto da cornice alla manifestazione denominata "Note di Velluto". Gli stilisti saranno tutti sardi e con le loro bellissime creazioni, hanno sfilato in passerella per raccontare l’antica tradizione della Sardegna. La serata è stata condotta dal presentatore dell’emittente televisiva "Sardegna Uno", Giuliano Marongiu. Hanno sfilato giovani stilisti quali: Mario Cocco; Paolo Cumpostu; Marcella Cristofalo; Maria Ausilia Marongiu; Roberto Stella; Toni Sanna. Le creazioni sono state impreziosite dai gioielli originali e ricercati, della piacentina Giuseppina Fermi. All’interno della manifestazione, varie esibizioni musicali tra cui quelle di Alessandro Catte e Roberto Tangianu. Ha chiuso la serata Paolo Modolo, mastru ‘e pannos e oranese doc, è il degno erede di una tradizione, quella degli abiti di velluto, iniziata nei primi anni del ventesimo secolo per rimpiazzare il costume d’orbace e quasi scomparsa a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. La sua è la storia di un successo che, anche se maturato solo negli ultimi anni, affonda le sue radici in questa grande e innata passione per l’arte del velluto, passione mai trascurata anche negli anni difficili del lavoro in miniera. Per molti anni infatti il suo lavoro principale è stato quello di minatore nelle cave di talco di Orani anche se la sua bottega artigiana, nonostante momenti di grossa difficoltà, non sia mai rimasta chiusa. Erano gli anni del modernismo e andavano di moda solo jeans e Lacoste che fecero quasi scomparire il classico abito in tre pezzi di velluto tipico della tradizione pastorale sarda. All’inizio degli anni Ottanta però rispunta fuori quella che il professor Giovanni Lilliu ha definito la "costante residenziale", cioè quel qualcosa che i sardi (soprattutto l’etnia pastorale delle zone interne) hanno dentro di loro e che possiamo definire come "senso dell’identità". E così i ragazzi barbaricini misero in soffitta i jeans dei loro genitori per tornare al velluto dei nonni e Paolo Modolo, da minatore che era, tornò a fare il sarto trasformando la sua bottega in quell’avviatissimo laboratorio che ora produce migliaia di pantaloni e centinaia di giacche de vozza antica cioè di antica foggia. Il suo nome supera gli orizzonti dell’isola ed è così che l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, famoso anche per il suo gusto raffinato nel vestire, approda nel suo laboratorio commissionandogli alcuni abiti e diventandone il testimonial d’eccezione, più valido di qualsiasi pubblicità. All’ex presidente della Repubblica fanno seguito tanti altri illustri personaggi come Vittorio Sgarbi e Sergio D’Antoni, Roberto Muzzi e Piero Pelù e tanti altri manager e professionisti affascinati dalla semplicità e dall’eleganza dei suoi abiti. Lo stile di Modolo si potrebbe definire etno-chic, perché, come molti grandi artisti, è riuscito a mettere insieme arte e tradizione. I suoi abiti ricordano in tutto e per tutto il vestito pastorale sardo che viene da lui rielaborato in chiave moderna perché, come dice Giorgio Armani, i vestiti vengono creati per essere portati e gli abiti di Modolo si portano veramente dappertutto: in città come in campagna, di giorno per lavorare, di notte per andare all’opera e ….. perché no, anche per sposarsi come ha mostrato nella recente sfilata a cui ha fatto da magnifico scenario il Monte di Gonare. Aiutato nella produzione anche dai ragazzi del corso di formazione professionale per sarti, da lui fortemente voluto e sovvenzionato dalla Regione Sardegna, continua a sfornare sempre nuove soluzioni, abiti da sposa, vestiti da manager dai colori azzardati, anche se il suo colore preferito rimane il nero. Gli abiti tradizionali in velluto, le camicie in cotone nero, bianco e azzurro ma anche modelli rivisitati, aggiornati e che si possono indossare in qualunque occasione. Giacche con la martingala, revers di vari colori anche alle tasche dei pantaloni da uomo, fanno di Paolo Modolo il sarto che riporta l’alta moda alla sobrietà e al gusto ricercato, ma soprattutto all’opera d’arte e all’artigianato.
FOSSALTA DI PIAVE, MUSILE DI PIAVE:"SA VIDA PRO SA PATRIA"
RICORDANDO GLI INTREPIDI DELLA BRIGATA SASSARI
I circoli degli emigrati sardi della circoscrizione del Nord- Est quest’anno hanno festeggiato "Sa die de sa Sardigna" il 22 giugno in occasione della ricorrenza del 90° anniversario della battaglia del Solstizio che impedì la caduta di Venezia e Treviso permettendo il rovesciamento delle sorti della guerra durante la quale la Brigata Sassari si distinse per eroismo con sacrificio di moltissimi uomini. Per commemorare l’evento la FASI ha fatto realizzare dall’architetto Franco Niffoi di Orani con la collaborazione dell’artista Albino De Martis di Fordongianus, un monumento di pietra sarda estratto dalle cave di Orani, Paulilatino e Nuragus che sarà inaugurata a Losson della Battaglia (comune di Meolo) proprio il 22. Alla cerimonia erano presenti i sindaci della Sardegna da cui provenivano i soldati caduti e i cui nomi saranno scanditi durante la cerimonia. Le manifestazioni si sono svolte nell’arco di tre giorni: il 20 a Fossalta di Piave, il 21 a Musile di Piave e il 22 a Meolo.
Saranno tutte le pietre della Sardegna, graniti, basalti, trachiti, porfidi, arenarie, tufi… composte in forma di un monolite una sorta di nuraghe a ricordare le gesta eroiche di umili uomini morti per la patria in terre verdi declinanti verso il mare.
< span style="font-size: 10pt;font-family: Arial">La FASI ha realizzato con il contributo dell’Assessorato al Lavoro della Regione Sardegna il monumento e i cippi dedicati alla Brigata Sassari che sono stati inaugurati venerdì 20, sabato 21, domenica 22 nei luoghi che la videro difendere con umile eroismo la linea del Piave nella Battaglia del Solstizio del 14-24 giugno 1918. L’inaugurazione del monumento sarà il culmine del progetto proposto dai Circoli Sardi del Veneto nel 90.mo della Battaglia alle amministrazioni comunali dei paesi di Meolo, Fossalta di Piave e Musile di Piave della provincia di Venezia nei cui territori si svolsero i combattimenti. I nomi dei 138 caduti individuati dalla ricerca storica operata dal Museo della Brigata Sassari saranno scolpiti nei cippi posti intorno al monumento a cura dei Comuni della Sardegna Comitato per la valorizzazione dei siti della Brigata Sassari che ha coinvolto i sindaci dei paesi natali dei soldati. Il progetto accolto con entusiasmo dai tre comuni veneti ha avuto l’adesione e la partecipazione del comando della Brigata Sassari e del Comando Militare Esercito Veneto. Dal progetto è scaturita la manifestazione che per tre giorni ha celebrato la Brigata Sassari nel ricordo delle sue gesta ma anche la Brigata presente con la sua banda e i suoi soldati, oggi impegnati nel mondo in missioni di solidarietà. Queste giornate hanno visto la presenza e la partecipazione delle comunità dei paesi ospitanti,dei paesi di origine dei caduti, e dei numerosi sardi emigrati che vivono oggi nel Triveneto, saranno volte a sviluppare il legame tra la comunità sarde e venete, nato nella sofferenza e nel sacrificio della guerra, in incontro di reciproca conoscenza, in occasione di scambio culturale, sociali, e di collaborazioni future. Hanno collaborato con questo spirito alla manifestazione il Consorzio Proloco dal Sile al Piave e la Camera di commercio di Nuoro.Dalla Sardegna il Coro di Nuoro porterà i canti della tradizione Sarda e i produttori nuoresi esporranno l’artigianato, i sapori, i vini dell’isola. Nel comitato organizzatore: FASI; Comuni di Meolo, Fossalta di Piave, Musile; Comando Brigata Sassari; Comando Militare Esercito Veneto; Museo Brigata Sassari; Comuni della Sardegna per la valorizzazione dei siti della Brigata Sassari; Circoscrizione Nord Est della FASI; Circolo di Padova; Circolo di Treviso; Circolo di Mestre.
Serafina Mascia, Maria Antonietta Deroma
A BELLUNO, LA MANIFESTAZIONE "OLTRE LE VETTE"
LA PARTECIPAZIONE DEI TENORES "MIALINU PIRA"
Un concerto del gruppo corale sardo dei tenores di Bitti "Mialinu Pira", ha concluso la decima edizione della manifestazione "Oltre le vette – Metafore, uomini, luoghi della montagna", l’evento culturale realizzato dal Comune di Belluno. La serata è organizzata in collaborazione con il Circolo dei Sardi di Belluno, presieduto da Roberto Agus, un’associazione molto attiva in città e che conta oltre 150 soci. I tenores sardi sono conosciuti a livello internazionale. Al loro attivo hanno infatti un numero infinito di concerti, in tutto il mondo, e una corposa discografia. Il canto corale recupera antiche tradizioni delle montagne del Nuorese, con un canto a quattro voci sa oche, la voce conduttrice, sa mesuoche, su bassu, sa contra ispirato ai suoni della vita agricola. Il risultato è straordinario. Non per caso, quindi, l’Unesco ha ritenuto questa musica dello stesso livello, ad esempio, della tradizione Kabuki giapponese. Un altissimo riconoscimento, dunque, confermato anche dalla stima e dall’apprezzamento di musicisti del calibro di Frank Zappa (che definiva questo canto musica bovina) o Peter Gabriel, che addirittura ha inserito un gruppo corale di tenores nella scuderia della sua etichetta Real Wordl. Questi canti dei pastori piacquero anche ai jazzisti Lester Bowie e Omette Cole man, per non dire degli etnomusicologi stranieri, che da decenni studiano questa antica espressione musicale.
A MILANO PER PROMUOVERE LA GRANDE ISOLA SARDEGNA
LE TRE VITE ARTISTICHE DI SALVATORE GARAU
Le foto di "Ichthys sacro stagno" appese alle pareti, muggini e anguille flessuosi e natanti con sovrana noncuranza sopra il pavimento delle chiese oristanesi, gli fanno da singolare biglietto da visita, ma occorre precisare che Salvatore Garau, pittore, conosce bene l’arte di stupire il pubblico. A Milano per cercare di convincere un nutrito numero di giornalisti che all’interno di quell’autentico paradiso che è l’isola di Sardegna c’è il suo personale, nel cuore (culturale) del Sinis,che è ancora più bello. E che quando lui passeggia, al mattino presto, sulla spiaggia di Torre Grande, gli vengono in testa le idee più originali dell’arte sua. Passeggia scalzo naturalmente, e come potrebbe diversamente a due passi da Cabras, dove sono "scalzi" in maniera istituzionale, a trasportare quel loro San Salvatore, di corsa, che occorre sottrarlo alle grinfie degli ottomani infedeli. Persino Salvatore Niffoi ne ha fatto lo sfondo del suo ultimo fortunato e premiato romanzo: "Ritorno a Baraule". Tore Garau è di Santa Giusta, che la Basilica sia una delle tre chiese in cui ha pensato di "far debordare l’acqua degli stagni nel suolo sacro", all’interno del Dromofestival 2006 che titolava: "la maschera e l’acqua", non è una coincidenza casuale. Come non lo è la scelta di San Giovanni Battista di Nurachi, che è il paese natale della mamma. Terza viene Oristano con San Giovanni dei Fiori, dove lui (e dichiara di sentirsi un privilegiato) ha una casa. Tanto scalpore ha suscitato la "performance in suolo sacro" della fauna ittica autoctona che, l’anno dopo, sempre per il Dromofestival, si è fatta una mostra delle tantissime fotografie scattate in quell’evento. Dice lui che già alla fiera di Basilea, nell’86, aveva costruito una sorta di grande uovo d’acqua, che incuteva un senso di sacro rispetto negli spettatori. La categoria di "grande" gli è del resto particolarmente congeniale, qui a Milano dove lavora abitualmente, giusto un paio d’anni fa ha dipinto un’opera, che finirà poi a Spoleto sulla facciata del Teatro Nuovo, in occasione della mostra Opere in Transito, che misurava oltre duecento metri quadri. C’è voluto un capannone di una fabbrica di giocattoli, 40 chili di colori acrilici su tela PVC riciclata, pennelli di due metri d’apertura, una bicicletta per trascinare i colori da una parte all’altra della "tela". Per la cronaca dominanti erano i colori che da sempre predilige, bianco, nero, argento, rosso. So che dopo ne ha fatto innumerevoli pezzi singoli che ha venduto e regalato. Questi segni di originalità gli si sono precocemente sviluppati; a sentir lui già nel ’60, aveva sette anni, pretendeva che sua madre gli comprasse un frac. Erano tempi quelli in cui le donne di Sardegna supplivan
o con l’arte loro dell’ago e del filo alla (oh quanto è intollerante!) mancanza di grandi magazzini e magliette griffate: pare che una tovaglia cerata abbia supplito anche alla scarsità di panno angorato. Il piccolo Garau ebbe quindi il suo policromo frac con cui, molto seriamente, dirigeva una orchestra di polli e galline. La musica è infatti un’altra delle Muse che attraverso di lui sogliono esprimersi, e mai a livello amatoriale, tutt’altro. E’ per tramite della musica che gli strappo una intervista per questa sera, porgendogli l’articolo della "Gazzetta" in cui scrivevamo di Pino Martini e del suo coro sardo (in cui mi onoro di cantare pure io), quel Martini che, assieme a lui, aveva militato per un decennio nella storica banda degli Stormy Six, imperversando per tutti gli anni settanta nei palcoscenici di mezza Europa. Debbo dire innanzitutto che Salvatore è incredibilmente simpatico e alla mano, non se la tira per niente direbbero i miei studenti diciottenni. Quando mi racconta di quel periodo d’oro della sua fanciullezza in cui "quelli di Santa Giusta" erano rispettati in tutto l’oristanese, per la qualità e originalità del loro suono, e decine e decine erano le "band" che si esibivano in scantinati e sale oratoriane di tutto il Sinis. Il mestiere di percussionista lo ha rubato ai fratelli Salis, e anche al fratello di Pino Martini, lui comunque disegnava già allora benissimo e, a diciassette anni, in barba a regolamenti che obbligavano ad averne almeno diciotto per l’iscrizione, era a Firenze iscritto all’Accademia. Con quanto dolore di mamma che si vedeva uscire di casa quell’unico maschio in tempo così precoce è facile immaginare. Durante i quattro anni di Accademia Salvatore trova il tempo per mettere su un "Trio Garau", usarono il suo nome che sapeva di esotico, suonava come rumeno, e allora, incredibile a dirsi oggi in questo nostro intollerante paese, "faceva figo". Ma in estate, a scuola chiusa, subito in Sardegna, che la nostalgia era tanta. E lì si avvera il sogno di suonare coi suoi miti di gioventù, i fratelli Salis. E’ ancora con loro quando gli Stormy Six lo ascoltano e fortemente lo vogliono in continente. Lui accetterà solo a condizione di tirarsi dietro "in ditta" anche l’amico di sempre: Pino Martini. La band milanese doveva essere ricca di talenti poliedrici, uno dei suoi chitarristi, tale Zanuso, diventerà un famoso architetto. Sarà lui a restaurare un edificio prestigioso di Milano, le Stelline, dove Salvatore Garau terrà una delle sue innumerevoli mostre di quadri. Quadri suoi sono nei musei di tutto il mondo, faccio fatica a credergli quando mi dice che nel ’94 aveva attraversato una crisi terribile, tanto che guadagnava di più a tenere chiuso il suo studio che a lavorarvi dentro. Fu allora che gli venne l’idea di scrivere. E manco a dirlo, con ottimi risultati. Persino Aldo Busi, che io credo essere uno dei più valenti scrittori italiani contemporanei, gli fece i complimenti per un suo romanzo breve di quaranta pagine. Salvo (per onore di verità) ricredersi quando le pagine del romanzo divennero 250. Fatevi raccontare da Salvatore il loro incontro, anni dopo, a Torino, in occasione di una mostra collettiva. Mi dice di avere una velocità di scrittura impressionante, due mesi e mezzo per scrivere 250 pagine di libro. E scrive quasi fosse in trance, con lo svolgersi della trama che inizialmente è un mistero autosvelantesi anche per lui. Ha nel cassetto, pronta, la sceneggiatura di un film. E un’altra è praticamente fatta. Come (quasi) tutti i progetti della sua vita mi dice essere solo questione di tempo, è convinto di trovare il produttore che finanzierà i film. E se guardo al curriculum che si tira dietro comincio a esserne convinto anche io. Che come tutti gli scribacchini sogna, prima o poi, di dare alle stampe un libro. Lui Salvatore mi regala anche il segreto di come fare: dieci anni di grande musica, dieci di pittura internazionalmente riconosciuta, poi compri una macchina da scrivere e cominci col primo capoverso: il resto viene da se. Sergio Portas
A CAGLIARI, LA PREMIAZIONE DELLA DODICESIMA EDIZIONE
IL PREMIO "ELEONORA D’ARBOREA" A NERIA DE GIOVANNI
La scrittrice algherese Neria De Giovanni ha vinto la dodicesima edizione del premio biennale "Eleonora d’Arborea". Il riconoscimento – una targa d’argento opera dello scultore Bruno Busonera – è stato consegnato alla De Giovanni dalla Presidente dell’Inner Wheel Club di Cagliari, Micaela Mulas. La cerimonia si è svolta nell’aula consiliare del Palazzo Regio, in presenza dell’assessore regionale Antonietta Mongiu e dell’assessore provinciale alle Politiche sociali Angela Quaquero. Il riconoscimento è stato ideato nel 1984 dalla stessa Micaela Mulas per premiare una donna sarda (oppure non sarda, ma comunque attiva nell’isola) che abbia contribuito a promuovere il progresso sociale, culturale, tecnologico, produttivo della Sardegna, contribuendo in questo modo a far conoscere il nome dell’isola in tutto il mondo. La commissione composta dalle 54 socie dell’Inner Wheel di Cagliari, ha scelto la scrittrice algherese per la sua multiforme attività. Laureata in Lettere a Cagliari – col massimo dei voti e con una tesi sulla "storia della letteratura italiana moderna e contemporanea" – Neria De Giovanni ha insegnato prima nelle scuole superiori e poi all’Università di Sassari. In seguito è diventata giornalista (nel 1987), poi editrice e critico letterario (è presidente dell’Associazione internazionale critici letterari con sede a Parigi). Come giornalista ha pubblicato innumerevoli articoli su riviste nazionali ed internazionali; come scrittrice ha pubblicato invece 32 libri (11 su Grazia Deledda) tra i quali il capolavoro "Ilaria del Carretto – la donna del Guinigi", premiato dal ministero dei Beni culturali nel 1989. Innumerevoli i premi e i riconoscimenti ricevuti in carriera, tra cui spicca la medaglia d’oro al merito culturale conferitole dalla Regione Sardegna.
RICONOSCIMENTO IMPORTANTE CONSEGUITO IN GERMANIA
MADDALENA FADDA VITOLO NOMINATA CAVALIERE
Maddalena Fadda Vitolo, vice presidente della Federazione dei circoli sardi in Germania, coofondatrice del movimento Donne Sarde in Europa, presidente del circolo di Heilbronn è stata insignita del titolo di Cavaliere, onorificenza dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana, conferitagli dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per i meriti acquisiti in campo sociale a favore dei Connazionali residenti nella circoscrizione di Stoccarda. La consegna dell’onorificenza è avvenuta il 2 giugno nel Consolato Generale di Stoccarda.
"DAL MITO ALLA REALTA’": IN VETRINA A MILANO, A PALAZZO REALE
GLI ANNI D’ORO DI ALIGI SASSU
Gli anni ’30, la stagione più ricca di fervore e ricerca di Aligi Sassu, sono stati ricordati in una grande mostra milanese che, a Palazzo Reale ha portato un’ottantina di dipinti provenienti da collezioni pubbliche e private. Intitolata Aligi Sassu: dal mito alla realtà, l’importante esposizione di opere significative, tra cui una mirata selezione della saga degli Uomini rossi, dagli Argonauti ai Cavalieri, dai Suonatori ai Giocatori di dadi. Il nucleo più consistente di dipinti, circa 40, sono stati concessi dalla Fondazione Aligi Sassu e Selenita Olivares di Lugano, che ha realizzato la rassegna in collaborazione con lo Studio Archivio Sassu di Milano puntando proprio sull’evoluzione del linguaggio pittorico per far luce su un periodo di grande creatività dell’artista. Sassu fu anche validissimo scultore, autore di numerose opere monumentali, nonché ceramista, illustratore e scenografo, ma è dai celebri dipinti che emerge con maggior nitore la vivace sperimentazione linguistica, che si riverberà nella sua lunga produzione. La mostra si apre con "I Costruttori" del 1929, un’opera che ancora risente molto, per la sintesi rigorosa delle forme e la geometrizzazione degli spazi, degli esordi futuristi di Sassu. Artista estremamente precoce, il giovane Aligi viene scoperto da Martinetti e a soli 16 anni espone alla Biennale di Venezia. Quella lettura della realtà si prolungherà fino ai primi anni 30, quando Sassu intraprende la saga degli Uomini Rossi (ampiamente documentata in mostra), che esibiscono nella loro gioiosa nudità il rifiuto del tempo storico. L’artista approda dunque, alla messa a punto del linguaggio realista che segnerà la sua adesione al movimento di Corrente, di cui è ispiratore e protagonista. L’esito ideale di questa ricerca è il Grande Caffè, iniziato nel 1936, ma portato a termine solo nel 1939, dopo la lunga interruzione dovuta all’arresto di Sassu, accusato di cospirazione. Il grande dipinto è emblematico dell’approdo di Sassu a una scrittura del reale che si rifiuta ormai ogni sovrapposizione formale. Ma il realismo di Sassu non si riduce mai a cronaca del vero e tenta spesso le strade del "racconto di una possibilità esemplare". Come accade nella splendida "Sortita dei cavalieri veneti a Famagosta", del 1940, il grande dipinto che chiude la mostra, dove un episodio del 1571 (la battaglia davanti alla città cipriota di Famagosta, dominio di Venezia, stretta d’assedio dai turchi) diventa pretesto per una battaglia che l’artista vorrebbe combattere contro i tiranni del suo tempo.
LA RACCOLTA POETICA DEL GALLURESE PASQUALE CIBODDO
OLTRE LA PERDUTA TERRA
Pasquale Ciboddo,autore tra i più apprezzati e noti di Gallura, da quasi due decenni pubblica con regolarità opere poetiche e di prosa. Sono del 2005 i "Tre racconti fra Nord Sardegna e oltre" (Carello Editore – Catanzaro), che con una scrittura-linguaggio, diversificata a seconda delle situazioni narrate, trasporta il lettore in singolari incisive storie e luoghi arcani ed arcaici e la silloge di liriche galluresi "In lacana (Sul confine)", con traduzione italiana a fronte, nella collana di letteratura plurilingue stampata dall’Editrice Democratica Sarda; composizioni in cui rivivono l’umanità, i valori e la società della "civiltà degli stazzi". Ora si ripresenta con la raccolta poetica, interamente in italiano, titolata "Oltre la perduta terra" (Genesi Editrice – Torino), dando alta prova dell’uso poetico in una proiezione di futuro e attingendo nell’identità dello stazzo. Ciboddo offre un percorso vario e articolato, attraverso la rilettura di significative tappe d’esperienza di vita e della continua suggestione esercitata dai temi della memoria;le impressioni liriche sono infatti rivelatrici di attività umane, di emozioni ed esperienze quotidiane che esaltano la ricchezza, l’originalità e specificità della cultura dell’area geografica dell’autore. Molteplici -per la varietà di argomenti trattati con partecipata ispirazione- le tracce di lettura possibili che affondano su tematiche esistenziali e nel conflitto di contrastanti posizioni (pessimismo-ottimismo), nel sentimento religioso della vita, nei ricorsi rievocativi sulle proprie origini e i forti legami con il mondo contadino e natura. Un fiume travolgente di versi, dallo stile essenziale e dai tono moderni, indica il fermento di speranze indelebili nell’animo del poeta, quasi a "volerci additare una via d’uscita dalla tristezza e dal dolore del mondo", scrive Elio Andriuoli nella prefazione alla raccolta. Pasquale Ciboddo figura nell’albo d’oro dei poeti "laureati" al premio "Ozieri" negli anni ’80. Cristoforo Puddu
L’ADDIO AL SARDO CHE HA FATTO MODA A MILANO
LA F.A.S.I. SALUTA MERU’
E’ grande il nostro dolore per la scomparsa di Francesco Mereu, Merù per il grande pubblico, per il mondo del design, per la moda, per la stampa. Per me e per gli amici era Zizzu, anzi meglio, diceva lui, Zizzu "cupedda", sardo doc di Dorgali. Per la FASI, per il Centro Culturale Sardo di Milano, per tutti i circoli era un amico sincero e generoso. Con noi ha collaborato in numerose manifestazioni ufficiali. Ne ricordo solo alcune. Nel 1984, quando partecipò all’inaugurazione del Centro Culturale Sardo di Milano, sopra la Galleria in Piazza Duomo insieme al Sindaco Carlo Tognoli. Nel 1990, quando abbiamo celebrato il XX° del Centro Sociale Culturale Sardo di Milano, quando realizzò la spilla "La Sardegna d’oro" che fu attribuita a venti personalità sarde a Milano, che con la loro opera avevano dato lustro alla Sardegna. Fra costoro c’era anche Merù. Oppure quando ha realizzato le medaglie per il premio internazionale biennale di poesia sarda giunto ormai alla IX° edizione; il marchio di questo premio, la testa cinta d’alloro, era stato disegnato da Aligi Sassu. Infine la realizzazione della medaglia ricordo realizzata per il 100° compleanno del fondatore della Lega Sarda, poi FASI, il presidente Tullio Locci scomparso recentemente. Partecipava, malgrado i suoi molteplici impegni, ai principali momenti della vita culturale della FASI. Ma la sua passione e la sua felicità erano le serate sulla lingua sarda e soprattutto sulla poesia. Abbiamo passato delle serate intere, in compagnia dello scrittore Paolo Pillonca e di altri amici, nelle quali Zizzu recitava, grazie alla sua prodigiosa memoria, brani di poesia di poeti improvvisatori famosi, che ricordava dalla sua
giovinezza dorgalese, quando assisteva alle gare poetiche in piazza de "Su Cucuru". Era una persona eccezionale: amico di scrittori, di poeti, di grandi artisti come Titinu Nivola, a suo agio nel mondo tumultuoso della grande rivoluzione milanese della moda e del design, amato e coccolato da giornaliste famose come Camilla Cederna e Natalia Aspesi e da personaggi del jet set come Giulia Crespi, presidente del FAI, che aveva accompagnato a scoprire le bellezze del Supramonte della Barbagia; nello stesso tempo era di casa nella cantina degli amici o nell’ovile del pastore. Ricordo ancora quando aveva costruito a Milano, nel cortile del ristorante Da Berti, uno spuntino seguendo la tradizione barbaricina, con prodotti originali, di prima qualità, perfino con pignoleria filologica (aveva portato dalla Sardegna il legno di ginepro per l’arrosto del porcetto). Caro Merù, caro Zizzu, ci mancherai tanto. Ci resta il tuo ricordo, quello di un uomo che sapeva lavorare e aveva successo, premiato con l’Ambrogino d’oro, inventore geniale del gioiello povero, non a caso eri amato soprattutto dai giovani. Sapevi vivere e conservavi gelosamente il senso dell’amicizia e dell’ospitalità. Quanti sardi sono passati nel tuo negozio in Via Solferino 3! Insieme al grande rammarico della tua perdita, ci resta vivo l’esempio di un uomo che ha saputo vivere nel presente, nel mondo delle grandi trasformazioni e della globalizzazione, senza perdersi l’anima, mantenendo intatta la sua cultura, la sua identità, l’amore e l’orgoglio per la sua terra e le sue origini. Tonino Mulas
Quando Milano consacrava il pret à porter e diventava capitale della moda, gli accessori preferiti dalle signorine di stile erano quelli firmati da un gioielliere sardo. Francesco Mereu, nato a Dorgali, figlio di panettieri, emigrato a 16 anni per frequentare la scuola di Arti e Mestieri (ramo orologeria). Nei primi anni 60 Mereu acquistò e ritinteggiò la minuscola bottega di un fruttivendolo in via del Lauro, a 100 metri dalla Scala. E’ nato qui il marchio di Merù. Prima solo gli antichi orologi trovati nei mercatini delle pulci di Parigi, poi anche certe pochette da sera, portacipria e gioielli mutilati. Lui riportava in vita tutto, aggiustava e rivendeva, traeva spunto per la sua matita e le sue creazioni. Nasceva un nuovo concetto di eleganza che poteva essere bene interpretato solo da gioielli fatti con materiali poveri. E ben presto le sue creazioni finirono sulle pagine di Vogue. Il piccolo negozio di via del Lauro fu trasferito nel 1964 in via Solforino, divenne meta di una clientela raffinata, redattrici di moda, signore della ricca borghesia e modelle famose che sceglievano le collane sottile da portare in passerella. Arrivarono anche gli amici dalla Sardegna: Costantino Nivola, Giovanni Pintori, Michele Columbu. Fondò nel negozietto un piccolo circolo dei sardi. Un marchio quello di Merù che cominciò a interessare persino Tiffany. Con 250 brevetti depositati, Merù era il gioielliere più estroso e copiato.